Giustizia

Caso Gobbi: favoreggiamento o potere discrezionale?

Il procuratore generale Andrea Pagani ha chiesto la condanna a pene pecuniarie sospese dei due agenti della Cantonale a processo in Pretura penale per aver favorito il direttore del DI: «Hanno agito perlomeno con la vaga sensazione di non essere a posto» – Le difese si sono battute per l’assoluzione: «Erano convinti in buona fede di aver agito correttamente» – Etilometri probatori non calibrati per mesi
© CdT/Gabriele Putzu
Nico Nonella
15.10.2025 12:27

Si è aperto questa mattina il processo in Pretura penale a carico dei due graduati della Polizia cantonale accusati di favoreggiamento in relazione all’incidente stradale in Leventina in cui è rimasto coinvolto il 14 novembre 2023 il consigliere di Stato Norman Gobbi. 

In un’aula gremita di giornalisti, famigliari e colleghi degli imputati sono comparsi il sottufficiale superiore di Gendarmeria di picchetto e il capogruppo in servizio quella notte. Ad entrambi, il procuratore generale Andrea Pagani rimprovera di aver favorito il direttore del Dipartimento delle istituzioni, che nel frattempo ha ceduto la conduzione della Polizia al collega Claudio Zali nell’ambito dell’«arrocchino» dello scorso luglio.

Pagani ritiene che il lungo tempo trascorso tra l’incidente e il test probatorio (effettuato secondo l’accusa una decina di minuti oltre le due ore previste dall’Ordinanza sul controllo della circolazione stradale) avrebbe dovuto imporre il prelievo del sangue. I due graduati – difesi dagli avvocati Maria Galliani e Roy Bay – ritengono di aver agito correttamente. «Non abbiamo mai voluto favorire Norman Gobbi. Abbiamo agito come sempre fatto», hanno detto in aula. A influire sulla catena di eventi, ci torneremo più avanti, anche il fatto che gli alcoltest probatori per mesi non fossero calibrati.

A dare il via al procedimento penale, lo ricordiamo, era stata un’interpellanza presentata nel marzo del 2024 del presidente del Centro, Fiorenzo Dadò. Come precisato dalla Magistratura, nessun’inchiesta è stata aperta nei confronti di Gobbi. L’11 giugno scorso il pg chiude l’inchiesta. Nei confronti dell’ufficiale di picchetto viene emanato un decreto di abbandono, mentre ai due graduati – sottufficiale superiore e capogruppo – è prospettato il rinvio a giudizio.

La catena degli eventi

Durante il dibattimento è stata ricostruita la dinamica dell’incidente. Centrali, infatti, sono le tempistiche ed è su questo aspetto che la giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti ha posto l’accento. Attorno a mezzanotte e un quarto l’automobile guidata da Gobbi viene urtata dalla vettura guidata da un cittadino tedesco e lo stesso direttore del Di chiama la polizia. L’incidente viene registrato con orario 00.25. A intervenire sul posto è una pattuglia della Polizia cantonale, che procede con l’alcol test precursore attorno all’1.20. Il risultato, come detto, è leggermente superiore al limite ma l’etilometro ha la «calibrazione scaduta» (questa la scritta comparsa sul display). I due poliziotti chiamano il loro diretto superiore, il capogruppo, il quale a sua volta allerta il sottufficiale superiore. Quest’ultimo chiama poi l’ufficiale di picchetto, che invia sul posto i due graduati, incaricandoli di procedere con il test probatorio (l’apparecchio si trovava a Camorino). In base all’atto d’accusa, il test viene effettuato «non prima delle 2.24-2.25» ad Airolo. Il sottufficiale superiore avrebbe quindi indicato al collega che «è prassi» prescindere dal prelievo se sono passati «pochi minuti» dalle due ore fissate dall’ordinanza. Entrambi hanno confermato di non aver discusso delle tempistiche dell’incidente con gli agenti intervenuti sul posto.

«Calibrazione scaduta»

Durante il processo è emerso che il problema della calibrazione scaduta era noto almeno da settembre 2023. «Come operativi di Camorino sapevamo di andare in giro con apparecchi con questo problema e, lo dico con vergogna, quando lo accendevamo non facevamo leggere la scritta all’utente», ha detto il capogruppo. Il problema è stato segnalato ai tecnici.

Prelievo sì, prelievo no?

Quella sera, ha argomentato il sottufficiale superiore, «non potevamo procedere celermente perché non avevamo i mezzi necessari (precursori non calibrati e probatori non distribuiti capillarmente sul territorio, ndr). Portare una persona, indipendentemente da chi sia, da Airolo a Bellinzona per un prelievo per pochi minuti mi sembra eccessivo». Quanto alla «prassi» sopracitata, entrambi gli imputati hanno affermato che della stessa se ne parlava già da tempo, da un anno, un anno e mezzo prima dei fatti».

Entrambi gli imputati hanno ribadito di aver agito correttamente e di non aver voluto favorire il ministro. «Quella sera, non vi era venuto il sospetto che Gobbi fosse oltre il limite?», ha domandato loro la giudice. «No. Ha collaborato aveva il pieno controllo di linguaggio e movimenti».

«Dopo i fatti ho chiesto se non fosse il caso di desecretare l’incidente. Per me sarebbe stato opportuno un comunicato stampa», ha poi aggiunto il sottufficiale. «Ma la decisione non era mia».

Pagani: «Un agire intenzionale»

Anche il procuratore generale, nella sua requisitoria, si è concentrato sulle tempistiche e sui regolamenti in vigore. «Tutto il procedimento penale ruota attorno a una norma imperativa che non prevede eccezioni e a tre quesiti: l’ordinanza è stata rispettata? Se no, gli imputati l’hanno calpestata intenzionalmente? Se sì, con dolo diretto o eventuale? Hanno agito convinti di comportarsi lecitamente alla luce dell’asserita prassi?».

«I primi due agenti intervenuti seguono alla lettera la procedura dopo che il probatorio ha indicato una «calibrazione scaduta» e interpellano i superiori (i due graduati). In una situazione normale, il capogruppo avrebbe ordinato subito di procedere con il probatorio ma alla luce del conducente illustre decide di interpellare il quadro superiore di picchetto, che a sua volta contatta il suo superiore», ha argomentato Pagani. «Quella sera bisognava procedere con il prelievo: vi era il concreto sospetto, grande come una casa, che avesse guidato in stato di ebrietà. Il test precursore indicava che qualcosa non andava…».

«Rinunciando al prelievo», gli imputati, ha affermato, «hanno agito intenzionalmente, con dolo diretto (o perlomeno eventuale)». Entrambi si sarebbero quindi perlomeno assunti il rischio di ignorare l’ordinanza, facendo capo a un’asserita prassi, peraltro foriera di arbitrio e disparità di trattamento». Per il pg «hanno agito perlomeno con la vaga sensazione di non essere a posto». Se quella notte, ha concluso, «avessero interpellato il procuratore di picchetto per chiedere lumi, oggi non saremmo qui. Certo, quella sera, si sono trovati a gestire una situazione critica che non hanno contribuito a creare. Sono ottimi professionisti, ma quella sera sono mancati per un istante lucidità, rigore e fermezza». Per entrambi ha chiesto la condanna per favoreggiamento, in correità, a una pena pecuniaria sospesa per due anni.

«Si sono attenuti alla prassi»

«La realtà è che se la persona fermata non fosse stata Norman Gobbi, oggi non saremmo in aula», ha argomentato Bay nella sua arringa. «Un episodio amministrativo è stato trasformato in un processo penale. La realtà è che quella sera gli imputati hanno esercitato un potere discrezionale umano che è concesso agli agenti di polizia», ha aggiunto. «Per il probatorio occorre anche il sospetto che chi ha guidato abbia bevuto, e qui entra in gioco il potere discrezionale». Il suo assistito (il capogruppo) non poteva sapere con esattezza l’orario di inizio o cessazione della guida del ministro: «Non è realistico, e nemmeno l’accusa è riuscita a ricostruire con esattezza l’orario del probatorio». Quella sera, poi, «Gobbi non aveva sintomi riconducibili a un'ebrietà e non vi era dunque la necessità di procedere a un prelievo».

La patrocinatrice del sottufficiale superiore, l’avvocata Galliani, ha respinto la tesi dell’intenzionalità e posto l'accento sulla difficoltà nello stabilire l'esatta tempistica: «Il mio assistito ha deciso di liquidare il sinistro senza procedere con l’esame del sangue, omettendo di verificare di quanti minuti fosse stato superato il limite di due ore. Lo ha fatto perché convinto in buona fede di agire correttamente in base alle informazioni in suo possesso. Aveva motivo per dubitare della loro correttezza? Chiaramente no: non aveva alcun motivo per ritenere che quanto comunicatogli dal capogruppo non fosse corretto». La prassi in seno alla Polizia, «tiene conto proprio dell’incertezza nel determinare gli orari: si parla di stime  e approssimazioni. Altrimenti, le analisi degli agenti devono spaccare il secondo. Se effettivamente a 2 ore 1 minuto si ordina la prova del sangue e a 1 ora e 59 si rinuncia, allora i dati devono essere certi. Ma non si può pretendere che siano gli agenti sul campo a fare delle ricostruzioni al nanosecondo». Secondo Galliani, manca l'elemento soggettivo del reato di favoreggiamento. 

Entrambi i difensori si sono battuti per l’assoluzione degli imputati. La sentenza verrà pronunciata nel pomeriggio.

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