Testamento fantasma, condanna reale

Si è conclusa a Losanna la vicenda giudiziaria con al centro un’ingente truffa milionaria orchestrata (anche) sulla base di un misterioso testamento. Ad orchestrarla era stato Alessandro Cipollini, un matematico sulla quarantina attivo nel settore finanziario per compiere un raggiro, tra inizio 2020 e il dicembre del 2021, che secondo gli inquirenti superava i 3,3 milioni di franchi.
Dopo una condanna in primo grado nel novembre del 2022 e un passaggio in Appello qualche mese fa, il Tribunale federale ha recentemente scritto la parola fine confermando la condanna a tre anni e mezzo di carcere (sospesi per quattro anni) e l’espulsione dalla Svizzera per sette anni.
Un permesso senza controlli
La vicenda era approdata in aula nel novembre di due anni fa. In primo grado, il finanziere era stato condannato a quattro anni di carcere sospesi e all’espulsione per sette anni siccome colpevole di truffa (ripetuta) per mestiere (in parte tentata), falsità in documenti (ripetuta), infrazione alla Legge federale sugli stranieri (per aver ingannato le autorità cantonali allo scopo di ottenere il permesso B, che gli era stato concesso facilmente e senza controlli da parte delle autorità). È stato invece prosciolto da un tentativo di truffa. Lo scorso 29 febbraio, la Corte di appello e revisione penale aveva parzialmente accolto un ricorso dell’imputato, difeso dall’avvocato Rossano Bervini, e ridotto la condanna a tre anni e dieci mesi, confermando però l’espulsione. Corposi anche i risarcimenti agli accusatori privati, vittime dei suoi raggiri.
Il documento contestato
Al centro di tutto, un testamento «fantasma», potremmo chiamarlo così. Ossia quello che avrebbe designato Cipollini quale proprietario di una fondazione con un patrimonio milionario. Gliela avrebbe lasciata suo nonno, morto nove anni fa e personalità nota in Italia per i suoi legami con il Vaticano e le sue opere caritatevoli. Il documento originale non è mai stato trovato. In compenso, copiando e incollando firme e timbri con l’aiuto di alcuni «collaboratori», l’accusato ne aveva allestito uno fittizio che confermava i contenuti del presunto lascito. Grazie a questa e altre attestazioni farlocche (il consolato vaticano a Berna negherà l’esistenza del documento), fra cui estratti patrimoniali e certificati salariali, l’imputato aveva ingannato diverse persone facendosi anticipare laute spese in attesa di recuperare i soldi della fondazione o altre somme, a suo dire, bloccate per motivi fiscali.
Tra le vittime anche due investitori americani (rappresentati dall’avvocato Paolo Bernasconi) il già granconsigliere, consigliere comunale e presidente del PLR luganese Giorgio Grandini (patrocinato dall’avvocato Luca Trisconi) il quale, nell’attesa che si sbloccasse la presunta eredità, aveva anticipato per Cipollini diverse spese e anche pagato dei debiti, oltre a non incassare il compenso per il suo lavoro di legale. Il tutto aspettando soldi che non sarebbero mai arrivati e che, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, non sono mai esistiti. Tra anticipi, lavoro non pagato e altri favori finanziari, l’avvocato luganese aveva perso centinaia di migliaia di franchi. E lo stesso Grandini si era ritrovato al centro di un procedimento penale (sfociato in un decreto d’accusa da lui contestato) per una compravendita di un immobile. In sostanza, l’avvocato contava di riuscire a onorare degli impegni con un cliente grazie alle prestazioni professionali dovutegli dall’imputato. Ma il denaro non era arrivato. Su questo fronte, però, non si segnalano novità.
Tesi respinta
Nel ricorso al Tribunale federale, Cipollini si era difeso sostenendo che il suo comportamento nei confronti di Grandini non realizzerebbe il reato di truffa per mestiere, difettando in particolare il requisito dell’inganno astuto. In pratica, ha affermato che l’avvocato luganese sarebbe stato consapevole dell’esistenza di documenti falsi, accusandolo di fatto «di non avere svolto in modo professionale il suo mandato, ma di avere agito allo scopo di arricchirsi a sua volta». Tesi, questa, respinta dall’Alta Corte federale.