Processo d'appello

Il mortale di Grancia torna in aula con il suo carico di dolore

Il giovane che nel 2021 causò la morte di una minore e il grave ferimento di un altro non contesta il reato di omicidio colposo, però chiede una riduzione di pena – Ma a farla da padrone è la sofferenza di tutte le parti coinvolte
©Gabriele Putzu
Federico Storni
07.05.2025 18:11

Ci eravamo lasciati, a fine 2023, con queste parole del giudice Amos Pagnamenta: «La sentenza odierna lascerà un senso di insoddisfazione da una parte o dall’altra, forse da entrambe. Ma il nostro lavoro è applicare il diritto: dura lex, sed lex». Così in effetti è stato, e probabilmente non poteva essere altrimenti, perché la vicenda – per dirla con l’avvocata Luisa Polli, patrocinatrice di una delle vittime – «sfugge alla logica del diritto e lo spinge ai suoi limiti». Parliamo dell’incidente mortale avvenuto a Grancia il 12 febbraio 2021 in cui perse tragicamente la vita una diciassettenne, mentre un sedicenne riportò ferite talmente gravi da costringerlo a convivere ancora oggi con le conseguenze.

Un incidente causato da un 25.enne portoghese nato in Ticino e condannato in prima istanza a tre anni e sei mesi di carcere per omicidio colposo, lesioni colpose gravi e ripetuta esposizione al pericolo della vita altrui. Era lui alla guida quel giorno, in piena emergenza COVID, nei parcheggi dei supermercati di Grancia. Ed è lui che ha chiesto di riconsiderare almeno in parte quella sentenza di un anno e mezzo fa, domandando che gli venga inflitta una pena di due anni interamente sospesa e che gli vengano riconosciute alcune assoluzioni (ma non dal reato principale di omicidio colposo, incontestato e cresciuto in giudicato). La sentenza bis della Corte d’appello e revisione penale (CARP), presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, sarà comunicata nelle prossime settimane.

«Vorrei un punto d’incontro»

Quello per il mortale di Grancia è un processo complesso, soprattutto emotivamente. Non vi sono infatti particolari scogli giuridici da affrontare: i fatti non sono contestati e l’unico dibattito «legale» riguarda le persone che, al contrario della giovane deceduta, su quell’auto erano salite sapendo cosa l’imputato avrebbe fatto, ovvero una corsa a gran velocità. Questa consapevolezza è una circostanza esimente per il 25.enne, tale da poterlo prosciogliere da alcune imputazioni? Per ora la pensano così solo i suoi difensori, gli avvocati Anna Grümann e Paride De Stefani: per la valutazione della CARP bisognerà attendere la sentenza.

Tolto questo punto, oggi in aula restavano solo rabbia e dolore. È difficile rendere a parole la forte carica emotiva che permeava l’aula penale di Lugano; una carica capace di scuotere anche i professionisti presenti: nemmeno per loro è stato un procedimento come gli altri. Per due volte la giudice Roggero-Will ha dovuto interrompere il dibattimento. Una prima volta per togliere la parola, che aveva irritualmente concesso, a una sorella della vittima, il cui intervento stava trascendendo gli impliciti confini di quella particolare concessione. La decisione della giudice ha suscitato le vive proteste dei familiari. Una seconda volta per un mancamento della madre della giovane, avvenuto mentre i difensori dell’imputato stavano cercando di dimostrare il suo sincero pentimento.

Ed è proprio questo punto che è tuttora fonte pulsante di dolore. Da un lato, alcuni familiari faticano a trovare risposte alle loro legittime sofferenze e lamentano il fatto che l’imputato non abbia mai chiesto loro scusa guardandoli in faccia; dall’altro lato, l’accusato che in aula appare controllato al punto da risultare freddo e quasi indifferente, ma che, a detta di praticamente tutti coloro che si sono occupati della vicenda, soffre molto per quanto commesso, senza però avere gli strumenti per esprimere le sue emozioni. Un passo l’ha infine fatto lui stesso, al termine del dibattimento, stavolta faticando a trattenere l’emozione e ribadendo più volte di non voler paragonare la sua sofferenza a quella dei familiari della giovane, a cui si è rivolto: «Vorrei appellarmi a voi: sento molto dolore e molta rabbia per quanto accaduto. So di essere colpevole e non voglio sfuggire alle mie responsabilità. Quello che è successo è colpa mia. Mi scuso anche per le mie difficoltà emotive ad esprimermi. So che non potrò mai pretendere il vostro perdono, perché quello che ho fatto è imperdonabile e niente di quello che potrò fare riporterà qui la vostra cara. Ma ritengo che ora le nostre vite siano connesse e, alla fine della procedura penale, vorrei un punto d’incontro con voi. Ma comprenderò la vostra decisione se non vorrete mai più parlarmi». Un primo passo, insomma, per provare a intavolare un percorso di giustizia riparativa, che potrebbe ancor più del contesto penale aiutare le persone coinvolte a fare i conti con quanto accaduto.

«Non ci sono vincitori»

Data la singolarità del processo penale, anche le parti hanno prestato particolare attenzione all’aspetto emotivo nei loro interventi. La procuratrice pubblica Margherita Lanzillo ha parlato di «una tragedia che ha spezzato una giovane vita e segnato molte altre nel corpo e nell’anima. Tragedia conseguente a una scelta scriteriata dell’imputato che ha deciso di trasformare una strada in una pista e un’utilitaria in un bolide. Non aveva le competenze, i mezzi e il diritto di correre quel rischio per gli altri. Non è stato un errore sfortunato o una fatalità, ma una colpa grave. L’imputato non ha mai cercato di eludere le sue responsabilità e mi sembra che oggi abbia maggiore consapevolezza di quanto da lui compiuto. La pena che gli verrà inflitta non ridarà la vita perduta, ma sarà un segnale chiaro che la legge protegge la vita umana».

L’avvocata Demetra Giovanettina, patrocinatrice dei familiari, ha per contro sottolineato che «a tormentare i miei assistiti è il non sapere se l’imputato ha capito cosa ha fatto. Vi sono aspettative agli opposti riguardo al giudizio che dovrà dare questa Corte e che, come pochi, richiederà un bilanciamento difficile e doloroso. Sarà uno scontro tra chi chiede di andare avanti e chi avanti non può andare più». L’avvocata Polli, infine, ha rivolto un pensiero anche all’imputato: «Penso che nessuno di noi ignori che porterà forse per sempre il peso morale di quanto accaduto, e che questo peso non è leggero. In questa storia non ci sono vincitori, solo persone che dovranno convivere con le conseguenze di un momento che ha distrutto tutto».

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