Quindici anni fa, lo psicodramma bianconero

Allo Stade de Genève, questa sera, non sarà una questione di braccino. Quindici anni fa, al contrario, incise anche quello. Contro il Servette, in un momento di incontestabile fragilità, il Lugano dovrà però tornare a sfoderare personalità, convinzione e orgoglio. Assenti ingiustificate, sempre 15 anni fa. Il 15 maggio 2010, già. Anche allora i bianconeri si giocavano tanto, anzi tantissimo. No, non l’Europa. Banalmente il ritorno nel calcio che conta. Il ritorno in Super League.
L’entrata gratuita in un incubo
Parlavamo di braccino, perché - a differenza degli uomini di Mattia Croci-Torti, in affanno e all’inseguimento - la squadra di Simone Boldini aveva il destino fra le proprie mani. Bastava una vittoria, la più importante, mantenendo saldo il volante all’ultima curva della stagione. Bastava sconfiggere il Vaduz, oramai orfano di qualsivoglia stimolo e per questa ragione presentatosi a Cornaredo in gita scolastica. Certo, lo spareggio con il Bellinzona, lì dietro l’angolo, costituiva un terribile spauracchio. E la sconfitta rimediata cinque giorni prima a Thun - contro il concorrente diretto per l’ascesa - non aveva sicuramente contribuito a rasserenare l’ambiente e uno spogliatoio sull’orlo di una crisi di nervi. Vabbè, da 4 punti di vantaggio si era passati a un +1 sui bernesi comunque promettente. A maggior ragione considerati lo spessore e le motivazioni dell’ultimo avversario in calendario.
«Tutta Lugano è pronta a esplodere» il titolo scelto, non a caso, dal Corriere del Ticino per il giorno della partita. Il club aveva optato per l’entrata gratuita allo stadio e il sapore inebriante della gloria aveva convinto 7.700 spettatori. Tutto molto bello ed entusiasmante. Peccato che quei 90 minuti, quella sfida con il Vaduz, si sarebbero trasformati in uno psicodramma. Altro che promozione.
Un avversario servizievole
«Basta, sono stufo, squadra di morti». Con queste parole di sdegno, narrano le cronache dell’epoca, il patron bianconero Enrico Preziosi lasciò Cornaredo alla luce dell’1-1 maturato in campo. Uno a uno, proprio così. Il Lugano era riuscito nell’impresa di farsi bloccare dalla formazione del Principato. Un pareggio assurdo, del quale il Thun di Murat Yakin ovviamente approfittò. «Che disastro!» l’inappellabile sentenza emessa dal Giornale del Popolo. «Noooo! Ecco il derby» la constatazione, allo stesso tempo terrorizzata e amara per le velleità del calcio ticinese, del CdT. Insomma, era tutto vero. Un incubo tangibile. Un teatro dell’assurdo. «Un miracolo a senso inverso, una tragedia sportiva in piena regola» leggiamo ancora.


Chi era presente in tribuna, rammenta di un Vaduz servizievole, disposto più che volentieri a scansarsi di fronte al disperato sogno bianconero e al suo incidere balbettante. Sette, otto, nove occasioni nei primi 25 minuti non erano tuttavia bastate per permettere ai padroni di casa di sbloccare il punteggio e scacciare i fantasmi. Il portiere Peter Jehle, unico elemento del Vaduz ad aver preso l’incontro sul serio, ci mise del suo. Altrettanto però - e con lo stesso velo di sospetti che ammantò i 14 punti di scarto dilapidati in sette turni l’anno successivo - fecero numerosi giocatori del Lugano, sbagliando l’impossibile. A passare in vantaggio, quindi, furono gli ospiti. E l’autore della rete - Pascal Cerrone - aveva commentato l’episodio del 28’ con un certo imbarazzo. Si parlò addirittura di scuse alla panchina ticinese e di una trattativa aperta con il Lugano - in caso di Super League - che evidentemente non finì bene. «Mi dispiace per come si siano messe le cose per i bianconeri e per tutti gli amici che ho in Ticino. Naturalmente non potevo mancare questa opportunità e ho segnato, non ho ovviamente nessun rammarico. Da Silva e compagni avevano tutte le possibilità di batterci e invece non ci sono riusciti, più per demerito loro che per merito nostro». Voilà.
«Paralizzati dalla paura»
Il Lugano non andò oltre a un rigore - sì, ci volle una palla ferma - trasformato da colui che sarebbe diventato il direttore sportivo del club. Una miseria. Emblematiche, in tal senso, le pagelle elargite dal CdT. Un florilegio di 2,5 e 3, fatta eccezione per il 4 assegnato a Michael Perrier: il giocatore «più in palla di tutti» incomprensibilmente sostituito in avvio di ripresa. «Ricordo benissimo l’arrendevolezza del Vaduz» afferma il «Perro» da noi contattato: «D’accordo, io ero giovane e andavo a mille, ma il nostro avversario era reduce dai 120’ disputati nella finale della Coppa del Liechtenstein e non ne aveva più. Erano semplicemente cotti». E allora come fu possibile fallire? «La mia “immaturità” sportiva, all’epoca, m’impedì di cogliere segnali strani. Oddio, sempre che ve ne fossero. A mio avviso, in ogni caso, altro fece la differenza. Né più, né meno, la squadra venne tradita dalla paura. Lo spareggio dell’anno prima, perso con il Lucerna, in qualche modo ci paralizzò». E mandò in confusione pure mister Boldini. La società, va da sé, lo scaricò nel giro di poche ore. In ogni caso troppo tardi. Al suo successore Marco Schällibaum, l’exploit dell’ex contro il Bellinzona rimase in canna. Un urlo strozzato, a immagine della traversa colpita all’ultimo respiro da Charles-André Doudin. Sono trascorsi 15 anni. E, contro un altro club granata, dal Lugano è lecito attendersi un sussulto d’orgoglio.