Il cinema che incanta l’Engadina: St. Moritz Art Film Festival tra sold out e premi visionari
Quattro giorni di cinema, arte e incontri hanno trasformato l’Engadina in un laboratorio alpino capace di parlare al mondo. La quarta edizione dello St. Moritz Art Film Festival si è chiusa domenica sera con un successo che ha superato ogni aspettativa: oltre 1.188 presenze complessive, due serate sold out al Cinema Scala e un pubblico cosmopolita che ha riempito la sala sin dal primo giorno.
«È stata un’edizione davvero intensa – racconta Diana Segantini, managing director –. Abbiamo visto una partecipazione sorprendente, con tante persone nuove accanto ai nostri amici più fedeli. Già dal giovedì mattina la sala era quasi piena, cosa che non accadeva nelle edizioni precedenti. E poi le due serate finali: abbiamo dovuto fermare la vendita dei biglietti. Questo ci conferma che il festival sta crescendo in modo organico e che l’Engadina è pronta a diventare un centro internazionale anche per il cinema».

Un festival che si radica e cresce
Il tema di quest’anno, «Emerging Virtualities», ha permesso di indagare i confini fra reale e immaginario, digitale e naturale, mostrando come il concetto di virtuale non appartenga solo alla tecnologia ma sia inscritto anche nei nostri rapporti umani e sociali. Per Stefano Rabolli Pansera, direttore artistico, il festival ha avuto il merito di andare oltre la superficie:
«Si parla spesso di virtuale come sinonimo di digitale – spiega – ma il nostro lavoro è stato dimostrare che la virtualità è una dimensione più ampia, che attraversa il quotidiano e la storia. Alcuni film hanno usato la tecnologia, certo, ma per porre domande esistenziali che vanno oltre la tecnologia stessa: il senso del contatto, l’urgenza di ritrovare la natura, la fragilità delle relazioni. Questo per me è l’obiettivo del festival: aprire possibilità, non chiuderle in definizioni».
Rabolli Pansera insiste anche sul valore di un festival «marginale»: «Siamo piccoli, ma questa marginalità è la nostra forza. Qui possiamo dare spazio a film che difficilmente entrano nei circuiti maggiori. È una sfida, ma è anche l’occasione per avere una voce che si sente a livello globale. Per riuscirci serve un team curatoriale internazionale, che rappresenti aree e sensibilità diverse. È così che riusciamo a costruire un dialogo geopolitico e culturale inedito».
La maturità di un progetto
A cogliere il segno della crescita è anche Leonardo Bigazzi, curatore e membro del Consiglio curatoriale: «Seguo lo SMAFF dalla prima edizione e posso dire che quest’anno si è percepita una vera maturità. Non solo per la qualità dei film, ma perché ho visto artisti tornare anche senza opere in programma: segno che si è creata una comunità che riconosce questo appuntamento come rilevante nel panorama internazionale delle immagini in movimento. Inoltre, grazie al contributo di nuovi curatori, sono arrivate influenze importanti dal Sud-Est asiatico, che hanno arricchito il programma di un immaginario diverso e necessario».
Per Bigazzi, il valore non è solo nelle proiezioni ma nello scambio: «Nei grandi festival come Cannes o Berlino la distanza fra autori e pubblico è enorme. Qui, invece, dopo la proiezione ci si può sedere sul divano con artisti di fama mondiale e discutere liberamente. È questa dimensione umana che rende unico lo SMAFF».

I vincitori e le loro storie
Tre film hanno segnato questa edizione, ciascuno a suo modo in dialogo con il tema delle virtualità emergenti.
Il premio Best Feature Film è andato a Ancestral Clouds Ancestral Claims di Arjuna Neuman e Denise Ferreira da Silva, un’opera che attraversa il deserto di Atacama per parlare di colonialismo, sfruttamento minerario e memorie ancestrali. Qui il vento diventa voce narrante, trascinando lo spettatore in un viaggio tra corpi, paesaggi e tempo. «Un film che scrive una cartografia emotiva e politica» – ha commentato la giuria – «capace di trasformare la geografia in esperienza sensoriale e riflessione critica».
Ad aggiudicarsi il premio ArtReview è stata Overnight Coup Plan di Marina Xenofontos, che aveva debuttato a St. Moritz proprio in questi giorni. Ambientato a Cipro, il film racconta la notte di un gruppo di adolescenti, trasformando il quotidiano in metafora della memoria collettiva. La giuria ha sottolineato «la tenerezza e la generosità con cui la regista concede agency ai suoi attori, restituendo con delicatezza il senso di cosa significhi crescere sotto la pressione della visibilità costante». Xenofontos stessa ha ringraziato commossa: «Essere qui mi ha fatto sentire nel posto giusto, in un dialogo con artisti e spettatori davvero attenti».
Il Kulm Prize «Love at First Sight» è andato infine a Leda Was a Swan di Marianna Simnett, audace riscrittura del mito di Leda e del cigno. Se nella tradizione Zeus violenta la protagonista, nel film di Simnett Leda diventa autrice del proprio piacere, insaziabile ed estatica. «È un’opera radicale e liberatoria – ha spiegato la giuria – una dichiarazione di indipendenza femminile che risuona nel presente».
Tre lavori molto diversi, ma accomunati dall’idea di spostare i confini, di trasformare il visibile e di aprire nuove forme di immaginazione.

Un pubblico partecipe e cosmopolita
La presenza di Maja Hoffmann, presidente del Locarno Film Festival, ha confermato il riconoscimento internazionale che lo SMAFF sta conquistando. Con lei erano presenti direttori di musei, collezionisti, curatori e cineasti provenienti da Europa, Stati Uniti e Asia. «È stato emozionante vedere un pubblico così vario, dal locale all’internazionale – sottolinea Segantini –. Ciò che mi ha colpito è stata la qualità del dialogo: non si trattava solo di guardare i film, ma di discuterne insieme, di riflettere».
Guardando avanti
Mentre il pubblico lasciava la sala, già si parlava della prossima edizione. Il tema del 2026 sarà legato alla musica, intesa come linguaggio capace di aprire nuove dimensioni. «Accordare gli strumenti – dice Rabolli Pansera – è la metafora che guiderà la prossima edizione. Un momento di preparazione, di concentrazione, in cui le cose trovano armonia. La musica come ponte verso altre realtà».
Così, mentre le luci si spengono sul Cinema Scala, rimane la sensazione che il festival abbia conquistato una nuova centralità. Piccolo, sì, ma mai marginale: lo SMAFF ha dimostrato che tra le montagne dell’Engadina possono nascere storie e riflessioni che viaggiano ben oltre i confini alpini.