Calcio

Quando la Svizzera giocava ancora al parco

La nazionale rossocrociata è di scena in Kosovo per legittimare ulteriormente la qualificazione al Mondiale – L’ultimo incrocio a Pristina, nel settembre 2023, sfociò in un pareggio incendiario e però cruciale per il rapporto tra il ct Murat Yakin e il capitano Granit Xhaka
© KEYSTONE/JEAN-CHRISTOPHE BOTT
Massimo Solari
17.11.2025 19:30

Si fa Pristina a dire Mondiale. Perché è proprio nella capitale kosovara che la Svizzerà formalizzerà una qualificazione già suffragata da risultati e prestazioni. E perché il percorso eccezionale vissuto sin qui dai padroni di casa rimarrebbe un ricordo inebriante, fine a se stesso, qualora in marzo non venisse superato il doppio ostacolo dei playoff. Detto questo, la sfida di domani allo stadio Fadil Vokrri rimane carica di significato. Per la storia che verrà raccontata lungo i 90 minuti e per quelle di tanti giocatori attesi sul rettangolo verde.

Già. Fu così anche il 9 settembre del 2023, quando a Pristina - nell’ambito della campagna per accedere a Euro 2024 - le due squadre si affrontarono per la prima volta in un match ufficiale. Finì 2-2, con il pirata Muriqi che permise ai suoi di acciuffare il pareggio all’ultimo respiro. Un epilogo e un risultato che fecero divampare un incendio in casa rossocrociata.

Panni sporchi lavati in pubblico

Ricordate? Appena rientrato negli spogliatoi, Granit Xhaka non le mandò a dire: «Quanto visto in campo non mi sorprende: la preparazione degli scorsi giorni è stata segnata dalla mancanza d’intensità e in partita si è chiaramente visto. A questo ritmo e a questa velocità si può giocare al parco». Ahia. A finire pubblicamente sul banco degli imputati furono gli allenamenti del ct Murat Yakin. E, più in generale, la sua gestione. Il direttore delle squadre nazionali Pierluigi Tami richiamò all’ordine il capitano - «con dichiarazioni del genere non aiuta nessuno» -, vestendo al contempo la tuta da pompiere. «Un confronto franco fra le parti è senz’altro doveroso. E se favorirà la crescita della selezione ben venga. Non sono contrario alle divergenze di opinioni. E, se necessario, sono pronto a dare il mio sostegno. Ci tengo». E a ragion veduta.

Da un vertice all’altro

Il vertice tra i diretti interessati, in effetti, si tenne nei giorni successivi. E, seppur a scoppio ritardato, visto le deludenti prove che accompagnarono la Svizzera per l’intero autunno, la scossa fece bene sia al rapporto tra allenatore e numero 10, sia all’ambiente. Su quel chiarimento definito «costruttivo» e «dettagliato», detto altrimenti, si fondò l’avvicinamento all’Europeo tedesco. Non solo. Per ammissione dello stesso Xhaka, la bontà dell’esercizio convinse le parti a organizzare ulteriori faccia a faccia, in quel di Düsseldorf, al fine di pianificare al meglio la strategia da adottare in Germania. Funzionò, eccome, sino ai maledetti rigori che - nei quarti di finale - premiarono l’Inghilterra.

Una crescita condivisa

Pristina, dunque, ha riabbracciato Granit Xhaka e Murat Yakin. E, salvo inimmaginabili sorprese o atteggiamenti sconsiderati, fra poche ore sarà proprio un abbraccio tra ct e capitano a suggellare l’accesso al Mondiale 2026. «Ma tra noi non è cambiato molto dalla partita contro il Kosovo di due anni fa» tiene a precisare il tecnico, più per non rivangare il passato che per convinzione. «Tutto venne ingigantito. La verità è che abbiamo affrontato e gestito bene quella situazione, così come il prosieguo del percorso di squadra. Lo abbiamo fatto insieme e in questo processo Granit si è comportato da leader».

Bene. Il centrocampista del Sunderland sarà chiamato a mostrare la via anche domani sera. Sarebbe d’altronde un peccato macchiare sul più bello una campagna di qualificazione quasi perfetta. «L’aspetto emotivo verrà messo da parte, ve lo assicuro» chiarisce il selezionatore elvetico. «Conosciamo un’unica direzione e non vogliamo fermarci». Pure i 14 mila del Fadil Vokrri proveranno però a spingere Hajdari e compagni verso un nuovo, incredibile successo. «Ma per quanto nel calcio possa accadere di tutto, vincere con sei reti di scarto è impossibile» ammette il ct dei «Dardani» Franco Foda. Anche perché la Svizzera, da diversi mesi a questa parte, ha smesso di giocare come al parco. M.S.

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