Sconfitta storica con tanto di autogol

Che l’iniziativa sulle eredità non avesse scampo era prevedibile. I sondaggi l’avevano largamente preannunciato. L’interesse verteva essenzialmente sull’ampiezza della bocciatura. Dalle dimensioni del no si sarebbe potuto capire se ci fossero o meno i presupposti per un’altra campagna sull’imposizione dei grandi patrimoni. Ieri le urne hanno parlato. E per la Gioventù socialista una prevedibile sconfitta si è tramutata in una disfatta storica. Quattro votanti su cinque hanno rifiutato l’imposta del 50% sulle successioni e le donazioni superiori ai 50 milioni di franchi. Mai un’iniziativa della GISO è stata liquidata in modo così perentorio. Nel 2013, l’idea che il salario massimo versato da un’impresa non potesse superare di oltre dodici volte il salario minimo venne respinta con il 65% di no. Nel 2016, i voti contrari all’iniziativa «Contro la speculazione sulle derrate alimentari» furono il 59%; mentre nel 2021, l’iniziativa «99%» (sgravare i salari, tassare equamente il capitale) venne bocciata con il 65% di no. Ieri, il Cantone più benevolo è stato Basilea-Città, dove la richiesta dei giovani socialisti è stata approvata solo da un votante su tre. Fra le città solo Berna ha detto sì. Ma soprattutto, quasi l’80% di no a livello nazionale significa che i promotori dell’iniziativa non sono nemmeno riusciti a convincere l’intera sinistra, che ufficialmente li sosteneva. Anche una parte dei socialisti e dei verdi ha voltato loro spalle. Eloquente pure il fatto che il Comitato dell’Unione sindacale svizzera abbia lasciato libertà di voto. Le ragioni del massiccio no popolare sono pertanto evidenti. Gli elettori si sono opposti ad avventure all’insegna della lotta di classe e dell’avversione ai ricchi (stavolta colpevoli di inquinare), che avrebbero solo danneggiato la piazza economica e indebolito il substrato fiscale, senza benefici né per lo Stato né per la causa del clima. Un sì avrebbe indotto la stragrande maggioranza dei contribuenti potenzialmente toccati dall’imposta a lasciare il Paese. La conseguente diminuzione del gettito si sarebbe tradotta o in una riduzione di spese e prestazioni o più probabilmente in una maggior fattura fiscale per coloro, in primo luogo i contribuenti del ceto medio, che non hanno la possibilità di trasferirsi all’estero. In caso di successione, gli eredi delle grandi imprese di famiglia avrebbero dovuto indebitarsi (o addirittura cedere l’azienda) per pagare le imposte, essendo il patrimonio concentrato negli immobili e nei macchinari. Indirettamente, con la partenza di contribuenti facoltosi ci sarebbero stati anche effetti a cascata, a livello di posti di lavoro e indotto.
Dalle urne è quindi scaturito un inequivocabile segnale a sostegno della piazza economica e di un certo tipo di impresa a carattere familiare. È anche probabile che molti stranieri facoltosi, con la spada di Damocle dell’iniziativa, abbiano accantonato, o almeno sospeso, il proposito di trasferirsi in Svizzera. Il che rappresenta già un danno. Ma ora, se non altro, un messaggio così chiaro col timbro popolare diventa un assist per l’attrattiva del Paese, di cui consolida le condizioni quadro. Con un voto contrario talmente ampio, per contro, è destinata a tornare in un cassetto, per diversi anni, l’idea di rilanciare in grande stile un’imposta di successione a livello federale, del resto già bocciata nel 2015. Il preteso tentativo di imporre un dibattito sulla concentrazione della ricchezza si è trasformato in un autogol. Chi troppo vuole, dice il proverbio, nulla stringe. Invece di incassare la sconfitta, i giovani socialisti hanno puntato l’indice contro «la campagna di diffamazione senza precedenti condotta dai più ricchi». Nessuna autocritica, nessuna ammissione di aver sbagliato qualcosa con una richiesta estrema, sicuramente respinta anche da elettori che in passato avevano sostenuto istanze più moderate della sinistra in ambito economico e sociale. È un atteggiamento sin dall’inizio disconnesso dalla realtà e che rischia anche di mettere in cattiva luce il partito adulto. Il risultato di ieri, oltretutto, proietta un’ombra sulla prossima votazione popolare dell’8 marzo sul fondo federale per il clima.
Il no all’iniziativa Servizio civico è stato ancora più massiccio ma si spiega facilmente con il fatto che quasi tutto l’arco politico, per ragioni diverse, era contrario. A un’idea a prima vista interessante facevano riscontro obiezioni di principio, controindicazioni pratiche e problemi di attuazione non indifferenti. In un contesto di sicurezza e finanziario delicato, la via maestra da seguire non è quella di disperdere le energie, imponendo a tutti e tutte di fare qualcosa, ma di concentrarle stabilendo chiare priorità.

