Food waste

Guerra: il cibo che manca e quello che si butta

La riflessione sul nostro rapporto con gli alimenti è necessaria e non può essere rimandata – Privati, associazioni e ora anche la Confederazione si stanno attivando per ridurre gli sprechi
Martina Ravioli
22.06.2022 12:30

Un articolo pubblicato il 5 agosto 2021 da Agroscope e intitolato «Défis croissants pour la sécurité alimentaire en Suisse» (Sfide crescenti per la sicurezza alimentare in Svizzera) poneva l’attenzione su tre minacce per la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare in Svizzera: penuria d’elettricità, cambiamenti climatici, mezzi di produzione (inteso come vulnerabilità delle importazioni). Ebbene: stiamo assistendo alla «tempesta perfetta» dal momento che questi tre scenari si stanno concretizzando contemporaneamente. Ma se la risolvibilità della situazione internazionale e dei cambiamenti climatici è incerta e di sicuro è attuabile solo sul lungo periodo, possiamo perlomeno cercare di comprendere meglio, e soprattutto arginare, un fenomeno che impatta in modo importante anche sulle nostre vite di consumatori finali: lo spreco alimentare.

L’agricoltura in Svizzera

«La situazione generale è molto preoccupante anche se per ora, in Svizzera ne siamo relativamente poco colpiti. Assistiamo ad un aumento dei prezzi, è vero, ma è poca cosa in confronto ad altri paesi – si pensi all’Egitto – dove la crisi alimentare rischia di portare davvero alla fame la popolazione» esordisce Pierluigi Calanca, Project Leader di Agroscope Zurigo per il Gruppo di ricerca Clima e agricoltura. In Svizzera l’agricoltura c’è ed è ben sviluppata, ma non basta per soddisfare il bisogno di tutta la popolazione e questo, spiega Calanca è dovuto al fatto che «da anni, ormai, abbiamo raggiunto, o vi siamo molto vicini, l'optimum di produttività per la maggior parte delle colture. Questo significa che la superficie agricola che abbiamo è ottimizzata al massimo e non riesce a produrre più di quanto già fa per ettaro. Aumentare la produzione sarebbe in teoria possibile destinando nuove aree all’agricoltura, ma questo è, attualmente uno scenario poco realistico vista la crescente popolazione e l'aumento di aree costruite. Anzi, la sfida attuale, per cui esiste una regolamentazione molto severa, è proprio riuscire a non sottrarre altre superfici all’agricoltura.

Quel che è certo è che da questo punto di vista non abbiamo molto margine di manovra. Ma c’è un punto su cui possiamo lavorare. Basti pensare che la Svizzera importa circa il 40% del cibo necessario al sostentamento della popolazione. Al contempo, però, circa un terzo del cibo che viene prodotto, secondo le stime dell'Ufficio federale dell’Ambiente (UFAM), viene in qualche modo, sprecato. Sono cifre che devono far riflettere. Molti sprechi avvengono nella lavorazione e nella distribuzione, ma il grosso è ancora a livello delle singole economie domestiche». 

I dati

Secondo la ricerca «Lebensmittelverluste in der Schweiz: Umweltbelastung und Vermeidungspotenzial» (Spreco alimentare in Svizzera: impatto ambientale e potenziale di prevenzione) redatta dall’ ETH di Zurigo su mandato dell’UFAM annualmente vengono perse 2,8 milioni di tonnellate di cibo corrispondenti a 330 kg di rifiuti alimentari pro capite. Già solo i rifiuti alimentari nelle economie domestiche ci costano in media oltre 600 franchi a testa all'anno. In totale investiamo alcuni miliardi di franchi nella produzione e nell’importazione di alimenti che poi vengono scartati. «Per molti anni quella contro il food waste è stata una battaglia di singoli cittadini e associazioni. Ora, invece, è diventato un tema importante a livello politico e fa parte dei Sustainable Development Goal: entro il 2030 si vuole dimezzare del 50% lo spreco alimentare nel commercio al dettaglio, nella gastronomia e nelle economie domestiche. Il 6 aprile scorso Simonetta Sommaruga ha firmato il piano degli obiettivi e in maggio oltre 28 grandi aziende (come si può leggere qui) hanno sottoscritto un patto di responsabilità. In autunno si riuniranno i 3 gruppi di lavoro per elaborare azioni concrete e misurabili. Se non possiamo misurare dei risultati, infatti, non riusciamo neppure a renderci conto della bontà di quanto intrapreso» spiega Claudio Beretta, fondatore e presidente di foodwaste.ch e, come ricercatore universitario alla scuola di scienze applicate di Zurigo ZHAW, autore dello studio. Gli obiettivi sono ambiziosi e, se per ora si tratta di misure su base volontaria, non è escluso che nel 2025, tappa intermedia in cui verrà stilato un primo bilancio, vengano introdotti incentivi o norme, in caso ci si dovesse rendere conto di essere troppo lontani dalla meta.

Gli alimenti sono altamente sovvenzionati: senza queste sovvenzioni, certi prodotti animali costerebbero fino a 3 volte di più

I motivi

Ma perché si spreca? La risposta fornita sia da Calanca che da Beretta può non essere popolare in periodo di forte aumenti e di inflazione, ma ad ascoltare la loro spiegazione, ha in effetti la sua logica. «Ci sono moltissimi motivi e in molte fasi, dalla produzione fino al consumo, vi sono degli sprechi, ma questo non giustifica la facilità con cui spesso buttiamo gli alimenti. Uno dei motivi è che talvolta non ci fidiamo più dei nostri sensi e tendiamo a gettare cibi ancora perfettamente commestibili solo perché hanno raggiunto la data di scadenza. Ma il motivo forse principale dello spreco è che il cibo, oggi, costa troppo poco. Questo ci spinge a comperare molto più del necessario e a non renderci più conto del valore dell’alimento che così viene anche gettato via facilmente e senza starci troppo a pensare. Ogni alimento ha in sé un valore elevatissimo: alimentare, economico, agricolo, energetico, ambientale, ma questo molto spesso non è percepito, anzi viene sottostimato» spiega Calanca.

Anche Beretta concorda pienamente con questa visione e approfondisce: «Secondo alcuni studi se gli alimenti considerassero davvero il costo ambientale di produzione, dovremmo pagarli il doppio. Invece la realtà è contraria: gli alimenti sono altamente sovvenzionati. Senza sovvenzioni, certi prodotti animali costerebbero fino a 3 volte di più. Quindi, non sorprende che ad oggi, mediamente, dedichiamo solo il 7% del nostro budget al cibo mentre in paesi molto più poveri, come il Camerun, questa cifra arriva al 45%. Chiaramente con l’attuale situazione le percentuali sono destinate a salire, ma non tanto per un riequilibrio ragionato, quanto per la situazione internazionale. È quindi una questione di responsabilità quella di dare al cibo il valore che merita e di sfruttare il 100% dei prodotti anche se il loro prezzo sembra basso».

Le soluzioni

La bacchetta magica non esiste e il percorso è lungo, ma sembra esserci finalmente la volontà di proseguire a tutti i livelli. Quel che è certo è che quando si tratta di food waste sono sempre implicate diverse interazioni tra i vari attori della catena alimentare. Ad esempio, se della verdura viene scartata dai contadini è spesso perché questi sanno già che la grande distribuzione non la compererà perché questa sa a sua volta che i consumatori preferiranno scegliere verdura perfetta e senza ammaccature. Insomma, l’importante è procedere con un’opera di sensibilizzazione costante a tutti i livelli per far capire il valore del cibo al di là del suo aspetto estetico.

Una delle grandi sfide è far capire ai consumatori che il valore del cibo non è la sua bellezza, ma il nutrimento

«In Svizzera non assistiamo a casi eclatanti di sprechi di tonnellate di cibo per tenere alti i prezzi (n.d.r. famosi sono i casi delle arance buttate in discarica che periodicamente vengono raccontati dalle cronache italiane), ma talvolta i contadini sono costretti a selezionare i loro prodotti per portare sul mercato solo i migliori, esteticamente parlando, per poter rispettare contratti e rivaleggiare con i prodotti d’importazione che hanno un costo minore. Una delle grandi sfide è far capire ai consumatori che il valore del cibo non è la sua bellezza, ma il nutrimento» insiste Beretta che prosegue: «La situazione internazionale ci fa capire come siamo dipendenti dall’estero. Se ognuno di noi riducesse solo di 1/3 il consumo di carne, potremmo riconvertire parte delle superfici ora usate per il foraggio, a coltivazioni che potremmo consumare direttamente, ad esempio con i legumi che hanno un migliore valore nutritivo. Anche consumando maggiormente prodotti integrali saremmo più efficienti da un punto di vista nutrizionale poiché si avrebbero meno sprechi di parti di grano che ora non vengono consumate. Un altro modo sarebbe quello di ricominciare a consumare tutti i tagli di carne. Qui non si tratta di diventare tutti vegani, è una battaglia senza senso questa. Non si va da nessuna parte con pochi vegani e tutti gli altri che non cambiano le loro abitudini. Potremmo fare molto di più se tutti riducessimo e modificassimo un po’ le nostre abitudini. Meglio cambiamenti piccoli, ma attuati da più persone, che cambiamenti radicali messi in campo da pochissimi».

E le App pensate per «salvare il cibo» invenduto? «Sono ottime soluzioni, che permettono di riflettere sul tema. Questo, però, a patto che vengano davvero utilizzate per questo scopo e non, come talvolta capita, da qualche commerciante che le usa creando e producendo apposta dei prodotti da vendere attraverso queste piattaforme, invece di proporre l’invenduto del giorno» spiega Beretta.

La riflessione

Cosa ci riserveranno i prossimi anni non è dato sapere, ma è evidente che solo riducendo la nostra dipendenza dall’estero, consumando meno prodotti animali ed evitando di sprecare quanto riusciamo a produrre, possiamo assicurarci un minimo margine di manovra per produrre, consumare e vivere in modo sostenibile, ora e in futuro. Inoltre, ridurre lo spreco è una forma di responsabilità sociale e di rispetto: una prima risposta verso il problema della fame a livello globale, problema che è destinato, probabilmente, ad affliggere in modo importante buona parte della popolazione mondiale nel prossimo futuro.

Ridurre il consumo di prodotti animali richiede un cambiamento nel comportamento dei consumatori, per cui ci vuole tempo

Beretta conclude la nostra chiacchierata con una riflessione personale: «Una possibilità per aumentare la produzione dell’agricoltura svizzera è usare tutte le aree coltivabili per prodotti vegetali invece di foraggio. La produzione di calorie animali è, infatti, molto inefficiente: per produrre 100 calorie di manzo, per esempio, è necessario coltivare 1.000 calorie di foraggio. Se invece mangiassimo direttamente i cereali e la soia che su tale suolo si potrebbero coltivare, avremmo un quantitativo calorico dieci volte maggiore sulla stessa area coltivata. Per i consumatori questo significa ridurre il consumo di prodotti animali, vantaggioso non solo per l’ambiente, ma anche per la nostra salute. La sfida è che questa soluzione richiede un cambiamento nel comportamento dei consumatori, per cui ci vuole tempo». Nel frattempo possiamo cambiare piccole abitudini e imparare a non sprecare, affidandoci maggiormente a buonsenso e ai nostri sensi, anche grazie ai consigli della guida redatta da ZHAW, foodwaste.ch e Tavolino Magico con consigli concreti in merito a date di scadenza dei cibi e conservabilità.

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