Grazie Roma, o forse no

Sono stati trenta minuti fastidiosi. Fonte anche di un certo disagio. Sì, lo smarrimento della Svizzera - tra il 15’ e il 45’ della sfida di Lisbona contro il Portogallo - deve aver provocato angoscia nello spettatore. In noi, perlomeno, lo ha fatto. Di più: l’impotenza di Schär e compagni di fronte alle allegre scorribande dei lusitani ha riportato a galla un’altra bruttissima serata. E, di riflesso, altre pessime sensazioni. Correva il 16 giugno dello scorso anno, e all’Olimpico i rossocrociati subivano una tremenda lezione dall’Italia futura campione d’Europa. Ricordate? Alla seconda curva della fase a gironi, e dopo un esordio balbettato con il Galles, la selezione elvetica aveva conosciuto Roma «kaputt mundi». Con il match che, anche allora, si era ben presto trasformato in una lenta agonia. Dietro avevamo ballato, con in particolare Mbabu e Rodriguez ridicolizzati dalle folate di Spinazzola e Berardi, mentre nel cuore del campo Xhaka e Freuler - in inferiorità numerica - erano stati annichiliti dal terzetto Jorginho-Locatelli-Barella.
La squadra di Vladimir Petkovic, va da sé, era finita nell’occhio del ciclone. Attaccata su più fronti, e in modo pure pretestuoso: i capelli ossigenati, i tatuaggi prima dell’Euro, eccetera, eccetera. Bene. Perché punto nell’orgoglio, e come altre volte in passato, il gruppo aveva reagito. E alla grande. Trascinato dalle reti e dalla determinazione dei senatori: Xhaka, Sommer, Shaqiri e mettiamoci pure Seferovic. I primi tre, capitani della Nazionale, avevano altresì accettato di «unire i tavoli» con i media, volendo rubare un’espressione cara al vecchio ct. Una lunga intervista, all’ombra degli ulivi dell’Hotel Parco de’ Medici e del suo golf club, prima degli ottavi di finale contro la Francia, poi passati alla storia.
Ora ci risiamo. O meglio, siamo curiosi di capire se la storia e il suo canovaccio si ripeteranno. Alla luce delle controprestazioni nelle prime due uscite di Nations League, Granit, Xherdan e Yann hanno optato per una cena di squadra, a Lisbona, la sera prima del rientro a Ginevra per le gare contro Spagna e di nuovo Portogallo. Niente allenatore, nessun elemento dello staff. No, i tavoli a questo giro sono stati spostati in direzione dei compagni, nella speranza di ricompattare l’ambiente. Di ritrovare le migliori sensazioni e quella solidarietà che - nei piani dell’ASF - dovrebbe costituire uno dei valori cardine delle selezioni nazionali. A confermare la bontà e il grado di penetrazione dell’azione promossa da coloro che portano la fascia al braccio, una volta di più, sarà il campo. E, in tal senso, le risposte che saranno fornite questa sera e domenica allo Stade de Genève, chiariranno meglio la sincerità del rapporto che lega chi sta in panchina e chi è chiamato a rispettarne le consegne. Negli ultimi anni, dicevamo, la forza della Svizzera si è palesata proprio in questi frangenti delicati. Quando il tenore delle critiche tendeva ad aumentare, magari sfociando in forzature. E gli uomini chiave, invece che cedere alla pressione, riuscivano a tirare fuori il meglio. Per dire: senza orgoglio, lucidità e unità d’intenti, mai sarebbe stato possibile raggiungere gli agognati quarti di finale di un grande torneo. E nemmeno mettere in difficoltà, per lunghi tratti, la Spagna. Dettaglio: a San Pietroburgo - dopo la mostruosa prova di Bucarest - Granit Xhaka non c’era. Alle 20.45 sarà per contro titolare. Resta da capire se nella (ritrovata) veste di leader o se quale fonte di fastidio e disagio.