Mettere un freno per tempo all’illegalità

È purtroppo arrivato il momento di dire che la questione delle manifestazioni di protesta in Ticino sta sfuggendo di mano alla politica legiferante e a quelle forze dell’ordine che dovrebbero sorvegliarne - e garantirne - il corretto e tranquillo svolgimento. Ripercorrendo gli ultimi due mesi di manifestazioni nel nostro cantone, l’immagine complessiva che se ne ricava è preoccupante, perché sappiamo bene come disordine chiami ulteriore disordine, se non si mettono dei paletti per tempo. Intendiamoci: nessuna censura. In Ticino come in Svizzera vigono la libertà di opinione e quella di riunione in luogo pubblico e ci mancherebbe che così non fosse. Si tratta di beni inestimabili, ça va sans dire. Ma fino a prova contraria l’anarchia e l’illegalità non hanno ancora messo casa sul nostro territorio e la protesta di alcuni non può e non deve diventare l’incubo di altri.
Qualche esempio per spiegarci meglio. Poco dopo la metà di settembre, un «presidio rumoroso» pro Palestina fuori dal Teatro Sociale a Bellinzona, dove la Camera di commercio aveva organizzato una conferenza, ha costretto il consigliere federale Ignazio Cassis a essere scortato all’interno per un ingresso secondario e ha dimezzato, in pratica, gli accessi all’evento. Alla fine solo metà delle persone che volevano seguirlo ci sono riuscite, a causa dei disordini di piazza. Chi alla fine ce l’ha fatta, è poi rimasto «sequestrato» all’interno fino a quando la situazione fuori non è tornata normale. A inizio ottobre, un corteo a sostegno della Palestina e della Global Sumud Flotilla è partito da piazza Dante a Lugano, accompagnato anche da deputati e municipali, e ha sfilato pacificamente per le vie. Era un momento davvero drammatico per la popolazione civile palestinese e la simpatia raccolta dai manifestanti è stata trasversale. Tuttavia alla fine il corteo, forse per la voglia di strafare, ha trovato il modo di rovinare tutto: lo svincolo di Lugano sud è rimasto bloccato per ore dai manifestanti e i disagi si sono riversati su altre parti della città, sui commercianti e sui lavoratori che stavano rientrando in famiglia.
Una settimana dopo, un’altra manifestazione pro Palestina si è svolta a Lugano pacificamente e, si può dire, con efficacia. L’opinione pubblica, anche quella di solito disinteressata alla geopolitica e al Medio Oriente, stava iniziando a prendere coscienza delle ragioni che muovevano questi cortei non solo in Ticino. Tanto che poi è arrivata l’intesa fra Trump, i Paesi arabi, Israele e Hamas e, di fatto, il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Non è ancora la soluzione definitiva, ma è un buon punto di partenza su cui lavorare. Tuttavia, e arriviamo a due giorni fa, gli eterni scontenti pro-Pal di Lugano hanno voluto far sapere, evidentemente, di non essere soddisfatti. E così una loro manifestazione «antifascista» (?) e a sostegno della Palestina è di nuovo degenerata. Questa volta, altro segnale preoccupante, a fronteggiare il corteo c’era un gruppo di persone vestite di nero e incappucciate che ha lanciato dei fumogeni (finiti pure nell’atrio di alcuni edifici) e che ha provocato i manifestanti (già sul piede di guerra). Si tratta, stando alla Polizia, di un gruppo di estrema destra legato al mondo ultrà.
Tutto quanto accaduto sabato dà realmente da pensare: il fatto che la manifestazione non fosse autorizzata, requisito minimo e indispensabile per lo svolgimento di un corteo su suolo pubblico, qualsiasi colore politico abbia; il fatto che ci fossero persone col viso nascosto, pratica illegale in Svizzera; nonché il lancio di fumogeni e petardi contro delle persone. Per tacere del traffico di nuovo paralizzato, con danni anche per le attività economiche e turistiche. Non è necessario qui analizzare le ragioni politiche, alcune del tutto fuori dalla realtà e dalla storia, dei manifestanti, rossi o neri che siano. Bisogna semplicemente tornare alle basi: una manifestazione non autorizzata non deve nemmeno iniziare. Se per qualche ragione misteriosa inizia, non deve fare danni. Se riesce ostinatamente a fare danni alla collettività, deve risponderne in termini giudiziari, come accadrebbe per tutti noi. La vita quotidiana delle persone normali, la città di Lugano, il Ticino, la Svizzera non devono diventare il campo giochi di microscopici ma strepitanti gruppi di agitati che hanno sempre la scusa pronta per fare danni concreti. O per creare i presupposti, con una manifestazione provocatoria già dal suo titolo e soprattutto non autorizzata, affinché altri sfoghino poi le loro frustrazioni.
