Divieto degli smartphone a scuola, i partiti riconoscono il problema

Vietare i cellulari a scuola. A tenere caldo il tema, ieri, ci ha pensato il vicepresidente e consigliere nazionale del Centro, Giorgio Fonio. Il quale, tramite il proprio profilo Instagram, ha annunciato che l’iniziativa popolare «Lo smartphone resta a casa» è quasi pronta. La racconta firme inizierà a settembre con la presentazione del comitato di sostegno. Un comitato che, per l’occasione – ha dichiarato Fonio al CdT – ha incassato il sostegno di numerose associazioni, docenti e politica. Ma in Gran Consiglio qual è la sensibilità tra i principali partiti? A cinque anni dall’entrata in vigore del regolamento che impone agli studenti delle scuole medie di tenere gli smartphone spenti e non visibili all’interno del perimetro scolastico, la sensibilità della politica sul tema è cambiata. La consapevolezza che la questione vada nuovamente affrontata c’è. E questo è già un segnale indicativo.
PLR: «Il problema esiste»
«Negli ultimi anni, l’uso dei telefonini tra i giovani è diventato sempre più problematico», riconosce il presidente del PLR Alessandro Speziali. «I timori maggiori sono legati agli effetti negativi che questi strumenti possono avere sullo sviluppo delle capacità cognitive e di concentrazione dei giovani». Secondo Speziali, la proposta del Centro di vietare lo smartphone nasce anche dal fatto che le regole attuali non vengono applicate con sufficiente rigore. «Oggi ci troviamo nella situazione di dover intervenire in maniera più incisiva. Non sorprende quindi che l’iniziativa ha già trovato diverse simpatie a livello di PLR». Ciò detto, conclude Speziali, «la scuola deve restare un attore del processo educativo, ma non deve rimare da sola. L’uso sano del telefonino deve avvenire anche nelle famiglie».
PS: «Le direttive ci sono»
Il Partito socialista non ha ancora discusso il tema al proprio interno, premette la co-presidente Laura Riget, che quindi si esprime a titolo personale: «La problematica esiste e va presa sul serio. Mi chiedo però se un’iniziativa popolare sia davvero lo strumento più adeguato, anche perché delle direttive in materia esistono già. Il primo passo dovrebbe quindi essere quello di applicarle concretamente». Ma sarebbe sufficiente seguire alla lettera il regolamento per risolvere il problema? «Forse non del tutto, perché il tema è molto più ampio e va oltre il semplice uso dello smartphone a scuola. «Che tipo di società vogliamo costruire? E quale rapporto desideriamo che i bambini sviluppino con la digitalizzazione? Non si può pensare di vietare tutto. Piuttosto, dobbiamo educare a un uso responsabile di questi strumenti». Ad ogni modo, conclude Riget, applicare le direttive già in vigore rappresenterebbe sicuramente un passo avanti importante.
Lega: «Serve coerenza»
«Vengo da un’epoca in cui, alle scuole medie, i cellulari non esistevano ancora oppure iniziavano appena a circolare», premette Andrea Sanvido, vicecapogruppo della Lega e membro della commissione scolastica. All’epoca il telefonino era usato esclusivamente come strumento per telefonare. «La proposta di vietare i cellulari a scuola non mi vede contrario, soprattutto per una questione di socialità. Non possiamo ignorare il fatto che il telefonino sta ostacolando la comunicazione, non solo tra giovani, ma anche tra noi adulti. I ragazzi non parlano più tra loro, non si confrontano: manca sempre più la dimensione sociale». Sanvido non è quindi contrario, ma – dice – serve coerenza: «Tutti devono remare nella stessa direzione, compresa la scuola, che oggi ad esempio mette a disposizione prese per la ricarica dei dispositivi negli armadietti. In ogni caso, il dibattito sollevato da questa iniziativa è utile e può fare bene».
UDC: «Tematica attuale»
«In linea di principio, non sono molto favorevole all’introduzione di nuovi divieti», commenta il presidente dell’UDC, Piero Marchesi. «Detto questo, è chiaro che il tema esiste e non può essere ignorato. Forse dovremmo innanzitutto chiederci se le direttive attualmente in vigore vengano realmente applicate. Per quanto mi risulta, in molte scuole non lo sono: gli allievi possono utilizzare i telefonini anche all’interno del perimetro scolastico, segno che le regole non vengono rispettate». Secondo Marchesi, l’iniziativa del Centro, che sta coinvolgendo anche altri partiti, ha il merito di riportare la questione nell’agenda politica. «Altri Cantoni si stanno già muovendo in questo senso. Il problema esiste, perché l’abuso del telefonino da parte dei giovani si riscontra non solo a scuola, ma anche in famiglia. Dunque, sì, il tema va affrontato. Bisognerà poi valutare se sia opportuno intervenire in modo così incisivo, oppure se sia preferibile cercare soluzioni meno restrittive», aggiunge il democentrista. «Anche perché, prima di tutto, le direttive esistenti andrebbero fatte rispettare. La scuola deve certamente continuare a svolgere il proprio compito educativo, ma anche i genitori devono poter mantenere un contatto con i figli per organizzare, ad esempio, il dopo scuola». Da questo punto di vista, l’iniziativa può forse sembrare un po’ estrema, conclude Marchesi: «Ma potrà comunque portare a dei compromessi e a misure condivise. Di sicuro ha il pregio di riaprire un dibattito necessario».
Verdi: «Ma anche educare»
«Nel 2020, durante il dibattito in Parlamento, come Verdi ci eravamo espressi a favore di un approccio educativo», spiega Samantha Bourgoin, co-coordinatrice dei Verdi. «Oggi, l’evoluzione degli studi conferma che un divieto ben ponderato può avere effetti positivi: favorisce la socializzazione, migliora la capacità di concentrazione e contribuisce a ridurre fenomeni come il mobbing». Per questo, secondo Bourgoin, è necessario avviare una nuova riflessione sul tema: «Riteniamo però che un semplice divieto non sia sufficiente. È fondamentale affiancarlo a un’educazione all’uso consapevole delle tecnologie, che coinvolga non solo i ragazzi, ma anche le famiglie. Non si può solo proibire: bisogna accompagnare, spiegare e responsabilizzare».