Medio Oriente

Sei mesi di guerra: Israele ritira le truppe dal Sud di Gaza, al via la «Terza fase»

La strategia ora punta a «raid mirati e limitati, come nel caso dell'ospedale Shifa a Gaza City», mentre l'esercito attende «una decisione dei vertici sull'azione militare a Rafah» – Proteste a Tel Aviv – Netanyahu ribadisce: «Nessun cessate il fuoco senza il ritorno degli ostaggi»
© KEYSTONE (EPA/HAITHAM IMAD)
Red. Online
07.04.2024 14:31

Sono trascorsi sei mesi dall'inizio del conflitto in Medio Oriente, iniziato con il sanguinoso attacco di Hamas del 7 ottobre. L'esercito israeliano ha ritirato nella notte tutte le truppe di terra dal Sud della Striscia di Gaza, dopo quattro mesi consecutivi di combattimenti nell'area di Khan Younis. Per il momento, rimane a operare nell'area la Brigata Nahal, che tiene in sicurezza il «corridoio Netzarim», la strada che divide la Striscia di Gaza. Il corridoio in questione consente all'esercito – secondo i media che riportano la notizia – di condurre raid nel nord e nel centro della Striscia, impedisce ai palestinesi sfollati di rientrare nel nord dell'enclave palestinese e permette alle organizzazioni umanitarie di consegnare gli aiuti direttamente nel nord di Gaza.

Fonti militari hanno riferito che il ritiro della 98. Divisione, ultima tra quelle di terra che operava nell'area di Khan Yunis, di fatto significa la fine «della manovra di terra cominciata il 27 ottobre scorso». Prende ora il via la cosiddetta Terza Fase programmata dalle Forze di difesa israeliane (IDF) che prevede un'altra strategia di guerra. Quella «dei raid mirati e limitati, come nel caso dell'ospedale Shifa a Gaza City». Oltre a Rafah, l'esercito è intenzionato a operare a Deir el-Balah nel centro della Striscia. Secondo l'IDF, la partenza da Khan Yunis «consentirà infatti ulteriori opportunità operative e di intelligence».

L'esercito israeliano «è ora in attesa di una decisione da parte dei vertici politici sulla possibile azione militare a Rafah», a ridosso dell'Egitto.

Proteste a Tel Aviv

Ieri, circa 100 mila israeliani sono scesi in piazza a Tel Aviv in un protesta contro il governo di Benyamin Netanyahu e per un accordo che riporti a casa gli ostaggi ancora a Gaza, rapiti da Hamas. I media locali hanno parlato della «più grande manifestazione dal 7 ottobre».

Il movimento di protesta – da una parte le famgilie degli ostaggi, dall'altra la società civile – potrebbe diventare la più grande minaccia per il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo governo. Il premier ha quindi fatto appello «all'unità del Paese» denunciando che «in queste ore una minoranza estrema e violenta sta cercando di trascinare il Paese nella divisione». «Non c'è niente che i nostri nemici desiderino di più. Vorrebbero che la divisione interna e l'odio gratuito ci fermassero poco prima della vittoria», ha aggiunto.

Il rischio (sempre più concreto) di escalation

Ma non c’è solo la crisi umanitaria a Gaza ad allarmare chi osserva le evoluzioni del conflitto, scrive l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPIS): mai come questa settimana la possibilità che la guerra tra Israele e Hamas deflagrasse in una più ampia guerra regionale è parsa a un passo dal concretizzarsi. Le Forze di difesa israeliane hanno dichiarato di aver sospeso il congedo per tutte le unità combattenti e di avere intensificato il comando di difesa aerea per far fronte a un possibile attacco missilistico o di droni dall’Iran. C’è preoccupazione, infatti, per la risposta di Teheran all’uccisione di due generali iraniani e cinque consiglieri militari in un attacco aereo israeliano su un complesso diplomatico a Damasco. L’Iran ha promesso vendetta. Il capo di Stato Maggiore delle Forze Armate iraniane, Mohammad Bagheri, citato dall'agenzia di stampa ufficiale Irna, ha dichiarato che «l'attacco israeliano non rimarrà senza risposta. La vendetta dell'Iran è inevitabile e Teheran deciderà come e quando effettuare l'operazione di rappresaglia».

Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha dichiarato: «L'apparato della Difesa ha completato i preparativi di risposta in caso di qualsiasi scenario che si possa sviluppare con l'Iran». Un alto funzionario iraniano, Yahya Rahim Safavi, ha detto che nessuna delle ambasciate israeliane nel mondo è più sicura, come riferisce l'agenzia di stampa Tasnim citata dalla Reuters.

Netanyahu ribadisce: «Nessun cessate il fuoco senza il ritorno degli ostaggi»

Venerdì, Israele ha comunicato la riapertura temporanea del valico di Eretz, che lo collega con la Striscia di Gaza, per consentire l’ingresso di aiuti umanitari nella parte settentrionale dell’enclave palestinese. La decisione è stata presentata come conseguenza di una telefonata dai toni più duri rispetto a quelli utilizzati finora tra il presidente statunitense Joe Biden e Netanyahu, dopo l'attacco a un convoglio di operatori umanitari della World Central Kitchen, in cui sono rimasti uccisi sette volontari.

Due giorni fa la Svizzera, insieme ad altri, ha convocato una riunione d'emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. «Nonostante l'adozione della risoluzione del 25 marzo 2024 che chiedeva un cessate il fuoco immediato, i combattimenti proseguono – scrive il DFAE –. La conseguente inaccessibilità al cibo e le forniture d'acqua insufficienti sono drammatiche per la popolazione civile. Secondo i dati dell'UNICEF, la malnutrizione dei bambini nella Striscia di Gaza non ha mai raggiunto un livello così precario in nessuna parte del mondo». «La Striscia di Gaza è diventata il luogo più pericoloso al mondo per gli operatori umanitari», ha dichiarato Adrian Hauri, ambasciatore svizzero e incaricato d'affari presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A New York, la Svizzera ha espresso il suo profondo rispetto per tutti gli operatori umanitari che rischiano la vita ogni giorno in Medio Oriente. «I nostri pensieri oggi sono rivolti alle organizzazioni e alle famiglie dei circa duecento operatori umanitari uccisi a Gaza dal 7 ottobre. Gli attacchi agli operatori umanitari sono una violazione del diritto umanitario internazionale e devono cessare immediatamente», ha dichiarato Adrian Hauri.

La Svizzera ha ricordato al Consiglio che la Corte internazionale di giustizia ha chiesto a Israele di cooperare strettamente con le Nazioni Unite al fine di garantire la fornitura di servizi di base e di aiuti umanitari di cui il Paese ha assolutamente bisogno. Di conseguenza, ha nuovamente invitato le parti al rispetto assoluto del diritto internazionale, in particolare del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani. La Svizzera ha inoltre insistito sull'attuazione di tutte le risoluzioni sul Medio Oriente adottate dal Consiglio di Sicurezza dopo l'escalation di violenza dello scorso ottobre. «Un cessate il fuoco immediato è l'unico modo per garantire che non si perdano altre vite civili», ha sottolineato l'ambasciatore svizzero. Inoltre, tutti gli ostaggi ancora detenuti a Gaza devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni.

© ONU
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Poche ore fa, nella riunione di governo, il premier israeliano ha però ribadito: «Ho detto chiaramente alla comunità internazionale: non ci sarà cessate il fuoco senza il ritorno degli ostaggi». «Questa – ha aggiunto – è la politica del governo israeliano e accolgo con favore il fatto che l'amministrazione Biden abbia chiarito l'altro giorno che questa è anche la sua posizione. Vorrei chiarire ancora una cosa: non è Israele a impedire un accordo ma Hamas. Le sue richieste estreme hanno lo scopo di porre fine alla guerra e lasciare intatta» la fazione islamica. «Arrendersi alle richieste di Hamas – ha continuato il premier che ha ricordato i sei mesi dall'attacco – gli permetterà di provare a ripetere ancora e ancora i crimini del 7 ottobre, come aveva promesso di fare». Poi ha sottolineato che Hamas «spera che le pressioni spingano Israele a cedere a queste richieste estreme. Non succederà. Israele è pronto per un accordo, Israele non è pronto ad arrendersi».

Quindi, l'attacco: «Invece di dirigere la pressione internazionale contro Israele, cosa che porta solo Hamas a irrigidire le sue posizioni, la pressione della comunità internazionale dovrebbe essere diretta contro Hamas. Ciò favorirà il rilascio dei rapiti. Siamo determinati alla vittoria completa per il rilascio di tutti i nostri rapiti, per completare l'eliminazione di Hamas nell'intera Striscia di Gaza, compresa Rafah, e garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele».

Netanyahu ha poi spostato lo sguardo verso l'Iran: «Questa guerra ha rivelato al mondo ciò che Israele ha sempre saputo: l'Iran è sta dietro all'attacco contro di noi attraverso i suoi delegat. Dal 7 ottobre siamo stati attaccati su molti fronti da Hamas, Hezbollah, gli Houthi, le milizie in Iraq e Siria. Israele è pronto, in difesa e in attacco, a qualsiasi tentativo di colpirci, da qualsiasi luogo».

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