Il commento

Crisi FC Lugano, serve una chiara scelta di campo

Risultati e malessere dello spogliatoio alla mano, il club disporrebbe di sufficienti motivi per esonerare Mattia Croci-Torti - Ma in caso di rinnovata fiducia nell'allenatore, i segnali inequivocabili andranno trasmessi all'interno del gruppo
Massimo Solari
09.08.2025 06:00

Togliamoci subito il dente. Di motivi per esonerare Mattia Croci-Torti, la dirigenza dell’FC Lugano ne avrebbe a sufficienza. Non perché primo colpevole dell’inarrestabile discesa agli inferi della squadra bianconera, ma - oggettivamente e cinicamente - per tre ragioni: le dinamiche malsane di uno spogliatoio sempre più scollato dal suo condottiero, l’allarmante serie di risultati negativi e - a essa legata a doppio filo - l’importanza dell’annata 2025-26 ai fini della messa in funzione e della valorizzazione della nuova AIL Arena. Ebbene, osservata da queste diverse angolature, la situazione attuale è oramai diventata insostenibile.

Le responsabilità del Crus, ad ogni modo, finiscono laddove cominciano quelle altrettanto manifeste e persino più gravi della società. Una società, e parliamo in particolare della gestione sportiva, incapace di cogliere i molteplici segnali di malessere e i limiti della rosa, subendone passivamente i capricci e pasticciando laddove sarebbe servito un atteggiamento risoluto. Quanto sta accadendo con Albian Hajdari, per dire, è assurdo. Sia per le ripercussioni interne al gruppo, sia per le conseguenze sul mercato in entrata.

A incarnare il caos bianconero v’è l’ultimo, presunto alterco che avrebbe coinvolto l’allenatore e il leader (senza meriti recenti) Renato Steffen. Vera, parzialmente fedele o falsa che sia, l’indiscrezione è emersa in un frangente tanto critico, quanto sospetto. E, va da sé, a darle una spintarella fuori da Cornaredo non è stato il tecnico, la cui posizione - non da ultimo per il primo obiettivo stagionale fallito prematuramente - non era mai stata così fragile. Insomma, che in squadra vi sia anche chi anela a mettere kappaò Mattia Croci-Torti è più un’evidenza che una supposizione. E le indegne prestazioni fornite contro Sion e Celje, beh, non contribuiscono a eventuali ravvedimenti. Anzi. L’aria è avvelenata. E così, in vista dell’imminente sfida casalinga contro il Basilea, si fanno largo un pizzico di terrore e l’inevitabile quesito: quello che vedremo sarà l’ultimo Lugano targato Croci-Torti? La settimana che include l’inutile trasferta in Slovenia e, salvo ennesimi psicodrammi, lo scontato primo turno di Coppa Svizzera non si presenta esattamente come un’alleata del 43.enne momò.

Tocca comunque ai vertici - e finanche alla conservativa proprietà americana - fare una scelta di campo. Stare dalla parte di un allenatore che per tre stagioni e mezzo ha tirato fuori il meglio dalla sua compagine, dalla parte di quello che rimane un simbolo per buona parte della piazza? Oppure, come avviene in quasi tutte le realtà sportive che si stanno schiantando contro un muro, cambiare il pilota nella speranza che l’auto difettosa torni magicamente a svoltare? Volendo estremizzare il concetto, ai dirigenti bianconeri si chiede di indietreggiare di otto mesi e di soppesare quei due rinnovi triennali annunciati a stretto giro di posta. Croci-Torti da una parte, Steffen dall’altra. Schierarsi, e farlo con forza e chiarezza, è urgente. Consapevoli che - in condizioni così avverse - si tratterà in ogni caso di una decisione impopolare per gli uni e invisa ad altri. Di sicuro vi saranno solo perdenti.

Senza allontanarsi granché da Cornaredo, l’esempio dell’HC Lugano e della tormentata separazione da Luca Gianinazzi costituisce una spia accesa. Anche se lo strappo, per quanto giunto con colpevole ritardo, non aveva fatto miracoli con un roster di scarso spessore. L’unica buona notizia, qui, è che non è ancora metà agosto e, al netto delle ambizioni europee già annichilite, rimane un intero campionato da vivere o, nella peggiore delle ipotesi, condurre in porto limitando i danni. Eppure, rileggere alcune dichiarazioni d’intenti fa male. «Vogliamo eliminare la parola fallimento dal nostro vocabolario» sosteneva il Crus nemmeno un mese fa. «Per farlo occorre far sognare i tifosi, regalare loro emozioni. Insomma, creare una squadra che giochi sempre per vincere e sappia raggiungere determinati risultati, che alla fine sono la cosa più importante». Ma che, tornando alla premessa e senza fare dell’allenatore il primo colpevole, mancano da tanto tempo. Troppo tempo.

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