L'editoriale

La virilità economica e le solite polemiche

L'atavica incapacità ticinese di godere di ciò che si ha, massacrando (per partito preso) chi fa
Gianni Righinetti
23.10.2025 06:00

Il mondo dell’economia, quello che vede uomini e donne operosi, instancabili, come le formichine che, imperterrite, forgiano il proprio nido, senza lasciare nulla al caso, è una delle splendide realtà delle quali andare fieri in Ticino. La vitalità del settore l’abbiamo toccata con mano nel corso dell’Assemblea della Camera di commercio negli scorsi giorni, come pure dalle parole della neo presidente dell’Associazione industrie ticinesi (AITI) Nicoletta Casanova. La prima donna alla testa di un’associazione economica, un fatto che salutiamo come evento di spessore e non solamente, finanche banalmente di genere. Eletta lo scorso maggio, ha voluto parlare con il Corriere del Ticino nella forma del contraddittorio, rispondendo a una serie di domande a raffica, mostrando e dimostrando di avere le idee in chiaro. «Se le imprese stanno bene, stiamo tutti meglio» ci ha dichiarato. Dietro a queste parole, tanto semplici quanto sostanziali, c’è il mondo che più ci piace. Il Ticino che fa, non quello che blatera. Il Ticino propositivo, non quello piagnone. Il Ticino altruista, non quello che pensa al profitto fine a sé stesso e per le tasche di pochi eletti. Nello stesso tempo Casanova ha indicato la sua rotta, fare impresa alle nostre latitudini, senza fughe magari di comodo alla ricerca di lidi «più tranquilli» anche per effetto della dura stagione dei dazi e di fronte alle previsioni congiunturali della SECO che indicano una crescita economica in Svizzera nettamente inferiore rispetto alla media, dall’1,3% del 2025 allo 0,9% dell’anno che verrà. Pronta a spendersi per sostenere una puntuale politica economica e desiderosa di vedere una politica con più coraggio rispetto a quella, con atteggiamento pavido, che abbiamo sotto gli occhi. Di fronte a una politica che ha battuto in ritirata, le associazioni economiche, AITI e Camera di Commercio, da anni hanno fatto fronte comune e ora potrebbero essere pronte a raccogliere qualche frutto. Aria di fattiva collaborazione si è respirata anche nelle parole del presidente della Camera Andrea Gehri, perfettamente a suo agio sul ring, a sferrare qualche gancio perché, se da una parte è vero che lo Stato non può esclusivamente rispondere alle logiche di mercato, non può neppure permettersi di ignorarle crassamente e crescere ben oltre il tollerabile.

Diciamolo senza peli sulla lingua, pur coscienti di generare un’insopportabile orticaria tra chi non tollera l’opinione altrui, rinnegando di fatto il nostro Stato democratico. Picchiare duro e gratuitamente l’economia, ovvero chi fa e chi produce, è come prendere a martellate i gioielli di famiglia, pretendendo poi di essere prestanti e prolifici. Lasciamo questa pratica autolesionista a chi prova piacere nell’esercitarla. Restiamo attoniti di fronte all’assurdità di inimicarsi per partito preso il mondo dell’economia, un atteggiamento non nuovo, ma immutabilmente privo di senso compiuto. Nel cantone tanto operoso nel blaterare, c’è letteralmente intolleranza per chi fa. Lo vediamo anche nella dicotomia imperante tra gli economisti del dire e l’economia del fare. La critica per partito preso (e, in questo caso, non è un modo di dire, ma di fare) dell’economia imprenditoriale è sistematica al punto che non è ormai più credibile. Insomma, se politica ed economia non si parlano, come pure economisti ed economia, quello che potenzialmente dovrebbe essere un arricchimento, diventa una chiusura tra chi non vuole parlare e chi si rifiuta di ascoltare.

Il mondo della politica e quello dell’economia vivono realtà apparentemente lontane almeno per un fatto innegabile. Il ricambio sulla scena politica procede a rilento e, ahinoi, al ribasso nella qualità. La rigenerazione imprenditoriale appare, per contro, più viva, brillante, finanche prestante e virile. Vale la pena ripeterlo a chi magari stenta a capire il messaggio positivo e scevro da qualsivoglia intento polemico: teniamoci stretto chi genera benessere evitando battaglie di retroguardia. E, aggiungiamo, con il vento che tira di questi tempi, evitiamo di mettergli le mani nelle tasche con la facile pretesa di spremere gli imprenditori e le loro realtà produttive partendo dalla facile, ma fallace teoria che i soldi ci sono e basta andare a prenderli. Soldi che, si badi bene, sono il frutto dell’idea, dell’ingegno e degli investimenti di uomini e donne che ci hanno creduto e hanno rischiato. Un mondo, a partire da quello delle piccole e medie imprese, di persone che non si crogiolano su una sedia assaporando un sigaro osservando le lancette dell’orologio e che, alla fine di ogni mese devono fare i conti, versare stipendi, garantire gli oneri sociali e la burocrazia statale fatta di leggi e regolamenti, volti a tassare senza tregua, talvolta pure senza pietà. Per carità, giusto pensare a chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese, ci sta di valutare la politica del sussidio statale (evitando che prenda irrimediabilmente il largo), ma denigrare chi genera ricchezza e benessere è una mossa che denota frustrazione e cattiveria. Noi ne prendiamo le distanze.