L'intervista

«Se un volo costa 10 euro com'è possibile pagare in modo adeguato i lavoratori?»

Con Livia Spera, segretario generale dell’European Transport Workers’ Federation, affrontiamo i temi caldi del momento: proteste, scioperi e cancellazioni di voli
Marcello Pelizzari
07.07.2022 06:00

L’aviazione è in subbuglio. Da tempo. In cielo, ma anche in terra. Manca personale, non c’è giorno senza cancellazioni di voli e, soprattutto, ovunque in Europa assistiamo a proteste e scioperi. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato indetto dai piloti di SAS, la compagnia aerea scandinava. Ma che cosa sta succedendo, di preciso? O, meglio, che cosa chiedono i lavoratori del settore? Per capirne di più ci siamo rivolti a Livia Spera, segretario generale dell’European Transport Workers’ Federation, il sindacato europeo nell’ambito dei trasporti.

Partiamo da una constatazione: molti articoli sottolineano l’improvvisa forza acquisita dai sindacati, i quali – consapevoli della forte domanda per i viaggi post pandemia – sfruttano il momento per chiedere condizioni migliori. È una spiegazione troppo sbrigativa?
«Sì, indubbiamente. Soprattutto, i problemi del settore sono preesistenti alla pandemia. Certo, l’aviazione è stata colpita dal coronavirus. Tuttavia, ha pure beneficiato di aiuti importanti dai vari governi. Come detto, parliamo di un settore malato. Negli anni, le politiche europee (ma non solo) legate al trasporto aereo sono state orientate per favorire la competizione e abbassare i prezzi. La Commissione Europea, d’altronde, a suo tempo aveva chiarito che il settore doveva essere più attraente per i viaggiatori. E così, sono spariti i vincoli alla competizione fra aziende, tanto fra le compagnie aeree quanto nell’handling. C’è stata, ancora, una forte spinta verso il low cost e il low cost estremo, tant’è che anche le compagnie di bandiera hanno aperto filiali low cost. Pensiamo al gruppo Lufthansa, o ad Air France. Filiali con sede in altri Paesi e accordi collettivi a costi più bassi rispetto alla compagnia madre. Ecco, questa tendenza al ribasso è stata portata avanti a spese dei lavoratori. Da un lato, è vero, il trasporto aereo è diventato più accessibile. C’è stata maggiore democratizzazione. Ma attenzione, perché dall’altro lato il diritto alla mobilità – sacrosanto – non deve passare attraverso la riduzione dei diritti e delle condizioni di lavoro. E invece è ciò che è successo».

Come uscirne, allora?
«Come sindacati, beh, noi diciamo: aumentate gli stipendi e fate in modo che i viaggiatori paghino il giusto prezzo per un biglietto aereo. Non è normale pagare di più il biglietto del treno dal centro città all’aeroporto rispetto al citato biglietto aereo. Ma questa, appunto, è la situazione paradossale in cui ci siamo trovati per anni. Una situazione che, di riflesso, ha spinto le forme meno sostenibili di turismo».

Dicevamo che la pandemia c’entra ma fino a un certo punto. Eppure, il coronavirus ha lasciato ferite importanti, no?
«Premessa: vent’anni fa, lavorare in aeroporto o per una linea aerea era qualcosa di prestigioso. Qualsiasi professione nel settore lo era, a ben vedere. Oggi questo non vale più. Per motivi ovvi: le condizioni di lavoro sono diventate usuranti e non c’è compensazione economica. Prendiamo i lavoratori nell’handling, quindi impegnati nella gestione dei bagagli. È un lavoro duro, che prevede turni e non paga bene. In un periodo in cui vari settori lamentano una mancanza di manodopera, se uno può scegliere va altrove. Molte persone licenziate durante la pandemia non sono tornate nell’aviazione perché le condizioni non sono decenti. Di più, siccome anche l’handling è stato liberalizzato ci sono più operatori in un singolo aeroporto. Ma non c’è abbastanza lavoro per tutti. Perciò, i contratti sono precari, spesso part-time. Se io devo svegliarmi alle quattro di mattina, lavorare 15 ore a settimana e guadagnare 300 euro al mese, di fronte a un’altra opportunità scelgo qualcos’altro».

C’è tutta questa enfasi sul fatto che i sindacati stiano scioperando. D’accordo, ma lo sciopero è sempre l’ultima spiaggia per un sindacato

Domanda brutale: ma gli scioperi non rischiano di ottenere l’effetto contrario, ovvero accrescere la rabbia e la frustrazione dei viaggiatori?
«C’è tutta questa enfasi sul fatto che i sindacati stiano scioperando. D’accordo, ma lo sciopero è sempre l’ultima spiaggia per un sindacato. E va ricordato che i lavoratori, nei giorni in cui incrociano le braccia, non hanno diritto alla retribuzione. Si sciopera quando non si riesce ad avere un dialogo con l’impresa, quando non c’è un confronto sereno e aperto. La situazione attuale è molto problematica, ma i problemi possono essere risolti attraverso il dialogo sociale e la contrattazione collettiva. Parlo di stipendi, carichi di lavoro, violenza anche». 

In che senso violenza?
«In tutto il settore del trasporto passeggeri c’è stato un aumento drammatico degli episodi di violenza nei confronti dei lavoratori. I passeggeri sono nervosi. La mancanza di personale, gli aeroporti che all’improvviso si riempiono, insomma il quadro generale non proprio sereno hanno fatto sì che, a rimetterci, siano proprio i dipendenti. Il concetto di unruly passenger è noto in inglese, ma la situazione adesso è diventata esplosiva. I tassi di violenza cui far fronte sono molto più elevati».

Torniamo a una frase: lavorare nel settore del trasporto aereo, oggi, non è come vent’anni fa. Ecco, cosa significa oggi lavorare nell’aviazione?
«Noi abbiamo ancora nella testa l’immagine classica di assistenti di volo e piloti. Persone privilegiate. Non è così. E non è così da diverso tempo. Un’assistente di volo di una compagnia low cost guadagna fra i 1.000 e i 1.200 euro al mese. E spesso non ha nemmeno diritto a una bottiglietta d’acqua o a un pasto a bordo: deve pagare, come un qualsiasi passeggero. Direi che i motivi per cui la gente vuole scioperare o non vuole più lavorare nel settore ci sono tutti».

Altro punto: durante la pandemia, nella speranza di salvaguardare i posti di lavoro, erano stati offerti dei tagli salariali di parecchi punti percentuali. Molti hanno accettato. Ora che è tornata la normalità, però, diversi vettori non hanno più cancellato quei tagli. Come mai?
«In alcuni casi i tagli sono rientrati, in altri no. E questo perché, di fondo, vale sempre l’idea che il lavoro debba costare il meno possibile. Negli Stati Uniti, per contro, gli aiuti alle compagnie aeree erano vincolati proprio al mantenimento dei livelli salariali e occupazionali pre-pandemia. Avevamo chiesto la stessa cosa in Europa, ma niente. E così, ora, ci ritroviamo con vettori che hanno beneficiato di aiuti statali, quindi di soldi dei contribuenti, ma senza un ritorno dal punto di vista occupazionale».

Siamo consapevoli, assolutamente, che dopo due anni di pandemia la gente voglia andare in vacanza. Ma la responsabilità non è nostra, sono le imprese ad avere l’onere e l’onore di gestire i flussi di lavoro

Torniamo ai viaggiatori frustrati dalle continue cancellazioni e dagli scioperi…
«Siamo consapevoli, assolutamente, che dopo due anni di pandemia la gente voglia andare in vacanza. Ma la responsabilità non è nostra, sono le imprese ad avere l’onere e l’onore di gestire i flussi di lavoro. Imprese che, in queste settimane, si difendono affermando che non si aspettavano una ripresa così repentina e che durante la pandemia sono state costrette a tagliare».

Assumere nuovo personale non è solo una questione di soldi, ma anche di tempistiche. Vero?
«Nel trasporto aereo non è una cosa che può succedere dall’oggi al domani. Anche per la professione più semplice all’interno di uno scalo: possono volerci mesi e mesi per effettuare i necessari controlli di sicurezza».

Può farci un esempio concreto?
«Per formare un controllore di volo servono due anni. E negli ultimi tempi, di fatto, non c’è stata nessuna assunzione. Significa che chi è andato in pensione non è stato sostituito. Ecco perché alcuni voli sono stati cancellati. Non solo perché mancava personale nello smistamento bagagli o a bordo, ma perché mancano controllori. L’intero sistema è stato perturbato. Ma è un sistema che troppo a lungo ha ragionato su visioni a corto termine. Una conseguenza diretta delle politiche del trasporto aereo degli ultimi vent’anni. Adesso c’è una tale fragilità che il sistema non regge al minimo shock».

È auspicabile che le compagnie facciano mea culpa, ma non tutti sono pronti a farlo o lo hanno fatto.
«Altra premessa: è auspicabile che, da una parte, le compagnie si impegnassero in un dialogo aperto con i sindacati e, dall’altra, riflettessero su un cambiamento strutturale del settore. Le politiche del trasporto aereo degli ultimi vent’anni non hanno funzionato, è stato lasciato troppo spazio al mercato. Quanto ai mea culpa, l’amministratore delegato di Lufthansa ha ammesso che il gruppo ha tagliato troppo. Altri non hanno fatto questo passo. Se è vero che le compagnie continuano a tagliare voli, è altrettanto vero che i prezzi dei biglietti sono aumentati. Significa che i vettori stanno guadagnando soldi».

Perché, oltre a internalizzare i costi ambientali, le compagni non internalizzano i costi del lavoro? Come è possibile pagare in modo adeguato il lavoratore se un volo costa 10 euro?

Il CEO di Ryanair, Michael O’Leary, ha fatto capire che i prezzi dei biglietti aumenteranno ancora
«Ma dovrebbero aumentare allo scopo di pagare meglio i lavoratori. Perché, oltre a internalizzare i costi ambientali, le compagnie non internalizzano i costi del lavoro? Come è possibile pagare in modo adeguato il lavoratore se un volo costa 10 euro? Questa tendenza ha spinto tutto il settore a un gioco al ribasso. Quando si tocca il fondo, si comincia a scavare. Ma poi non si trovano più lavoratori».

Qual è il prezzo giusto per un biglietto aereo?
«Noi siamo a favore di un prezzo minimo. La cosa è stata discussa già in Austria e Germania e, quantomeno, consentirebbe di frenare questo gioco al ribasso. Un volo, ad esempio, dovrebbe costare almeno 50 euro».

Ai problemi affrontati sin qui si è aggiunto quello dell’inflazione. Come la mettiamo?
«L’inflazione tocca il trasporto aereo ma non solo, basti pensare agli scioperi nei porti o nel settore ferroviario. In alcuni Paesi, semplicemente, gli stipendi non aumentano a fronte, invece, di aumenti per cibo ed energia. Ci sono molte rivendicazioni sul tavolo. E quando si trova un muro, vengono avviate una serie di azioni che poi portano allo sciopero. In quasi tutti i Paesi, va detto, lo sciopero è ben regolamentato. Non ci si arriva dall’oggi al domani. Ci sono varie procedure. Ai passeggeri ribadisco che il caos attuale non è colpa nostra. Sono le compagnie che hanno voluto tagliare e licenziare e che, ora, si trovano completamente impreparate. Noi non vogliamo affossare il trasporto aereo, non vogliamo che collassi. Sappiamo quanto è importante per l’occupazione diretta e indiretta in Europa. Ma non possiamo accettare che avvenga qualsiasi cosa».

Ultimo punto: stupisce che a scioperare siano anche i piloti di SAS, in Scandinavia.
«Tutto il settore, dicevo, è stato colpito. E tutto il settore è cambiato nel corso degli anni. SAS ha delle società in Irlanda e in altri Paesi che operano a costi più bassi rispetto al nucleo centrale. La tendenza low cost ha portato tutti ad adeguarsi. E adeguarsi significa fare accordi in altri Paesi, che rispondono a criteri più bassi in termini di condizioni di lavoro. È il problema attuale che riguarda i piloti di SAS».

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