L'intervista

«Il raddoppio in Governo è possibile, ma ad altri partiti ho detto “no, grazie”»

La linea politica e le idee di Boas Erez, il quinto nome sulla lista rossoverde per la corsa al Consiglio di Stato – Candidato della società civile? «Un ruolo che mi dà maggiore libertà»
© CdT/Gabriele Putzu
Gianni Righinetti
17.11.2022 06:00

Lui c’è e ci crede. Boas Erez è il quinto nome sulla lista rossoverde per la corsa al Consiglio di Stato. Punta al raddoppio dell’area in Governo e si dice «entusiasta». La sua candidatura è stata presentata da Laura Riget (PS) e Marco Noi (Verdi).

Boas Erez, qual è il motivo principale della sua discesa in campo in politica?

«Il motivo è dato dal fatto che sono stato invitato a farlo. E ho preso sul serio questo invito. Le risposte che ho avuto alle domande che ho posto mi hanno convinto del fatto che avrei potuto fare qualcosa di utile e apprezzato. È chiaro che socialisti e Verdi considerano la mia candidatura come un sostegno alla lista unitaria. Personalmente, faccio campagna per arrivare in Consiglio di Stato. Credo che l’area abbia il potenziale per tentare un raddoppio in Governo, e questo mi motiva. È una sfida interessante per riuscire a fare qualcosa per risolvere i problemi che assillano il cantone».

Quindi lei crede nel vostro raddoppio in Consiglio di Stato?

«Lo spero, è possibile. Penso sarebbe meritato. Bisogna convincere gli elettori e anche chi ha perso un po’ le speranze. Ecco, il programma proposto da PS e Verdi può ridare speranza a queste persone. Poi non ne faccio una questione strettamente personale, andrebbe bene anche se fossero elette due donne».

Ha detto di essere stato approcciato anche dai Verdi liberali e dal PLR. Perché invece ha scelto la lista rossoverde?

«È una questione di accenti. Mi sembra che il lavoro che hanno fatto socialisti e Verdi assieme sia sfociato in qualcosa di più attuale, pragmatico ed efficiente rispetto agli altri. Hanno messo a fuoco meglio, in modo più netto, i problemi e le soluzioni che bisogna portare».

In un mondo dove molti si autocandidano, lei è stato scelto. E può quindi permettersi di mantenersi indipendente.

«È una congiuntura molto particolare, sì. Ma la mia posizione di indipendente è nell’interesse della lista rossoverde. Non bisogna minimizzare il fatto che socialisti e Verdi abbiano lasciato un posto libero per un rappresentante non disciplinato da un partito. Aprire ai giovani e a qualcuno della società civile non significa che all’interno dei partiti non si possa fare un certo tipo di carriera politica. È, appunto, un segnale di apertura verso altri punti di vista. Verso qualcuno che non ha pagato i galloni. Io non sono qui semplicemente per puntellare la lista. Giocheremo di squadra, tutti insieme per dare una spinta all’area».

È stato molto trasparente, ammettendo abboccamenti con altri partiti. Qual è l’elemento che le ha fatto decidere di abbandonare certe discussioni in favore della candidatura per la lista rossoverde?

«Sono stato io a dire ‘‘no, grazie’’. Non c’è stata una chiusura o una rinuncia da parte di quei partiti. È stata una questione di feeling. Una volta che ho deciso di lanciarmi, volevo trovare un gruppo con il quale condividere i successi ma anche gli insuccessi. A torto o a ragione, mi sono trovato meglio con l’area rossoverde».

Che idea ha del futuro Consiglio di Stato in caso di elezione? Come si vedrebbe in Governo?

«Il sistema svizzero vuole che il Consiglio di Stato operi in maniera collegiale. D’altra parte, un candidato viene eletto sulla base di un programma. E il programma rossoverde presentato sulla piattaforma lo condivido. Dal punto di vista politico cercherò quindi di convincere gli altri colleghi di Governo della bontà di questa linea. E che certe posizioni andrebbero cambiate rispetto a parecchi aspetti. Penso alla politica economica o alla sanità».

Ha spiegato che non sarà in lista per il Gran Consiglio, perché avrebbe dovuto scegliere con chi stare dei due della coalizione. Qualcuno potrebbe tuttavia obiettare (come già avvenne con Amalia Mirante nel 2015 e 2019) che la sua corsa non porterà voto dove conta: il Gran Consiglio. Quindi la sua è una candidatura sprecata?

«Non sarà una corsa fatta per nulla. Dal punto di vista personale, ad esempio, mi sto già arricchendo moltissimo. Quanto ai risultati politici, credo che l’energia che posso portare all’area potrà tradursi in un sostegno per le altre candidature, anche in Parlamento. In conclusione, non sarà una candidatura inutile».

La definizione di «rappresentante della società civile» suona come un’etichetta. Ma a lei le etichette stanno bene?

«Significa semplicemente che non sono un membro dei due partiti. Inoltre, sapremo chi rappresento solamente a elezione avvenuta, contando i voti e guardando al sostegno ricevuto. In fondo, qualsiasi politico dovrebbe rappresentare tutta la società civile. È vero, però un politico deve anche sottostare a ciò che il partito porta avanti. Il ruolo che mi è stato concesso da PS e Verdi si traduce con una maggiore libertà rispetto agli altri candidati. Il termine ‘‘società civile’’ non mi disturba affatto».

Finora i ticinesi l’hanno conosciuto come rettore dell’USI, come mediatore (Cardiocentro, autogestione) e, mi permetto, come persona vicina all’area no-vax. Quale sarà il Boas Erez che vedremo in campagna elettorale?

«Lo stesso. Voglio portare avanti la mia sensibilità verso il tema della coesione sociale. Ne ho discusso anche nell’ambito della mia candidatura. Una delle caratteristiche della Svizzera è il non dimenticarsi delle minoranze. Anche dopo un voto popolare come quello sul certificato COVID. È una questione di decenza. Lì c’è stata molta violenza, altre persone hanno perso fiducia nei confronti del sistema politico. Poi non sono no vax, mi sono vaccinato».

Lei è un europeista convinto?

«Sì. Ma attenzione: c’è una maniera intelligente di porsi. Ciò che all’Europa dà fastidio è che la Svizzera pretende un trattamento speciale rispetto agli altri membri. Io sarei pronto a dire che la Svizzera è speciale, cercando di spiegare agli altri perché il nostro Paese è speciale. Molti Paesi membri non sanno come funziona la Confederazione, di quali strumenti democratici dispone. Non credo che Bruxelles conosca fino in fondo l’iniziativa popolare o il referendum. Ma la Svizzera deve rendersi conto che non può stare senza Europa».

In un’intervista ha manifestato il suo interesse anche per la politica federale. Questo è un banco di prova a livello di popolarità in vista di Berna?

«Poteva esserlo fino a qualche mese fa. Ora la mia candidatura è esclusivamente per il Consiglio di Stato».

Quale tema dei socialisti condivide maggiormente?

«Io sposo la piattaforma PS-Verdi, la piattaforma. Credo sia importante che il Ticino sia un posto accogliente, con una forte coesione sociale».

Alcuni dicono che lei non lascia spazio alla diplomazia. Che ne pensa?

«Ambasciator non porta pena. Il diplomatico cerca di mettere d’accordo le parti, ma quando deve prendere delle decisioni diventa una sorta di giudice. E, appunto, deve decidere. Magari scontentando qualcuno. Durante la mia carriera ho sempre preso diverse decisioni, e quindi so di avere una certa immagine. Ma, appunto, io sono un diplomatico. Poi è vero, devo imparare, ogni tanto, a rallentare».

Testiamo il suo grado di diplomazia. Capisce, tollera o condanna chi imbratta le opere d’arte in nome del clima?

«La sola maniera di capirla è che si sta cercando di portare l’attenzione su un problema. È efficace? No. La condanno? Sì, perché si attacca l’arte. E si attacca qualcosa di pubblico».

Ci sono due tipi di sinistra. Quella della concordanza e quella di lotta. A quale appartiene?

«La risposta giusta è la sinistra che vuole governare e assumersi le responsabilità».

Si è detto preoccupato per il calo demografico. In Ticino c’è ancora posto per accogliere nuovi cittadini?

«Sì, certo. L’accoglienza significa però anche favorire la natalità, far sì che i giovani non scappino».

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