L'editoriale

Il mercato non dà tregua a Credit Suisse

Si continua a non voler vedere l’elefante nella stanza: l’elevata liquidità immessa negli ultimi quindici anni dalle banche centrali che è andata ad alimentare – via sistema bancario - più che l’economia reale, l’ennesima bolla finanziaria fatta di una montagna di debito
Generoso Chiaradonna
15.03.2023 19:06

(Aggiornato alle 21) Prima la liquidazione forzata di due banche negli Stati Uniti, poi la bufera su Credit Suisse la cui azione nella sola giornata di oggi è crollata del 24,24% scendendo a poco più di 1,67 franchi. Meno di un caffè, per intenderci. Una settimana che si è aperta con toni gravi e che potrebbe chiudersi ancora peggio. È chiaro, un conto è il valore di mercato, variabile per definizione, e un altro quello dei mezzi propri che alla fine dello scorso anno era ancora del 14,1% per l’intero gruppo, mentre per la sola banca svizzera era del 13,2%. Si tratta di una quota di capitalizzazione ben superiore ai requisiti stabiliti dagli enti regolatori. Questo però non mette al riparo dalla cattiva reputazione che negli ultimi anni il Gruppo si è guadagnato all’estero, soprattutto nell’ambito dell’investment banking. Per la normale opinione pubblica non è sempre facile distinguere tra quanto accade a livello internazionale e quanto in patria. Ancora oggi pubblicavamo un’intervista al direttore regionale per il Ticino di Credit Suisse Marzio Grassi che ricordava gli ottimi risultati finanziari ottenuti dall’entità svizzera in un anno difficilissimo per l’istituto. E non c’è ragione di dubitare che ciò non sia vero. Il mercato interno è già oggi un’ancora di salvezza per Credit Suisse e potrebbe diventarlo di più per il futuro. 

Ma le logiche di mercato però sono guidate anche da altro. La dichiarazione del principale azionista, la Saudi National Bank, che non fornirà ulteriore capitale oltre a quello già sottoscritto lo scorso autunno (1,5 miliardi di franchi) in caso di necessità, ha mandato in fibrillazione i listini di mezzo mondo: dall’Europa, agli Stati Uniti. L’ordine per i titoli bancari, già stressati dalla vicenda Silicon Valley Bank, era uno solo: vendere. L’affermazione del presidente di SNB Ammar Al Khudairy a una precisa domanda di Bloomberg TV è stata perentoria più per i toni che per le parole usate: «La risposta è assolutamente no, per molte ragion oltre a quelle più semplici, che sono di tipo regolatorie e statutarie».  

Apparentemente è stato l’«assolutamente no» di Al Khudairy a scatenare il panico su Credit Suisse e poi su tutto il comparto bancario internazionale che era già nervoso dalla vicenda, apparentemente minore e risolta d’imperio, della Silicon Valley Bank. Ma si continua a non voler vedere l’elefante nella stanza, per usare un’espressione anglosassone per chi si ostina a non vedere una verità palese: l’elevata liquidità immessa negli ultimi quindici anni dalle banche centrali che è andata ad alimentare – via sistema bancario - più che l’economia reale, l’ennesima bolla finanziaria fatta di una montagna di debito. Pubblico o privato che sia, è indifferente. Le crisi finanziarie derivano sempre da un eccesso di debito, o meglio da un debito non più sostenibile in termini di rimborso e interessi. Questi strumenti sono finiti nei bilanci delle banche e di altre istituzioni finanziarie e ora – con l’operazione contraria, ovvero di riduzione della liquidità degli istituti di emissione – si sono fortemente svalutati. Gli operatori di mercato che non sono entità astratte (ci sono anche i fondi pensioni di tutti noi), temono quindi che con l’inasprirsi della politica monetaria, la solvibilità dei grandi debitori non sia più la stessa. Non si spiegherebbe altrimenti la presa di posizione della Banca centrale europea che ha invitato i suoi vigilati a valutare la loro esposizione verso la banca svizzera.  

Ma quello che sorprende, nel caso di Credit Suisse che bisogna ricordarlo è un istituto sistemico, cioè troppo grande per fallire e che chiama alla mente l’intervento pubblico, è stato il ritardo della presa di posizione di Finma e BNS (Banca nazionale svizzera). I vertici della banca – come scritto dal Financial Times – avrebbero chiesto una dichiarazione pubblica di sostegno che è arrivata solo in tarda serata. Una nota congiunta che ribadisce la solidità dell’istituto e l’impegno a fornire liquidità in caso di bisogno. 

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