Scenari

Dazi al 39%: ecco che cosa può fare, ora, la Svizzera

Dalla prosecuzione dei negoziati alla speranza che Donald Trump si «tiri indietro», passando dai ricorsi contro le misure tariffarie negli Stati Uniti
© KEYSTONE/PETER KLAUNZER
Red. Online
07.08.2025 12:00

Dalle 6:01 di stamane, come ha annunciato lo stesso Donald Trump via Truth, sono in vigore i dazi doganali «punitivi» del 39% sulle importazioni svizzere negli Stati Uniti. Nel corso della giornata, il Consiglio federale informerà la popolazione elvetica sui prossimi passi che intende intraprendere. Di sicuro, la delegazione guidata dalla presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e dal «ministro» dell'economia Guy Parmelin, appena rientrata da Washington, non ha ottenuto ciò che sperava. Eppure, scrive il Tages-Anzeiger, la Svizzera può ancora sperare che questo martello tariffario non rimanga in vigore a lungo. Tre, in particolare, i possibili scenari. Vediamoli.

I negoziati continuano

Il Consiglio federale, nel suo comunicato di inizio settimana, aveva affermato di voler proseguire i negoziati con l'amministrazione Trump, «se necessario», anche dopo l'entrata in vigore dei dazi. La base di questi colloqui, tuttavia, rimane al momento poco chiara. Karin Keller-Sutter e Guy Parmelin hanno presentato personalmente, ieri, un'offerta last minute al Segretario di Stato americano Marco Rubio. Il fatto che la parte americana non abbia nemmeno risposto pubblicamente a questa proposta, evidentemente, non è incoraggiante. Tuttavia, era già chiaro giovedì che non spetterà a Rubio a prendere la decisione finale: come sempre, l'ultima parola spetta a Trump. È possibile, dunque, che l'amministrazione Trump voglia prima prendersi il tempo necessario per esaminare la nuova offerta della Svizzera e che, nei prossimi giorni, il presidente dia una risposta definitiva.

E se sul tavolo sbucasse un «taco»?

Nelle ultime settimane, la parola «taco» è diventata un termine familiare sui mercati azionari internazionali. Attenzione, non stiamo parlando di cibo. «Taco», infatti, sta per «Trump always ducks out». Tradotto: Trump si tira sempre indietro.

Le minacce del presidente degli Stati Uniti contro aziende e altri Paesi, spesso, sono cadute nel vuoto. A inizio di aprile, ad esempio, i dazi punitivi sono rimasti in vigore solo per poche ore. Il tycoon ha anche dovuto fare ripetutamente marcia indietro nella guerra commerciale con la Cina.

Questa volta, tuttavia, la pressione su Trump sarà probabilmente inferiore rispetto all'inizio di aprile. Gli Stati Uniti hanno raggiunto accordi con molti dei loro più importanti partner commerciali: Giappone, Corea del Sud, UE e Regno Unito. Partner a cui verranno applicati dazi doganali inferiori a quelli minacciati nel primo round. Sebbene i consumatori statunitensi ne risentiranno, l'impatto immediato sarà probabilmente limitato.

È probabile che associazioni di categoria e aziende tenteranno altresì di «fare lobbying» per eliminare i dazi su singoli prodotti e merci nei prossimi giorni. L'amministrazione Trump ha ripetutamente concesso tali esenzioni in passato. Anche le aziende svizzere interessate, come quelle del settore orologiero, potrebbero tentare di fare lo stesso.

Occhio ai tribunali

Lo scorso 31 luglio, la Corte federale d'appello, con sede a Washington, ha tenuto un'altra udienza sui dazi di Trump. Secondo quanto riportato dai media americani, i giudici hanno dichiarato di non essere in grado di comprendere la giustificazione giuridica addotta dall'amministrazione Trump per applicare i dazi. Una posizione, questa, coerente con la sentenza della Corte per il commercio internazionale degli Stati Uniti. Il tribunale competente in materia commerciale aveva già dichiarato illegali i dazi punitivi all'inizio di maggio. Tuttavia, la Corte d'appello federale, agendo in secondo grado, ha concesso la sospensione del ricorso.

L'amministrazione Trump basa i suoi dazi punitivi principalmente sull'International Emergency Economic Powers Act del 1977. Questa legge consente al presidente di adottare contromisure economiche in caso di emergenza nazionale. Secondo Trump, l'«emergenza» deriva dagli elevati deficit commerciali con altri Paesi. Detto ciò, l'amministrazione non è particolarmente coerente con questa argomentazione. Ad esempio, il Brasile è stato recentemente colpito da un dazio punitivo del 50%, nonostante gli Stati Uniti mantengano un surplus commerciale con il Brasile.

Molti media statunitensi presumono che la Corte federale d'appello dichiarerà nuovamente illegali i dazi tra qualche settimana. Il caso sui dazi sarà quindi portato dinnanzi alla Corte Suprema degli Stati Uniti. A quel punto, sarà interessante capire se la Corte Suprema concederà un'altra sospensione dell'esecuzione per questa sentenza. In caso contrario, i dazi verrebbero temporaneamente sospesi già a partire da questo autunno.

Si prevede che la sentenza della Corte Suprema venga emessa tra la fine del 2025 e l'inizio del 2026. Se la Corte dovesse concludere che non vi è alcuna base giuridica per le tariffe punitive, Donald Trump dovrà chiedere al Senato e al Congresso di presentare una legislazione adeguata.

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