Sei anni per la maxi truffa

Due le questioni che la Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta era chiamata a dirimere oggi. La prima: se condannare o meno il 45.enne italiano alla sbarra per presunte truffe da oltre 24 milioni di euro. E la risposta in questo caso è stata affermativa: l’imputato è stato condannato a sei anni di carcere, senza espulsione. La seconda questione: se ordinare o meno un sequestro per un importo equivalente a 4,5 milioni di franchi all’avvocata luganese e membra del Consiglio della Magistratura Simonetta Perucchi Borsa, nonché invitare il Ministero pubblico ad aprire un’indagine penale nei suoi confronti. Queste richieste erano state avanzate martedì dall’avvocato Emanuele Stauffer, legale di una delle vittime del 45.enne: la Corte non ha dato seguito alla richiesta di sequestro, affermando di non averne competenza, ma ha effettivamente invitato il Ministero pubblico a darsi una mossa nell’esaminare se la fattispecie evocata possa avere risvolti penali, anche perché fra un paio d’anni potrebbe andare in prescrizione.
Partiamo dalla maxi truffa, per cui l’imputato chiedeva l’assoluzione. Per la Corte si è in sostanza trattato del classico schema buco-tappabuco, in cui gli utili (per così dire) venivano saldati con i soldi di altri investitori. La particolarità era data dalla capacità dell’imputato di sembrare competente nel ramo, grazie a un uso «fumogeno» della lingua italiana: per la Corte ricorreva a «parole altisonanti» paragonabili a «spessissime coltri di fumo sotto cui c’era nulla, se non i milioni spariti». L’uomo i soldi li avrebbe infatti usati tutti per fare la bella vita e per farla fare ai suoi familiari nel Padovano. Nessun vero investimento è mai stato fatto, né ci sono soldi a Singapore (dove diceva di investire) o in America (dove avrebbero avuto sede le banche che diceva lo appoggiavano). Come ha circuito, quindi, le sue cinque vittime, tutte imprenditori o dirigenti d’azienda? «Non ha fatto leva su simpatia o affabilità, ma su un atteggiamento spocchioso che faceva trasparire sicurezza. Una sicumera in grado di dissolvere qualsiasi sospetto, oltre alla produzione di documentazione falsa atta a mantenere gli investitori in errore».
Al netto di un possibile Appello da parte dell’imputato, la vicenda sembra destinata ad avere un seguito. A fine 2018, quando il 45.enne era già stato denunciato, vi è stata una truffa nella truffa in cui una vittima dell’uomo è stata convinta a versare 4,5 milioni di franchi per - credeva lui - subentrare nell’investimento di un’altra vittima. In realtà quei soldi servivano per tacitarla e farla desistere dall’azione penale, di cui peraltro il «doppiamente truffato» non sarebbe stato resto edotto. Ebbene, martedì il suo legale, l’avvocato Emanuele Stauffer, ha chiamato in causa per questa vicenda, oltre che l’imputato, i professionisti che si sono occupati di questa transazione, in particolare l’avvocata Simonetta Perucchi Borsa, sui cui conti erano stati transitati i soldi. Ebbene, Stauffer aveva chiesto che la Corte invitasse il Ministero pubblico a indagare la fattispecie, cosa a cui il giudice Pagnamenta oggi ha in effetti dato seguito: «La Corte concorda con quanto sollevato ieri dall’avvocato Stauffer riguardo a possibili corresponsabilità di professionisti della regione nella vicenda. Non si capisce perché uno di loro (Perucchi Borsa, ndr.) sia stato sentito come persona informata sui fatti e poi l’incarto sia rimasto inattivo». Il pp Andrea Gianini (titolare dell’inchiesta, anche se a sentire Perucchi Borsa era stato il procuratore generale Andrea Pagani) aveva spiegato martedì che si voleva attendere la condanna dell’imputato per riciclaggio (ora avvenuta), altrimenti sarebbe potuto cadere il reato a monte. Una giustificazione che ha convinto solo fino a un certo punto la Corte, la quale ha affermato che se ciò poteva anche essere vero per il riciclaggio, non lo è invece per le ipotesi di reato avanzate da Stauffer, vale a dire carente diligenza in operazioni finanziarie e falistà in documenti: «Invitiamo il Ministero pubblico a darsi una mossa», anche perché la prescrizione incombe: arriverà fra un paio d’anni. La via per l’istruzione dell’indagine sembra dunque tracciata. In tutto questo Perucchi Borsa non era oggetto del presente procedimento (né di altri) e nemmeno era presente in aula penale. La legale ci ha riferito di essere pronta a chiarire ancora la sua posizione davanti agli inquirenti. «L’azione penale compete al Ministero pubblico e il procuratore generale mi ha già sentito nel 2018, ma se dovesse ritenere utile interrogarmi di nuovo, io sono a disposizione. Come ho già detto, rigetto tutte le accuse mosse nei miei confronti, e mi riservo di chiedere l’accesso alle informazioni in base a cui sono state fatte quelle affermazioni in aula». Aspetti legali. Poi ci sono quelli umani. «Fa male - conclude Perucchi Borsa - essere stata giudicata pubblicamente senza aver avuto la possibilità di prendere posizione».