Politica

Non solo cadreghe, ma rapporti di potere

È giusto attendersi che i partiti interessati lottino con ogni mezzo a disposizione per assicurarsi una rappresentanza più ampia possibile nel Legislativo
Paolo Gianinazzi
04.05.2023 06:00

Un «pasticcio». Oppure, detto in maniera un po’ più elegante, una «leggerezza». Così potremmo definire il peccato originale che ha portato in queste settimane i principali partiti ticinesi, in particolare il PS e il PLR, a litigare sulla nuova ripartizione dei seggi nelle Commissioni parlamentari. Un «pasticcio» nato tra il 2016 e il 2019, quando durante la revisione della Legge sull’esercizio dei diritti politici (LEDP) praticamente tutti gli attori coinvolti si sono dimenticati di verificare quale effetto avrebbero avuto le modifiche apportate al testo sulla ripartizione dei seggi nelle Commissioni. E così, una semplice frasetta, in apparenza del tutto innocua, quattro anni più tardi si è trasformata in un caso politico. In una questione d’interpretazioni della legge, di quozienti elettorali e di calcoli matematici. Detto diversamente: in un pasticcio.

Il caso politico, però, fortunatamente si è concluso ieri con la soluzione sicuramente più solida, ossia quella di interpretare in maniera letterale ciò che dice la legge, senza girarci attorno con interpretazioni di varia natura, fatte peraltro cinque minuti a mezzanotte. Anzi, cinque minuti dopo la mezzanotte. E così, il PLR ha mantenuto i suoi cinque seggi, mentre il PS è passato da tre a due poltrone. Dura lex, sed lex.

Va pure detto che questo «pasticcio» non ha rappresentato certo il miglior modo di iniziare una nuova legislatura che, per svariati motivi, si annuncia già di per sé complessa. Si è trattato di uno spettacolo che all’esterno, fuori dall’aula di Palazzo, da molti è stato percepito come un mero (se non incomprensibile) esercizio di potere. Tuttavia, è sbagliato pure ridurre e sminuire l'intero discorso delle ultime settimane a una semplice questione di «cadreghe».

Qui non stiamo parlando della «cadrega» alla quale il politico di turno è incollato. No. Parliamo di equilibri politici in Parlamento. È quindi giusto attendersi che i partiti interessati lottino con ogni mezzo a disposizione per assicurarsi una rappresentanza più ampia possibile nel Legislativo. D’altronde, i cittadini non li hanno eletti per scambiarsi confetti in aula, bensì per portare avanti gli ideali e il programma elettorale che rappresentano. E avere una buona rappresentanza in seno alle Commissioni è una delle premesse per portare avanti questo lavoro. Siamo pronti a scommettere, non a caso, che pure quei partiti che si sono astenuti dalle discussioni (seguendo il motto «i problemi del Paese sono altri»), se fossero stati direttamente toccati dalla nuova ripartizione, avrebbero anch’essi dato battaglia fino all’ultimo per un seggio in più. Sarebbe ipocrita affermare il contrario. In sostanza, dunque, non c’è da meravigliarsi troppo se ogni partito ha tirato l’acqua al suo mulino durante tutto il dibattito.

Va poi aggiunto che questo «pasticcio» ha avuto il pregio di far emergere quella «leggerezza» nata tra il 2016 e il 2019. Lo stesso Governo nel messaggio del 2016 sulla revisione della LEDP affermava nelle prime righe del documento che essa riguardava «aspetti di natura prevalentemente tecnica» e quindi non andava a modificare «i principi sui quali si fonda il diritto elettorale e il sistema di ripartizione dei seggi nei vari tipi di elezione». Eppure, anche se in maniera involontaria, quel «sistema di ripartizione» per le Commissioni è stato modificato. E quindi, anche se come detto non era certo il caso di lanciarsi in nuove interpretazioni della legge cinque minuti dopo la mezzanotte (un aspetto che sarà forse chiarito dai tribunali), ora è lecito attendersi che in questa legislatura qualcuno, con un’iniziativa parlamentare, metta mano alla legge per correggere la «leggerezza». D’altronde, a questo giro a rimetterci è stato il Partito socialista, fra quattro anni potrebbe toccare a qualcun altro.

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