Ma tra PSG e Inter chi è più ossessionato dalla Champions?

Non c’è niente da fare. Si fa avanti e indietro, dal 2010 al 2025. E, un po’ dappertutto e in più forme, ci s’imbatte nelle radici di un percorso che va da una finale di Champions League all’altra. Sono passati quindici anni dall’ultimo trionfo dell’Inter, dal triplete firmato da José Mourinho e i suoi uomini coraggiosi. Sono passati quindici anni anche dal famigerato pranzo all’Eliseo, con l’allora principe ereditario del Qatar e futuro emiro Tamim ben Hamad al-Thani e l’ex presidente dell’UEFA Michel Platini ospiti d’onore di Nicolas Sarkozy: e, no, su quel tavolo non vennero gettate solo le basi per l’attribuzione del Mondiale 2022, ma anche per l’acquisto del PSG da parte della Qatar Sports Investments; un’operazione all’insegna della grandeur che si sarebbe consumata l’anno seguente.
Una priorità per Doha
Tre lustri più tardi, parabole e ambizioni di nerazzurri e parigini entreranno in contatto a Monaco di Baviera, per l’atto conclusivo della competizione per club più prestigiosa al mondo. E a poche ore dalla sfida dell’Allianz Arena si fatica tremendamente a distribuire la casacca di favorito e quella di outsider. Come spesso accade, si tratta anche di una questione psicologica. Di un gioco delle parti. E, allora, attraversare un’altra finestra affacciata sul 2010 è inevitabile. Il 27 aprile di quindici anni fa, «Mou» spostava il ritorno della semifinale contro il Barcellona in una dimensione fatta di nervi e sentimento. «Per l’Inter, la finale di Champions costituisce un sogno. Per il Barcellona non è un sogno, è un’ossessione. Ed esiste una grande differenza tra un sogno e un’ossessione». Ebbene, a farsi largo al Camp Nou, anticipando la gloria di Madrid, sarebbe stata la fantasia proibita del club milanese, lasciando priva di senso e valore la fissazione blaugrana.
Chi ha sconfitto l’Inter per accedere alla finalissima - e come lo ha fatto - è noto. Così come è risaputa l’ansia da Champions League di Nasser Al-Khelaifi, che una volta diventato numero uno del PSG ha fissato l’obiettivo di conquistare la coppa dalle grandi orecchie entro il 2015. La scadenza, va da sé, è stata posticipata ancora e ancora, mentre al Parco dei Principi - ricoperti d’oro - venivano attirate una stella dopo l’altra. Inutilmente.
Dal triplete al triplé
Luis Enrique, approdato sulla panchina dei parigini nell’estate del 2023, ha voluto spezzare questa scomoda narrazione e il filo diretto tra il club e un certo tipo di calciatori. E il risultato della sua rivoluzione, in spogliatoio e in campo, potrebbe ora spezzare anche la maledizione Champions. Prendete le parole pronunciate dal tecnico spagnolo nel settembre di due anni fa, e cioè a ridosso dell’esordio nel torneo continentale con il PSG. Alla domanda «la sua squadra può vincere la Champions League?», Lucho replicò con un trattato di cultura calcistica: «Quando un club è ossessionato da qualcosa, non va mai bene. Bisogna avere ambizione, ma l’ossessione non funziona». Ricordate Mourinho e l’arte retorica del 2010? Ecco. Ah, e per la formazione francese vincere significherebbe sublimare la stagione con il triplé.
Esperienze e scottature
Stando al supercomputer Opta e alle sue simulazioni, il Paris Saint-Germain ha il 53,4% di possibilità di salire sul tetto d’Europa. A fronte di due super portieri - l’italiano Gigio Donnarumma e lo svizzero Yann Sommer -, due sistemi difensivi molto solidi e pedine offensive di primissimo piano, chi ritiene l’Inter favorita pone l’accento sul fattore esperienza. Sulla scorza dura di molti giocatori nerazzurri, insomma. L’età media della squadra allenata da Simone Inzaghi, d’altronde, non mente: 30 anni e poco più, contro i 25 del PSG. Eppure, delle quattro semifinaliste la compagine francese era quella che presentava il maggior numero di presenze in Champions League tra le proprie fila. Agli uomini di Enrique, detto altrimenti, potrebbe mancare qualcosa nel cuore del campo, ma non la consapevolezza del collettivo. Tolto capitan Marquinhos (e il lungodegente Kimpembe), nessun giocatore del Paris era a Lisbona, nell’agosto del 2020 e con la pandemia quale unica spettatrice allo stadio, nella finale persa al cospetto del Bayern Monaco. Tradotto: la testa di Dembélé e compagni - a conti fatti - potrebbe essere più libera di quanto si pensi. Persino più libera del rivale nerazzurro.
Già, perché calciatori scafati - in casa Inter - significa altresì ciclo al tramonto. Al netto dell’età dei vari Sommer, Acerbi e Mkhitaryan, a inseguire la quarta Champions nella storia del club sarà una formazione per sette undicesimi uguale a quella sconfitta nel 2023, quando a imporsi all’atto finale era stato il Manchester City. E quindi: per una generazione di giocatori e pure un allenatore - Inzaghi - che al quarto anno di vita puntava al triplete e potrebbe chiudere a zero, dove finiscono i sogni e inizia l’ossessione? Allo stadio Atatürk, due anni fa, Lautaro Martinez c’era. E, a proposito di aspirazione mista a pressione, il leader argentino dell’Inter ha voluto giocare a carte scoperte durante il media day tenutosi lunedì: «La sconfitta di Istanbul ci ha fatto maturare, voglio la Champions con tutto il cuore, la sogno ogni giorno». Di nuovo: quanto sarà ispiratore il sogno, e quanto limitante l’ossessione?
Chi ha più da perdere?
Perciò non c’è niente da fare. Si continua a fare avanti e indietro, dal 2010 al 2025. Da una finale di Champions all’altra. Intrecciando il presente al conclusione eroica dell’era Mourinho e all’alba di un progetto che - nonostante le delusioni internazionali - avrebbe trasformato il PSG in uno dei marchi più influenti del pianeta, a livello calcistico, commerciale e pure diplomatico, se si pensa all’attuale ruolo del Qatar nella politica estera di Donald Trump. Sì, passato e presente stanno per scontrarsi a Monaco di Baviera e azzardare il nome della squadra che ha meno da perdere non è mai stato così difficile.