Il commento

Non può esserci pace senza misericordia

Le prime parole di papa Leone XIV sono state parole di pace - Ma di fronte all'atteggiamento e alle bombe del Cremlino, è difficile immaginarsi una pace senza misericordia
Paolo Galli
09.05.2025 06:00

Una rappresentazione teatrale. Volodymyr Zelensky ha usato questa definizione per descrivere la proposta di un cessate il fuoco di tre giorni piovuta negli scorsi giorni da Mosca. Il problema è che, nel frattempo, a piovere sono state ancora le bombe. «Uccidono fino al 7, si fermano per un paio di giorni tranquilli, poi ricominciano ad attaccare l’11?», si era chiesto lo stesso presidente ucraino. Una tregua umanitaria di breve durata non può essere altro che un espediente. Per che cosa? Per far rifiatare le truppe, certo, ma anche per riguadagnare i favori americani, altalenanti quanto le montagne russe. È un espediente anche per manifestare superiorità rispetto al nemico, non solo l’Ucraina, ma l’Occidente tutto. Un nemico che non intende rinunciare a tutto ciò che gli è stato sottratto con la forza. E ciò non ha nulla a che vedere con la resa, con l’orgoglio, con la vittoria o con la sconfitta. È una questione esistenziale ed essenziale.

«Vittoria» è la parola che la Russia sfoggia ovunque, in questi giorni, in particolare oggi, 9 maggio. «Vittoria». Un modo come un altro per celebrare il passato e avvicinarlo al presente, per dire al mondo che - vero o falso o presunto che sia - a vincere è sempre il Cremlino. E che la sua vittoria non è egoistica o fine a sé stessa, non è dettata dal potere individuale, di una singola persona - di Putin -, bensì cercata in nome di un bene comune. Non a caso, l’«operazione militare speciale» dello Zar era stata mossa, sin dal febbraio del 2022, con lo scopo dichiarato di annientare l’Ucraina nazista. Anche in questo caso, lo stesso portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che l’accettazione dell’accordo di tre giorni da parte dell’Ucraina avrebbe rappresentato «la preparazione di Kiev per una pace a lungo termine». Stessi argomenti utilizzati nel corso della precedente tregua, quella di Pasqua. In quei giorni, tra il 19 e il 21 aprile, l’Ucraina aveva accusato Mosca di quasi tremila violazioni dell’accordo, allora in realtà accettato. E allora come credere al Cremlino? Come dare fiducia a Putin e ai suoi ministri? Oggi ci diranno che è stato Zelensky a non volere questa tregua. Che è lui a non volere la pace. E Trump potrebbe seguirlo e ripetere il concetto al mondo tutto. Nulla ci stupisce più.

Ma è comunque un concetto di pace svilito dalla guerra. E dalle bombe, che puntuali sin da ieri mattina hanno continuato a cadere - e le bombe non cadono da sole, c’è sempre qualcuno che ordina loro quel particolare sanguinario destino - sull’Ucraina. Ma quale tregua, allora? Zelensky ha ribadito la proposta di un cessate il fuoco lungo trenta giorni - «rimane valida», ha detto -, in modo da «offrire una reale opportunità alla diplomazia». Diplomazia che sin qui fatica a essere incisiva. Al punto che in più occasioni gli Stati Uniti hanno minacciato di alzare bandiera bianca. Ancora negli scorsi giorni, il vicepresidente JD Vance ha sottolineato come «probabilmente» sia ormai «impossibile mediare tutto questo senza almeno qualche negoziato diretto tra i due Paesi».

«La guerra, voi lo sapete, diventa un’impresa materiale sempre più terribile. Contro di lei, che potranno fare le rocce delle nostre montagne?», si chiedeva il generale Henri Guisan, al momento del commiato, il 20 giugno del 1945, a guerra finita (almeno in Europa). Parole colme di pessimismo, nonostante la nuova era di pace alle porte. E ora rieccoci, nel pieno di questa «guerra mondiale a pezzi» - come l’aveva definita papa Francesco -, a iniziare a contare le vittime anche in India e in Pakistan. Bergoglio aggiungeva, riferendosi alla guerra: «Un’immane tragedia e un’inutile strage, che colpisce la dignità di ogni persona su questa terra», anche la nostra, perché - seguendo Guisan - non c’è montagna che tenga. Il nuovo Pontefice, Leone XIV, ha aperto il suo discorso proprio con parole di pace e di continuità rispetto al suo predecessore. «La pace sia con tutti voi». Sono state le sue prime parole. «A tutti i popoli, a tutta la Terra». Perché «il male non prevarrà». Papa Prevost ha chiamato indirettamente in causa la nostra empatia, la nostra capacità di rimanere vulnerabili, eppure uniti, di fronte ai conflitti. Come ci suggeriva la giornalista russa Katerina Gordeeva, ospite di Chiassoletteraria questa sera, ciò che tutto questo dovrebbe insegnarci è la misericordia. Che non è legata al concetto di vittoria o di sconfitta. È semplicemente l’unica premessa alla pace.