Il commento

Perché Sanremo è Sanremo, fatevene una ragione

Sanremo è il nostro Natale e proprio per questo, puntualmente, ogni anno sbucano quelli che no, il Festival della canzone italiana non lo guardiamo: anche basta
Marcello Pelizzari
04.02.2023 21:30

Sì, Sanremo è il nostro Natale. Almeno, così ne scrivevamo l’anno scorso. Alla vigilia di un’altra, trionfale edizione targata Amadeus. Inciso: ma quanto ti vogliamo bene, «Ama»? Tanto, tantissimo. Fine dell’inciso. Sanremo è il nostro Natale, dicevamo, e proprio per questo, puntualmente, ogni anno sbucano quelli che no, il Festival della canzone italiana non lo guardiamo. Giammai. Benissimo, per carità. Peccato però che gli stessi, poi, passino il tempo a sbirciare le liste degli artisti in gara, a tenersi aggiornati sulle polemiche e polemichette via siti e social, perfino a godersi (sì, godersi) i salotti televisivi pomeridiani che vivisezionano ogni aspetto della kermesse. Che sarà pure un termine inflazionato e oramai abusato, ma questo è Sanremo: una kermesse, nel senso di «raduno, esibizione o manifestazione pubblica di notevole importanza».

E noi, inguaribili romantici o colpevoli nostalgici a seconda delle sfumature, al grido «si stava meglio quando si stava meglio» (cit. Paolo Galli) questa importanza la rivendichiamo tutta. Sempre. In qualsiasi circostanza. Alla faccia di tutti i Grinch che vogliono guastarci il Natale, apparentemente interessati a qualche rassegna d’autore sul cinema sudcoreano (viva la controprogrammazione, verrebbe da dire) ma attirati come mosche dai neon dell’Ariston. Nessuno può sfuggire ai neon dell’Ariston, ai fiori, ai parappappappapparà ripetuti come un mantra e all’iconografia della rassegna.

Perché Sanremo è Sanremo, signori. È un’evasione, guilty pleasure direbbero gli americani, di cui abbiamo bisogno. Sin da quando, bambini che eravamo, armati di un foglio e una penna davamo i voti a chi si esibiva. E questo revival che Amadeus, sempre lui, sta portando avanti da anni a livello di superospiti e (alcuni) cantanti in gara, beh, ci costringe a una piacevole condanna. A fare i conti con il nostro passato e i nostri ricordi, legati per forza di cose a certe canzoni e certi cavalli di battaglia, cullati dalla sensazione – ci ripetiamo – che si stava meglio quando si stava meglio. Eccome se si stava meglio.  

Il Festival, sembra strano dirlo, ha cambiato l’Italia. E gli italiani. Di riflesso, ha cambiato pure noi ticinesi che, all’Italia, volenti o nolenti siamo legati. È una manifestazione canora. Ma anche altro, molto altro. Lo dimostrano, al netto delle opinioni di ognuno circa la legittimità o meno della sua presenza via video, le discussioni attorno a Volodymyr Zelensky. Lo dimostra, a suo modo, l’incredibile successo del Fantasanremo anche se – di nuovo – ai nostri occhi e nei nostri cuori il vero Fantasanremo è quello inventato dal collega Galli, competizione per pochi eletti che disputiamo anno dopo anno, felici e spensierati e, ancora, animati da uno spirito quasi adolescenziale («A diciassett’anni non si può esser seri» scriveva non a caso quel mattacchione di Rimbaud).

La notte vola, volendo riprendere la canzone che Olly e l’eterna Lorella Cuccarini canteranno nella serata dei duetti, venerdì 10. E voliamo anche noi, pure a questo giro. In alto, «sempre più in alto» (cit. Mike Bongiorno). Consapevoli, pur nel rispetto di ciò che ci circonda, che le nostre vite sono fatte anche di leggerezza. E polemiche (o polemichette).

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