«L'intervista a Lavrov? Propaganda russa: ecco perché proprio in Italia»
Dall’Italia che litiga nei talk show, all’Italia che litiga per i talk show. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, l’opinione pubblica si è letteralmente spaccata su come le emittenti della Penisola stanno gestendo l’informazione che proviene dal fronte. I salotti televisivi sembrano fare a gara su chi invita il personaggio in grado di esporre la tesi più controversa possibile, scatenando poi l’immancabile polemica «del giorno dopo». Il caso del professor Alessandro Orsini ha occupato le cronache delle ultime settimane, ma negli scorsi giorni Mediaset ha sganciato la bomba: nel programma Zona Bianca, in onda su Rete 4, in nome di uno scoop unico in Europa, il giornalista Giuseppe Brindisi ha intervistato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Un intervento di 40 minuti, che qualcuno ha definito un «comizio», in grado di superare i confini italiani: le critiche per l’intervento del braccio destro di Putin sono arrivate dall’UE come da Israele. Lo stesso premier Mario Draghi ha aspramente commentato quanto trasmesso da Mediaset: «Quello che il ministro Lavrov ha detto è aberrante. Per quanto riguarda poi la parte riferita a Hitler, e il fatto che "Hitler era ebreo", quella è veramente oscena», ha sentenziato il presidente del Consiglio. Insomma, nonostante gli sforzi dell’Unione europea per bloccare i contenuti diffusi dai media russi filogovernativi, per buona parte di politici e telespettatori, la tv italiana è diventata a tutti gli effetti uno strumento di propaganda del Cremlino. Abbiamo affrontato la questione con il ricercatore indipendente Luca Lovisolo, studioso di Europa dell’Est e autore del libro Il progetto della Russia su di noi (Archomai, 2020).
Con l’intervista al ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, la tv italiana si è trasformata in uno strumento di propaganda russa?
«Questo è un dato di fatto. E non mi riferisco solo all’intervista a Lavrov, ma anche ai commentatori italiani che vengono invitati nelle trasmissioni serali di maggior ascolto. Credo che si debba dividere la questione in 3 capitoli. Il primo concerne i contenuti che sono stati presentati da Lavrov, ma anche quelli esposti dal presentatore Vladimir Solovyev (intervistato da Massimo Giletti a Non è l’arena su La7, ndr). Sono gli stessi argomenti che trovo quando leggo o ascolto i media russi, ossia quelli che costituiscono la propaganda russa all’interno della Russia. Tali personaggi riportano pari pari in Italia quello che viene detto sui canali informativi filo-Cremlino per sostenere le presunte ragioni del conflitto in Ucraina, con tutto il corollario di falsità e letture quantomeno parziali della storia, con la recente aggiunta, pietosa, delle origini ebree di Hitler. I media italiani portano in Europa i contenuti della propaganda russa senza mettervi alcun filtro. Vi è poi un secondo capitolo, che riguarda il metodo: il modo in cui vengono proposte queste interviste e questi contenuti».
Molti hanno criticato duramente l’intervista, considerata un comizio di 40 minuti senza contraddittorio…
«Proprio così. Vengono dati spazi che non sono interviste con un contradditorio, ma tribune nelle quali i propagandisti russi hanno la possibilità di rappresentare i loro argomenti senza freno, come fanno nel loro Paese. Di fronte si trovano giornalisti non preparati a rispondere alle loro dichiarazioni. Questo per due motivi. Primo: la Russia, in 15 anni, ha sviluppato un armamentario retorico che sa usare molto bene, per sostenere le proprie posizioni, mentre noi, in Occidente, non abbiamo sviluppato armi retoriche adeguate per controbattere in modo altrettanto efficace alle loro argomentazioni. La maggior parte dei giornalisti, poi, non è sufficientemente competente in materia, perciò di fronte alle dichiarazioni di un Lavrov, un Solovyev, o più semplicemente di un professor Alessandro Orsini o Luciano Canfora, non hanno argomenti per controbattere a questi interlocutori, per quanto smisurate siano le incongruenze che dicono. Secondo motivo dell’inadeguatezza, e mi riferisco in particolare al caso di Lavrov: nel giornalista che conduceva quell’intervista, fin dal tono della voce, emergeva una forma di sudditanza psicologica rispetto all’intervistato. Quindi: domande fatte con voce tremante, contestazioni appena accennate ma mai dette a parole chiare, nessun vero tentativo di entrare in contradditorio con l’interlocutore. Ciò mostra che quel giornalista non solo non era preparato, ma anche dal punto di vista psicologico sembrava non avere la forza di reggere il contraddittorio con un ministro. Date queste premesse, si verificano situazioni inaccettabili, per un tema delicato come questo. Non dico che non si possa intervistare il ministro degli Esteri di un Paese aggressore. Lo si può fare, ma deve farlo qualcuno che sia in grado di contraddire e chiedere conto, parola per parola, di affermazioni così gravi come quelle dette da Lavrov, che urtano persino il buonsenso. Se proprio vogliamo sentire il ministro degli Esteri di una Russia che aggredisce il vicino, ammazza gli abitanti delle sue città con le mani legate dietro alla schiena e getta i cadaveri nei pozzi, dobbiamo mettere quel ministro davanti a un giornalista che sia in grado di sbattergli in faccia i fatti e di contestare tutto quello che sta dicendo».
Mi parlava di un terzo aspetto sotto il quale leggere queste interviste…
«Certo, è la questione dell’influenza russa sulla politica. I dibattiti televisivi dove prevalgono tesi a favore della Russia non sono solo spettacolini di cattivo gusto. Sono strumenti di influenza sull’opinione pubblica. Lo si capisce da molti indizi, ma il più evidente è che la presenza di tesi filorusse nei media italiani sta solo aumentando, dall’inizio della guerra. Alcuni ospiti fissi filorussi dei talk show della Penisola hanno subìto anche sonore smentite, da altri partecipanti più preparati che hanno messo in luce la loro inadeguatezza. Eppure, continuano a essere invitati, anzi, uno di loro sta addirittura portando uno spettacolo nei teatri italiani, in cui compendia le sue tesi. Non si può pensare che si tratti solo del narcisismo di qualcuno che nella guerra ha trovato un’occasione per uscire dall’anonimato di una cattedra universitaria o di una redazione. Si sta lavorando per costruire consenso verso la Russia».
Perché questo tipo di operazioni avviene proprio in Italia?
«L’Italia ha alcune particolarità. La prima è quella di avere un Parlamento a maggioranza assoluta filorussa, nonostante in questo momento l’Esecutivo sia europeista, un Governo tecnico che non dipende strettamente dagli equilibri del Legislativo ed è guidato da una personalità super partes, con un forte prestigio personale all’estero. Però, alla base c’è un Paese che è largamente favorevole, nella sua opinione pubblica, all’avvicinamento alla Russia, per molte ragioni storiche e culturali: la nostalgia per l’Unione sovietica e l’antiamericanismo, che è insito in tutta la macchina culturale italiana, che proviene dall’antica sinistra degli anni 70 e oggi continua a ragionare secondo quelle logiche. Intanto, a destra c’è l’ammirazione per Putin in quanto "uomo forte" e legato alla difesa di presunti valori nazionalisti. Per questi motivi, in Italia è molto facile trovare chi si fa portatore di queste narrazioni russe. Poi c’è una quota di vanità, il voler fare lo scoop a ogni costo, e, come già detto, c’è tanta impreparazione. Io continuo a credere che non sia ancora correttamente valutata la dimensione di ciò che sta accadendo: se all’interno delle reti televisive si sapesse veramente chi è e cosa dice Solovyev in Russia, ad esempio, forse non lo inviterebbero così facilmente. Se si avesse la percezione reale di cosa significano i messaggi di Lavrov, forse non lo si sarebbe intervistato. In Italia si continua a credere che la Russia, in fondo, non sia che uno dei tanti attori della scena internazionale. In conseguenza, il ragionamento è: "Come sentiamo Bruxelles o Washington, sentiamo anche Mosca". Ma non funziona così, con il regime di Putin. Inoltre, non dimentichiamoci che l’anno prossimo ci saranno le elezioni parlamentari italiane. Se si guarda a ciò che è successo negli ultimi mesi e anni, ci si rende facilmente conto che questa macchina di comunicazione è fatta per creare consenso verso le azioni della Russia e verso i partiti che alle elezioni si faranno portatori del messaggio di Mosca».
Non crede che la guerra inciderà sulle intenzioni degli elettori?
«Non credo che conterà così tanto. Se guardiamo alle presidenziali francesi, vediamo che lo scoppio del conflitto non ha fatto diminuire i consensi verso i partiti e dei candidati filorussi. Mi aspetto che i personaggi che oggi in Italia sono sotto i riflettori come opinionisti, a favore della Russia, entreranno a breve nella battaglia politica, se non ci sono già: mi pare che qualcuno abbia già dato segnali in questo senso. L’Italia rischia seriamente, con le prossime elezioni, di trovarsi questi professori universitari e questi commentatori in Parlamento, magari pure al Ministero degli Esteri o in qualche altra posizione da cui potranno bloccare in UE le sanzioni e altri provvedimenti contro la Russia. La stessa cosa l’abbiamo vista nel 2018, quando a Mosca si ritrovarono degli emissari della Lega a discutere di eventuali finanziamenti russi al partito di Salvini. Mosca, già allora, faceva leva sul protagonismo e sulla vanità di uomini politici tutto sommato di caratura ridotta, che trovavano però nel sostegno della Russia una possibilità di ascesa, di occupazione di posti che forse non avrebbero mai occupato, se non per quella strada. Guardiamo i profili dei filorussi che oggi compaiono nei talk show: sono persone che nel sostenere le ragioni della Russia in guerra hanno trovato un’occasione di riscatto personale. Queste ambizioni private vengono abilmente utilizzate per costruire un consenso. Non troveremo mai delle prove dirette, su chi stia alimentando questa visione e questo progetto di influenza, ma gli indizi sono abbastanza evidenti. Per finire di rispondere alla sua domanda: tutto ciò avviene in Italia perché è un Paese facilmente permeabile. C’è un pubblico generalmente poco preparato in materia internazionale e piuttosto disponibile a fare il "bastian contrario" a tutti i costi: il primo che va in tv a dire il contrario della tesi più corrente diventa un eroe, quello che vede il giusto dietro a qualche misterioso complotto. Il progetto di Putin (ne abbiamo già parlato: qui l’articolo) non si ferma all’Ucraina. Militarmente, il Cremlino sta cercando di ricostruire l’unita territoriale dell’URSS e dell’Impero russo; dal punto di vista politico, il progetto di Mosca è esercitare la sua influenza fino all’Atlantico. Quindi non si lascia sfuggire l’occasione di arrivare ad un Paese come l’Italia, nel quale c’è la possibilità concreta di ricostruire una situazione come quella del 2018, dove la maggioranza di Governo era formata - unico caso in Europa - da due partiti dichiaratamente filorussi. Ancora oggi la Penisola ha un sottosegretario agli Affari Esteri (il pentastellato Manlio Di Stefano, ndr) che ha tenuto un discorso al congresso del partito di Putin (Edinaja Rossija) a Mosca nel 2016, promuovendo già allora la necessità di cancellare le sanzioni comminate alla Russia per l’annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti del Donbass. Non mi risulta un altro caso simile in Europa».
Tornando a Lavrov: il Cremlino parla di «denazificazione» dell’Ucraina, ma nell’intervista, oltre alle dichiarazioni oggettivamente razziste del ministro, si è parlato anche della Brigata Wagner. Quindi qual è il Paese da «denazificare»?
«Il giornalista durante l’intervista lo ha sottolineato, dicendo che l’estrema destra c’è anche in Russia: è stato l’unico momento in cui Brindisi ha cercato timidamente di opporre una contro-argomentazione a quello che stava dicendo Lavrov. Il ministro russo, a quella domanda, ha risposto eludendo il discorso. Ha iniziato a parlare dei nazisti in Ucraina e, a proposito della Wagner, una formazione che si ispira dichiaratamente al nazismo, anche nella simbologia, ha sottolineato che si tratta di un esercito privato che non ha niente a che vedere con lo Stato russo. Però non ha detto che questa brigata agisce sempre nell’interesse del Governo di Mosca e tra i dirigenti della Wagner e la dirigenza russa, tra cui lo stesso Putin, esistono rapporti personali acclarati. La presenza dell’estrema destra in Russia non è solo rappresentata da questa brigata. Ci sono gruppi di neonazisti e di estrema destra che fanno impallidire quelli esistenti in Ucraina. Se c’è un Paese in cui la presenza dell’estrema destra deve preoccupare, quello è la Russia».