Leone XIV, il richiamo a Francesco e a un mondo migliore

Nel giro di sole due settimane si è passati dalla piazza silenziosa, sgomenta e triste per la morte di papa Francesco, all’incredibile esplosione di entusiasmo e di gioia di questo pomeriggio a San Pietro per l’elezione del nuovo pontefice, con campane a festa e passaggio delle bande della Gendarmeria e delle Guardie Svizzere. Forse solo la Chiesa cattolica è ancora capace, oggi, di provocare con un solo evento sentimenti così profondi e contrastanti nelle persone, e a tutte le latitudini. E di provocarli persino nel suo stesso neo-eletto pontefice, il numero 267, che oggi ha tenuto il suo primo discorso, in pratica in mondovisione, visibilmente commosso, tanto da stringersi più volte con forza le mani e le labbra per trattenere le lacrime. Nonostante questo, il cardinale Robert Francis Prevost, 69 anni, eletto al quarto scrutinio al termine di un conclave velocissimo, ora Leone XIV - in onore di colui che a fine Ottocento fondò la moderna dottrina sociale della Chiesa - ha impostato subito con parole precise e nette, e con un tono deciso, quel che potremmo chiamare il suo programma. C’era, ça va sans dire, moltissima attesa per questo primo intervento, poiché, anche per un pontefice, non c’è mai una seconda occasione di fare una prima impressione. Fin dalle prime sillabe pronunciate da Leone XIV, quel che ha impressionato tutti, non solo i commentatori di lungo corso, è stata la sua fermezza e, se possiamo dire, la sua sottolineata serietà. Nessuna battuta, nessun fuori programma, nessuna simpatica titubanza è arrivata a strizzare l’occhio ai fedeli e ai media. Del primo discorso di Giovanni Paolo II ci si ricorda con affetto quel suo «Se sbaglio mi corrigerete», di Benedetto XVI la timidezza da «Umile lavoratore nella vigna del Signore», per tacere di Francesco, con il suo semplicissimo «Fratelli e sorelle, buonasera» che non pochi fedeli tradizionalisti trovarono quasi indecoroso. Del primo discorso di Leone XIV, invece, tutti si ricorderanno l’insistenza serena e ferma con cui ha pronunciato più volte la parola «pace», come se fosse la roccia a cui saldare il mondo, non solo cattolico, nei prossimi anni. Si è trattato di un discorso, tra le righe, dall’innegabile peso geopolitico. Quasi superfluo qui ricordare che oggi, tra i primi a fare le congratulazioni al primo papa statunitense nella storia della Chiesa cattolica, è stato il presidente americano Donald Trump. I due saranno in qualche modo – impossibile da definire per ora – legati l’un l’altro: avranno certamente tensioni, conoscendo l’inquilino della Casa Bianca, ma anche progetti comuni sui cui lavorare, almeno fino alla fine del secondo mandato del tycoon (che ne vorrebbe un terzo). Su tutti, appunto, quello della pace, che Trump aveva messo nel programma elettorale e che Leone XIV ha ribadito oggi, ci sia permesso, nel suo. È probabile che, almeno nei prossimi anni, questo pontificato riporterà il baricentro del mondo, per tanti versi, in Occidente.
Di più, per ora, è difficile dire. Nei prossimi giorni la biografia di Leone XIV verrà passata al setaccio dai commentatori, credenti e laici, e in pratica da tutti i media del mondo, nel tentativo di prevedere come sarà il suo Pontificato. Faranno lo stesso i Governi e le cancellerie, non solo occidentali, forse Pechino prima di tutte le altre, seguita da Mosca. Operazione comprensibile ma delicata. L’esperienza insegna che tali previsioni sono sempre azzardate. Nessuno, al momento dell’elezione del rigoroso e «teutonico» Benedetto XVI - agostiniano proprio come Prevost - avrebbe mai potuto prevedere che sarebbe stato il terzo papa, nella storia millenaria della Chiesa, a dare le dimissioni. Così come nessuno, all’elezione di Francesco, avrebbe potuto prevedere che sarebbe stato un papa così devoto alla pastorale, forse il più inclusivo tra i suoi immediati predecessori.
Anche per Leone XIV - un pastore missionario - valgono le stesse considerazioni. Saranno innanzitutto i cattolici a vivere insieme a lui questo nuovo capitolo della storia della Chiesa, ad aderire alle proposte della loro guida spirituale ed eventualmente a criticarle, come già accaduto con Francesco. Come accade per i Governi laici, i pontificati si fanno e si capiscono soprattutto «vivendoli».
I fronti aperti, comunque, sono parecchi. Da quello in Medio Oriente, il più vicino alla sensibilità cattolica, all’Ucraina, fino a quello totalizzante con una globalizzazione multipolare su cui la Chiesa dovrà dare prova della sua dottrina sociale. Leone XIV dovrà fronteggiare, con il proprio messaggio apostolico, un’economia mondiale in fase di profonda trasformazione, che sta creando profonde spaccature sociali, e una cultura digitale spesso non conforme ai contenuti cristiani.
Più che tornare a «riempire le chiese» e a essere il più possibile «inclusivo» – obiettivi mondani che sono stati chiesti in diverso modo agli ultimi pontefici – la sfida per Leone XIV si giocherà su un piano diverso, obiettivamente più difficile: sarà chiamato a essere un papa in qualche modo esemplare, dotato di fermezza e allo stesso tempo di capacità di dialogo. Oggi, papa Leone XIV ha subito dimostrato di volerlo essere e di voler contribuire a costruire un mondo migliore di quello attuale.