«Una fontana che fa riflettere su quelle creature mai nate»

A Locarno, nel Parco delle Camelie, c’è una roccia che per lungo tempo era rimasta nel giardino di una casa a Cevio. È immersa nel verde, quasi nascosta da imponenti alberi. Ma la si raggiunge facilmente, percorrendo un breve sentiero. La grande pietra ha un incavo riempito d’acqua e, sotto la superficie calma e trasparente, si vedono dei ciottoli. La corrente, impercettibile, fa zampillare piano piano due rivoli, uno di fronte all’altro, facendo riunire delicatamente l’elemento liquido alla terra con flebili ticchettii. «Questi rappresentano ognuno un bambino che non è mai nato», spiega al Corriere del Ticino Sarah Zschokke, indicando le decine di sassolini accolti nella vasca, unica parte lavorata del macigno.
Un’espressione, «bambini mai nati», usata per dare un nome alla fontana nella documentazione disponibile in rete. «Ma io ci sono legata solo fino a un certo punto. Ciò che conta di più, comunque, è il significato che rappresenta, più della denominazione in sé».
«Mancava qualcosa»
Levatrice dal 2005 e oggi indipendente, conosce molto bene, oltre a quello gioioso, anche l’aspetto più duro e difficile della professione: l’accompagnamento delle famiglie che hanno subìto la perdita della creatura tanto attesa ancora nel corso della gravidanza.


«Una volta finito il periodo ospedaliero, avevo l’impressione che le coppie rimanessero un po’ sole. Sentivo che mancava qualcosa. Così ho pensato: forse potrei creare un luogo per commemorare queste perdite, che dia il messaggio che sì, è una cosa tremenda e può succedere. Ed è lecito stare male, sentirsi tristi o a disagio», racconta ancora la 48.enne. Un fenomeno, quello delle morti perinatali, molto più frequente di quanto si possa pensare: «Soprattutto nel primo trimestre, si calcola un 20-25%. Poi, col progredire della gestazione, diventano più rare ma non per questo meno dolorose».
E così, nel 2019, parte la prima lettera indirizzata a Palazzo Marcacci, con un appello a realizzare un sito aperto a chiunque voglia riflettere per tentare di superare una situazione difficile, non per forza legata a un lutto.
Trasformare la sofferenza
«Spero che qui si trovi la dimensione giusta per elaborare, trasformando la sofferenza in qualcosa di diverso, forse anche in una forza. Già all’epoca ero convinta che Locarno fosse il posto giusto per proporre l’iniziativa: una città di rilievo, con tante aree naturali ricche di vegetazione. Il Comune è stato molto collaborativo e oggi siamo qui, in un’area meravigliosa e sempre accessibile in tutte le stagioni, poiché priva di recinzioni, quasi un invito a recarvisi nei momenti più intimi e più adatti al raccoglimento e alla meditazione».
Una raccolta fondi apprezzata
Poi, però, a un certo punto del progetto - quando è ancora solo un’idea - arriva la pandemia: «In quel periodo si era fermato tutto, ma non l’adesione a una raccolta fondi che avevo messo in piedi per conto mio, senza appoggiarmi a particolari piattaforme», continua la nostra interlocutrice.
La proposta attira l’interesse di centinaia di persone e nel frattempo si fanno avanti varie realtà, sia pubbliche sia private, tra enti e associazioni. «Un sostegno che mi ha lasciato davvero sorpresa». Nel giro di tre settimane l’obiettivo di 20.000 franchi è superato. «È stata una fortuna aver raccolto più del dovuto, siccome i costi si sono rivelati più alti di quanto prospettato». In effetti, la complessità per concretizzare l’opera abbonda, tra scavi, impianti idraulici, movimentazioni con la gru. «Già, un percorso lungo, se ci ripenso. Alla fine, però, ne è valsa la pena. Ho ricevuto parecchi messaggi, soprattutto da donne che avevano vissuto la cosa sulla loro pelle. Molte di loro, oggi anziane, mi hanno scritto raccontando il peso che ancora portavano dentro».
«Né riti né, forse, parole»
La necessità di uno spazio come quello concretizzato nel 2023 - ancora in fase di rifinitura con una panchina da installare - è venuta allo scoperto: «Per molti genitori la ferita resta aperta a lungo ed è difficile voltare pagina. Inoltre non ci sono riti dedicati, né, forse, parole per esprimere una scomparsa tanto astratta, quanto concreta per coloro che la subiscono e per chi gli è vicino», conclude l’esperta, rimirando il delicato movimento del ruscelletto, «come a richiamare l’idea che la vita continua», in un messaggio di speranza e di ricordo.