Staccarsi da Internet? Sì, con il dominio web dell'ex URSS
Quella in corso in Ucraina è una guerra che si combatte anche sul digitale. Lo abbiamo detto (e approfondito) più volte in queste due settimane. Tanto che pure le sanzioni inflitte alla Russia corrono sul filo della Rete, così come i tentativi di propaganda del Governo da una parte e i messaggi al popolo russo affinché si ribelli dall'altra. Ma c'è un'altra chicca del mondo del web di cui si parla da anni e che ora è tornata alla ribalta: il dominio dell'Unione Sovietica esiste ancora. È «.su».
La Reuters, nel 2007, lo definiva «una reliquia del passato sovietico» («a relic of the Soviet past»), un articolo di Inverse, otto anni dopo, «l'ultimo bastione dell'Unione sovietica» («the last Bastion of the USSR»). Il dominio internet «.su» venne assegnato ufficialmente all'Unione sovietica il 19 settembre del 1990. Trentuno anni fa. Quattordici mesi dopo, l'URSS si dissolse. Ma nel 2013 erano ancora più di 120 mila i siti registrati con un indirizzo .su gestito dalla RIPN, un’associazione senza scopo di lucro con base a Mosca. Ad allora risalgono le ultime comunicazioni sullo stato di salute del dominio. Il direttore della RIPN, Sergei Ovcharenko, promise che avrebbe lavorato «a breve» sui «problemi di sicurezza» legati all'esistenza del dominio. Faceva riferimento alle attività criminali che, a suo dire, erano «solo una piccola parte del cyberspazio sovietico, per il resto popolato da portali perfettamente legali»
Una «fetta di cyberspazio della Guerra fredda»
Sì, perché quella «fetta di cyberspazio della Guerra Fredda» che ancora sopravvive nasconde delle ombre. A partire, è il caso di non tralasciarlo, dalla sua stessa esistenza. Già nella primissima Russia postsovietica il dominio .su venne visto dall'opposizione come un metodo per «conservare» l'Unione Sovietica, o perlomeno fregiarsi di tale nome. E quando nel 1994 nacque il dominio nazionale .ru, si innescò una sorta di lotta. Ma la convivenza tra il nuovo e il vecchio, ormai slegato da un Paese, prosegue da tre decenni. Complice forse anche il fatto che entrambi non sono gestiti dal Governo russo, ma dalla sopraccitata non-profit attaccata al capezzolo del Cremlino. Russian Institute for Public Networks, RIPN.


Cosa accade di sovente quando qualcosa non è più controllato? Diventa «zona grigia» da sfruttare, ma anche terreno fertile per attività illecite. È così che sul dominio web della defunta Unione Sovietica sono comparsi hacker che hanno attaccato banche, siti governativi e altre istituzioni. E (dicono) sarebbe stato anche lo spazio attraverso cui i soldi russi avrebbero raggiunto i nazionalisti italiani della Lega Nord italiana. L'inchiesta è ancora in corso ma - stando anche al lavoro dei giornalisti de L'Espresso - pare che il piano della Russia per sostenere i sovranisti alle elezioni Europee del 2019 fosse stato mascherato da scambio commerciale. Tre milioni di tonnellate di diesel da cedere a un'azienda italiana da parte di una compagnia russa. Riunioni, viaggi, e-mail, strette di mano e bozze di contratti milionari. E il web. Grazie al buon vecchio dominio .su?
Estrema destra, neonazisti e primatisti
E, lo dicevamo sopra, la «zona grigia» di un cyberspazio quasi senza regole può essere sfruttato. Anche dall'estrema destra. È stato lo stesso Andrew Anglin, fondatore del The Daily Stormer, il blog neonazista più seguito del mondo che ha trasformato i meme in uno strumento di lotta politica, a parlare ai suoi «seguaci» delle compagnie internet russe (e cinesi) in questi termini: «Sono le uniche capaci di supportare la vostra libertà di parola, mentre i media occidentali sostengono non dobbiate averla». Sul dominio dell'ex URSS troverebbe spazio anche Stormfront, il forum dei suprematisti bianchi e antisemiti. Oltre a, ovviamente, blog e siti di informazione vari.


Se sono passati trent'anni e il dominio sopravvive, non può essere mancato l'intervento del Governo di Vladimir Putin. Che tutto ha fatto pur di impedire che finisse in mani straniere. Un elemento che forse ora può tornare utile. Proprio quando nel pieno del conflitto in Ucraina si parla di Russia intenzionata a «sganciarsi dalla rete Internet globale». Una disconnessione svelata dal media bielorusso Nextra Tv che ha condiviso un documento che riporta i dettagli dell'operazione: «Tutti i server e i domini devono essere trasferiti nella zona russa, mentre si stanno raccogliendo dati dettagliati sull'infrastruttura di rete dei siti». Il ministro della Sicurezza Digitale russo, in risposta, ha affermato: «Ci sono continui attacchi informatici ai siti russi dall'estero. Ci stiamo preparando per diversi scenari, ma non ci sono piani per disconnettere Internet dall'interno». Per la Russia sarebbe il varo definitivo di RuNet, rete web nazionale indipendente approvata nel 2019 con cui il Cremlino prenderebbe il pieno controllo della circolazione delle informazioni e delle attività interne, oltre a difendersi da cyber aggressioni esterne. La legge prevede infatti di convogliare il traffico e i dati del web russo verso nodi controllati dalle autorità statali e di realizzare un dominio nazionale per permettere a Internet di continuare a funzionare indipendentemente dalle infrastrutture straniere. Chissà che in questa (forse) volontà del presidente russo di staccarsi dall'Internet globale non torni utile la «una reliquia del passato sovietico», «l'ultimo bastione dell'URSS».