Calcio

L'Al-Ahly, Messi e, forse, l'altra parte della storia

Il Mondiale per club della FIFA è stato inaugurato con i campioni egiziani capaci di prendersi la scena quanto il Diez argentino - Giustamente criticata dall’Occidente, la nuova competizione merita di assumere un significato diverso per realtà spesso trascurate
©AP/John Raoux
Massimo Solari
16.06.2025 06:00

La cerimonia d’apertura? Per alcuni si è trattato di uno spettacolo coinvolgente, fuori dagli schemi e – anche a livello musicale – più che riuscito. Altri hanno invece storto il naso, infastiditi di fronte a uno show spudoratamente autopromozionale, in cui l’enorme logo della FIFA incastonato in mezzo al campo ha fatto ombra agli artisti intenti a esibirsi. E i messaggi veicolati nei vari brani interpretati all’Hard Rock Stadium di Miami non hanno contribuito a far cambiare idea agli scettici: «It’s a FIFA party, we know how to celebrate». Beh, certo, di chi pensavate fosse la festa e per osannare quale individuo?

Il biglietto da visita

No, non parliamo di Lionel Messi, ma di colui che ha costruito la scorciatoia per permettergli di calcare il primo palcoscenico del nuovo Mondiale per club. Come lo show iniziale, pure la prestazione della stella dell’Inter Miami non ha fatto l’unanimità. L’argentino si è svegliato nel secondo tempo del match inaugurale, prendendosi la scena a quasi 38 anni grazie a idee e giocate illuminanti. E però la sfida è terminata zero a zero, sintomo che il genio del Diez – per quanto estasiante e fonte di piacere – non equivale a onnipotenza, a maggior ragione se attorniato da decadenti qualità terrestri. Oddio, l’effetto Messi è stato misurato – eccome - anche fuori dal rettangolo verde, sulle tribune di uno stadio riempito per il 93% della sua capienza: 60.927 spettatori per 65.000 seggiolini. Con tanti cari saluti all’incertezza e ai timori della vigilia in merito a un impianto e a un match a rischio diserzione. Suvvia, davvero – e di nuovo – dubitavate della macchina del marketing della FIFA, per di più nella città del divertimento e della messinscena?

Soccer ridimensionato

Comunque, a riprova della prova «umana» di Messi, a conquistare il premio di miglior giocatore della partita numero uno del Mondiale per club è stato un altro argentino. Pure lui 38.enne. Parliamo di Oscar Ustari, portiere da sempre snobbato dall’Albiceleste che con i suoi interventi – compreso un rigore parato - ha permesso all’Inter Miami di uscire indenne da un primo tempo vissuto sotto assedio. E, di riflesso, di creare le condizioni per strappare almeno un punto, sinonimo di quasi 820.000 franchi incassati.

A mettere tutti d’accordo, e a proposito delle parate salvifiche di Ustari, ci ha dunque pensato l’Al-Ahly. Forse l’unico l’elemento della scenografia sul quale non erano puntati i riflettori mediatici. E a torto. Ad affrontare l’Inter Miami, a frapporsi fra Messi e l’esito più gradito dell’ouverture, erano d’altronde i 45 volte campioni d’Egitto, una formazione storica, dal palmarès per l’appunto ricchissimo, come dimostrano anche le 12 Champions League africane vinte. Per buona parte della gara, suggerivamo, il ritmo e ardore portati in campo dall’Al-Ahly hanno messo in imbarazzo una delle franchigie più ricche della MLS. Hanno ridimensionato il soccer, toh, primeggiando oltretutto anche in termini di tifosi. Il che, a ben guardare, rappresenta – o dovrebbe rappresentare - un tratto cruciale della nuova creatura di Gianni Infantino.

Una visione di parte

La fase di avvicinamento al torneo è infatti stata costellata da critiche e indignazione: per il montepremi esagerato e finanche pericoloso, per gli attori che lo hanno rimpinguato, per l’insensata collocazione al termine di una stagione estenuante, per la natura dei rapporti tra il leader del Paese ospitante e il leader dell’organizzazione ospitata. Tutto comprensibile e condivisibile, considerate le oggettive storture dell’evento e della sua genesi. A fungere da minimo comune denominatore del disprezzo è tuttavia una sensibilità prettamente europea, o meglio ancora occidentale. Ci si dimentica, detto altrimenti, del significato che la competizione ha e avrà per gli «altri». E ciò indipendentemente dai favori che il presidente della FIFA spera di ottenere in cambio di cotanta visibilità.

Da prede a cacciatori

Perché è di questo che si tratta. Di una luce che infine va a posarsi su una serie di realtà – magari nate molto prima di PSG e Red Bull Salisburgo – verso le quali il calcio europeo si è sempre e soltanto posto in modalità predatoria. L’Africa, volendo estremizzare, continua a fungere da vivaio e «serbatoio» per numerosi club del vecchio continente, così come il talento sudamericano è ritenuto essenziale per alimentare l’estro sul rettangolo verde e accendere la passione del pubblico. Giappone, Corea del Sud e persino Arabia Saudita – intese come entità calcistiche dotate di un numero esiguo di fenomeni – si aggrappano da parte loro a un ottavo, magari un quarto di finale di un Mondiale, o all’exploit contro i futuri campioni, per cercare di farsi notare sul piano internazionale. Se tutto va bene, però, bisogna ogni volta attendere quattro anni.

Come la Coppa dei campioni

Di qui la legittimità di un nuovo spazio in cui e con cui respirare aria nuova. È un’opportunità per «loro» e per «noi». Un’opportunità dovuta. A maggior ragione in previsione di una Coppa del Mondo per nazioni a 48 squadre che – vedi Uzbekistan e Giordania – rinnoverà prospettive e impulsi. Citiamo volentieri pure Le Monde, e in particolare l’economista dello sport Jean-Pascal Gayant: «La creazione della Coppa dei campioni nel 1955, finalizzata a un appuntamento tra le migliori formazioni europee, ha provocato soddisfazione negli spettatori, dimostrandosi sensata sul piano sportivo. Perciò è tutto fuorché illogico sviluppare una competizione analoga a livello planetario». Interessi compresi.

Perciò l’Al-Ahly ha dimostrato quanto il Mondiale per club possa essere importante per le squadre provenienti da continenti meno conosciuti. E il tema, perlomeno all’alba del torneo, merita una riflessione. A disinnescarne la portata, semmai, saranno eventuali goleade e lezioni di stampo europeo, unite a stadi semi-vuoti.

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