«L'Europa verso l'auto elettrica, e intanto esporta veicoli inquinanti in Africa»
L'Europa che intende puntare tutto sull'auto elettrica in nome della rivoluzione green sembra non aver fatto i conti con il problema delle esportazioni dei veicoli più inquinanti. Di fatto, auto, bus, furgoni e camion usati non spariscono dalla circolazione, ma spesso vengono semplicemente spostati nel «sud del mondo». Abbiamo già trattato l'argomento nell'articolo Quando l'auto che hai guidato per anni finisce in Africa, in cui abbiamo analizzato il rapporto dell'UNEP (Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite) sui veicoli di seconda mano (se non terza o più) esportati nei Paesi in via di sviluppo. La maggior parte dei mezzi finisce dall'Europa all'Africa, e in moltissimi casi si tratta di vetture vecchie, inquinanti e senza gli standard minimi per circolare in sicurezza. Con il passaggio alla vendita di auto elettriche entro il 2035 – questa è la strada imboccata dall'Unione europea – si stima che, senza una regolamentazione adeguata, il numero di veicoli usati verso i Paesi meno abbienti aumenterà drasticamente, con conseguenze ovvie: mentre in Europa caleranno le emissioni, quelle a livello globale continueranno ad aumentare, e la qualità dell'aria nelle Nazioni ancora legate alle auto a benzina e diesel sarà destinata a peggiorare. Abbiamo approfondito la questione con Rob de Jong, responsabile dell'Unità mobilità sostenibile dell'UNEP.
Signor de Jong, il principale problema legato all'export di veicoli usati, anche molto vecchi, è l'inquinamento. Facciamo il punto della situazione.
«Negli ultimi anni molti Paesi in via di sviluppo hanno importato veicoli, sia nuovi che usati, di bassa qualità. Alcuni senza gli standard minimi in fatto di inquinamento e sicurezza. Più di 100 Nazioni al mondo non hanno regole sulle importazioni e, per quanto riguarda le emissioni, non vengono neppure garanti i requisiti Euro 4, che sono vecchi di 20 anni ormai. L'Europa intanto è arrivata all'Euro 6. Tra questi Paesi, soprattutto africani, molti acquistano auto di bassissima qualità, non per forza usate. Questi veicoli sono responsabili di emissioni molto più
alte rispetto a quelli avanzati. Spesso non hanno neppure i filtri, come
ad esempio quello antiparticolato, e di conseguenza sono nettamente più inquinanti. Secondo un nostro studio, se i Paesi africani senza regole importassero almeno la generazione di
veicoli Euro 4, le emissioni si ridurrebbero del 50%. E allo
stesso tempo quelle globali, responsabili del cambiamento climatico, calerebbero del 5-10%. Questo è uno
degli obiettivi dell’UNEP: cercare di far rispettare almeno lo standard Euro 4, che sarebbe già un grande passo avanti rispetto a non
avere alcun regolamento. Le emissioni scenderebbero in modo molto significativo.
Ci sono alcuni buoni esempi però. Negli scorsi anni alcuni Paesi e intere regioni hanno introdotto delle misure importanti. Proprio negli scorsi giorni, la East
Africa Community (EAC) ha stabilito che i veicoli, nuovi e usati, dal primo gennaio del 2023 dovranno essere almeno Euro 4. I Paesi dell'EAC importano soprattutto dal Giappone. Per fare un esempio, in Kenya,
dove risiedo, il 96% dei veicoli importati è usato, ma la maggior parte non resta nel territorio, viene venduta a Ruanda, Uganda e Tanzania. Lo stesso fa il Sudafrica: i veicoli arrivano al porto di Durban, per esser poi esportati in Namibia, Botswana, Zimbabwe e Zambia. Oltre all'EAC, anche l’Africa occidentale intende introdurre una regolamentazione: diversi capi di Stato sono favorevoli
a misure stringenti sull'import dell'usato, ma sono ancora al lavoro sulla definizione di
una data di partenza. Poi ci sono Paesi del Nord in cui esistono regole molto severe. In Egitto è addirittura vietato importare auto usate».


La pandemia ha influito sul flusso di veicoli usati?
«Non
abbiamo ancora dati precisi, quindi non posso parlare in termini quantificabili. Tuttavia, abbiamo osservato che
il numero di veicoli importati dai Paesi in via di sviluppo è continuato anche in
questi anni. In Europa c'è però stato un aumento delle vendite di vetture usate nel periodo dell'emergenza COVID, probabilmente per le difficoltà di approvvigionamento dell'industria automobilistica. Questo potrebbe
indicare che, sì, probabilmente c'è stata meno disponibilità di veicoli di seconda mano da
esportare in Africa, dato che venivano venduti nel Vecchio continente. Ripeto, non abbiamo dati esatti, ma non credo che la pandemia abbia influito granché sulla situazione».
L'Europa è sempre più orientata verso l'auto elettrica. In Africa quanto è diffusa? Potrebbe prendere piede anche lì o mancano le infrastrutture?
«Su questo punto occorre fare alcune premesse. In Africa la maggior
parte delle Nazioni importa il carburante dall’Europa o dai Paesi del Golfo, nonostante abbiano una produzione
molto buona di energie rinnovabili. Se guardiamo al Kenya, la produzione di
energia da fonti rinnovabili è del 90% tra idroelettrico, pannelli solari, energia generata dalla
pioggia o geotermica. Dunque molti Paesi africani sono parecchio interessati alla mobilità
elettrica, perché non dovrebbero più importare carburanti, tra l'altro pagati in dollari. Il tema della mobilità a emissioni zero suscita grande interesse e qualcuno, oggi, sta introducendo i veicoli elettrici. Tornando al Kenya, qui ci sono taxi e bus elettrici e ci sono almeno 5 aziende che vendono moto elettriche. Però ci sono due problemi che frenano il processo. Il primo è
che l’Europa sta passando all’auto elettrica, e intanto esporta i veicoli a carburante verso l’Africa. Dunque, in Occidente circolano più vetture elettriche, ma quelle vecchie non spariscono: vengono vendute al sud del mondo. Questo non dovrebbe
accadere, ma invece succede. Il secondo problema è rappresentato dal fatto che i Paesi africani hanno bisogno del supporto dell'Occidente per passare all’elettrico, questo dal punto di vista tecnologico, economico – sono veicoli ancora molto costosi – e per quanto concerne la creazione delle policy sugli standard da adottare. Potenzialmente, l'Africa potrebbe intraprendere questo passo. È quello che viene definito "leapfrog" (in italiano "salto della rana", ossia ignorare
le tradizionali fasi di sviluppo per passare direttamente alle ultime
tecnologie), ma per fare questo, l'Africa ha bisogno dell'aiuto dei Paesi sviluppati».


Cosa si può fare concretamente per regolamentare le esportazioni di veicoli usati?
«Innanzitutto diciamo che le esportazioni, in generale, non rappresentano un fenomeno negativo: c'è una parte di veicoli che è di buona
qualità. L’Africa importa anche auto che inquinano
meno, alcune sono elettriche: per molti Paesi l'import di vetture rappresenta un’opportunità. Il primo passo da fare dunque è separare i buoni veicoli da quelli vecchi, inquinanti e poco sicuri. Questi ultimi non dovrebbero essere venduti all'Africa, ma riciclati e tolti definitivamente dalla circolazione.
Andrebbero inoltre introdotti ovunque degli standard in materia di emissioni e di sicurezza stradale. L’UNEP ha individuato tre obiettivi: 1) esportare categorie di veicoli almeno Euro 4, con i filtri antiparticolati e gli airbag; 2) tutte le auto dovrebbero avere un
certificato di controllo tecnico. Spesso in Africa si vedono auto
danneggiate, alcune con gli airbag non funzionanti. Queste vengono esportate lo stesso, senza alcun tipo di riparazione. Ogni veicolo dovrebbe essere controllato e riparato prima di finire
in Africa; 3) le vetture non dovrebbero esser mai più vecchie di 8 anni. Abbiamo sottoposto le nostre indicazioni alla Commissione europea, che le sta studiando e sta valutando le direttive da introdurre. È necessario avere standard di qualità per l’export, non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti e in Giappone».