L'intervista

Christian Constantin senza filtri: «Non posso permettermi che a Sion regni l'indifferenza»

Abbiamo incontrato il presidentissimo del club vallesano a un mese esatto dalla semifinale di Coppa Svizzera contro il Lugano - La stima per il Crus, il grande progetto per il futuro calcistico della regione e gli investimenti miliardari nel campo immobiliare
Christian Constantin, 67 anni, nel suo studio d’architettura a Martigny-Croix. ©CdT/Gabriele Putzu
Massimo Solari
27.03.2024 06:00

Christian Constantin ci accoglie nel suo studio, al pianoterra del complesso Porte d’Octodure. Siamo a Martigny-Croix, dove l’imprenditore vallesano ha installato il personale quartier generale, e pure quello dell’FC Sion. Alla semifinale di Coppa Svizzera contro il Lugano, in agenda sabato 27 aprile al Tourbillon, manca esattamente un mese. È la miccia per un’intervista intensa. Come il suo protagonista.

Presidente, facciamo un salto indietro di un anno. Il suo Sion aveva perso malamente il quarto di finale di Coppa proprio contro il Lugano. E, all’orizzonte, iniziava a stagliarsi pure lo spettro della relegazione. Oggi siete in testa al campionato e alla sfida con i bianconeri guardate con grande fiducia. Insomma, la Challenge League non sembra così male...
«Beh, di sicuro non ha nulla a che vedere con i tormenti della scorsa stagione. Il calcio, ad ogni modo, si articola su dinamiche semplici. Ripetitive, anche. Quando perdi, magari crolli, è necessario rimboccarsi le maniche. E lavorare, per rialzarsi e garantirsi - per il domani - una situazione migliore. È quello che abbiamo cercato di fare, anche se è presto, molto presto, per festeggiare. Certo, con il Thun ci siamo assicurati la lotta per i primi due posti della lega cadetta. A contare, alla fine, sarà però l’ordine d’arrivo, con cui verrà determinato il nostro ruolo: da promossa o costretta allo spareggio. Per quanto concerne la Coppa, abbiamo avuto l’opportunità di battere uno Young Boys in crisi. Ma considerato il periodo di forma del Lugano - la compagine più oliata del Paese insieme al Servette -, sono consapevole che ad attenderci sarà tutt’altra partita».

Alla semifinale di Coppa, dicevamo, manca un mese. È l’appuntamento di grido, quello che non potete permettervi di sbagliare?
«Oddio, di semifinali di Coppa ne ho vissute quattordici, forse quindici. E quindi so bene che in queste occasioni può accadere di tutto. Ciò non toglie che il Lugano si presenterà al Tourbillon da favorito. E perdere una semifinale, per quanto triste, non sarebbe la fine del mondo. Non dopo aver vinto sette finali su otto da presidente del Sion».

Il giochino lo tentiamo comunque. A fine stagione il Sion mette le mani sulla 14. Coppa Svizzera della sua storia, ma manca il ritorno in Super League. Christian Constantin firma?
«Potrei anche firmare, dal momento che non dipende dal sottoscritto (ride, ndr.). Ma queste sono solo parole, che nel calcio alimentano le narrazioni senza tradursi in un trofeo fra le mani. Preferisco dunque godermi il momento, con la mia squadra ancora in corsa per due grandi obiettivi. Che cosa resterà di tutto questo al termine della stagione, lo vedremo a inizio giugno. Ora non mi va di proiettarmi così avanti».

Mattia Croci-Torti è un allenatore da guerriglia. All’YB, con il cappellino, non me lo immagino

Da numero uno del club, appunto, ha sbagliato solo una finale delle otto disputate, l’ultima nel 2017. Mattia Croci-Torti, da parte sua, ha perso solo una partita di Coppa delle 15 disputate sulla panchina del Lugano. Chi la spunterà al Tourbillon a fine aprile?
«Permettetemi di dire che apprezzo molto Mattia. E non da ieri. Lo ricordo bene da giocatore del Chiasso. Quando mise fine alla carriera, Marco Degennaro era dirigente dei rossoblù. Discutemmo della sua posizione. Sì, pensammo che uno con quella grinta avrebbe potuto fare bene nella veste di assistente a Sion. Al contempo, però, capimmo pure quanto sarebbe stato interessante immergere un profilo del genere nella vita sportiva dei ticinesi. Figure di questo tipo, capaci d’immedesimarsi con la piazza, non sono nuove a Lugano. E mi viene in mente Vincenzo Brenna. In questo momento, con il club finito nelle mani di Chicago, trovo tuttavia che sia ancora più importante contare su un allenatore così nostrano. A maggior ragione alla luce del lavoro che sta portando avanti. Sarò felice di riabbracciarlo, va da sé nella speranza che le sue sconfitte in Coppa possano diventare due».

Ma, presto o tardi, il Crus potrebbe diventare uno degli allenatori di Constantin?
«A essere sincero, Mattia mi ha già confidato che - un giorno - avrebbe lavorato volentieri a Sion. E io ho confidato a lui che - un giorno - mi sarebbe piaciuto ingaggiarlo. Ripeto: la passione e il dinamismo che mette nel suo lavoro, la forza che sa trasmettere ai suoi giocatori, troverebbero terreno fertile in Vallese. A mio avviso, in effetti, Croci-Torti non è un allenatore “urbano”. Uno da giacca e cravatta, per intenderci. No, Mattia è un tecnico da guerriglia. Uno alla Serse Cosmi, che funzionava e aveva successo perché era a Perugia. Come Diego Simeone si sposa alla perfezione con lo spirito dell’Atletico Madrid, ma - sempre secondo il mio punto di vista - non sarebbe in grado di replicare le gesta di Carlo Ancelotti al Real».

Dunque lo Young Boys, in cerca di un allenatore per la prossima stagione, farebbe bene a puntare altrove?
«Mattia alla guida dei gialloneri? Con il cappellino? Non so. Fatico a immaginarmelo».

Torniamo al Sion. Gestire la società in Challenge League le ha permesso di risparmiare o i suoi sforzi finanziari sono rimasti invariati, complici le ambizioni di promozione immediata?
«Ci sono dei contratti per la Super e dei contratti per la Challenge League. Ma tutto costa. Piuttosto, credo che la retrocessione, il passo indietro del Sion, abbia fatto del bene a tutta la regione. Vedere il club militare nel massimo campionato era diventato qualcosa di scontato. Ebbene, non lo è affatto. Come non lo è per l’Ambrì Piotta, una realtà periferica paragonabile alla nostra. La gente, appunto, se ne è resa conto. E, infatti, non smette di sostenerci. Ecco, forse la differenza tra il Vallese e Lugano rimane questa. Quando i risultati arrivano, e senza che debba per forza andare in scena una finale, il seguito allo stadio si conferma più importante. Sono però convinto che il futuro stadio permetterà al club bianconero di guadagnare popolarità in tutto il Ticino. Purché la nuova proprietà americana dimostri di sapersi muovere con sensibilità in tutto il territorio».

Gennaio 2023: lei annuncia pubblicamente che lascerà la testa del club nel giugno del 2024. Ora, però, sappiamo che non sarà il caso. Il progetto «FC Sion 2030», sposato dalle autorità locali, può essere considerato il suo ultimo capolavoro?
«La vita sportiva del Tourbillon non è molto differente da quella del vecchio Cornaredo. O della mitica Valascia. E se non siamo in grado di offrire al Vallese delle infrastrutture adatte al 21. secolo, continuare non ha senso. La convenzione firmata a inizio anno risponde a questa esigenza, mentre per il sottoscritto si tratta di portare a termine un progetto al quale rifletto da oltre vent’anni. A fronte di una tale conoscenza del dossier, onestamente non riesco a concepire un’altra figura capace di farcela. Sarebbe un casino. Molto rimane da fare, ma il dossier avanza. E se, infine, riuscirò a realizzare il progetto, i giovani calciatori vallesani potranno beneficare di un club di punta, in assenza del quale verrebbero meno determinate prospettive. Sportive, ma anche di educazione e qualità di vita collettiva».

Eppure, all’esterno questa maxi-iniziativa da oltre 500 milioni di franchi potrebbe apparire anche come una questione molto personale. Lo stadio di Christian Constantin, punto.
«Il problema è uno: per tutti, oggi, l’FC Sion è Christian Constantin. E, beninteso, buona parte della colpa è mia. La realtà è verità. Ma per un motivo: se mi muovessi come i presidenti che operano al GC, a Basilea o Berna, non esisterei. Per competere, come già indicato per Croci-Torti, ho bisogno di un contesto da guerriglia. Non solo: se non mi smarcassi dalla concorrenza, se non ragionassi su progetti differenti, nessuno guarderebbe il Sion. Riuscirci, per contro, attira l’attenzione altrui: c’è chi pensa che sei un buono a nulla, un tipo simpatico o una figura intrigante. Insomma, non posso permettermi che a Sion regni l’indifferenza. E, al contempo, devo essere disposto a pagarne le conseguenze. Come presidente ho vinto un campionato, sette Coppe, ho firmato una doppietta e sono stato l’unico in grado di conquistare il trofeo nazionale dalla lega cadetta. C’è della vita. C’è un peso sportivo. E una storia, per la quale sto cercando di scrivere l’ultimo, grande capitolo, garantendo all’FC Sion di attraversare questo secolo. È stato ed è uno spettacolo: dopo l’entrata sul palcoscenico e il materiale per dare vita alla trama, beh, ora è tempo di battermi per la migliore uscita di scena possibile».

Il piano di Christian Constantin, per il futuro dell’FC Sion, è ambizioso. Ma, a suo dire, indispensabile per garantire un domani all’intero movimento calcistico vallesano. Dopo tante speculazioni e aver minacciato pure l’addio a giugno 2024, a inizio anno il 67.enne ha svelato il progetto «FC Sion 2030». Constantin, il Cantone, la Città e l’associazione vallesana hanno sottoscritto una lettera d’intenti per la realizzazione di una nuovo stadio, che dalla stagione 2029-30 sorgerebbe accanto al Tourbillon. L’arena, che conterebbe 15.000 posti per le partite di calcio, ma sarebbe altresì in grado di accogliere 25.000 persone per concerti ed eventi, costituisce però solo una parte della visione. Per il progetto è stimata una spesa complessiva di 510 milioni di franchi. Se la Città metterebbe a disposizione i terreni, il Cantone finanzierebbe il 30% dello stadio e il 25% della nuova accademia di formazione, per la quale sono previsti 9 nuovi campi tra Bramois et Châteauneuf. L’Olympique des Alpes SA, la società che amministra l’FC Sion, assumerebbe da parte sua il 30% dei costi della parte sportiva, fino a un importo massimo di 50 milioni. Al contempo, entro il 2033, verrebbero realizzati 600 appartamenti con l’obiettivo di coprire un terzo del budget dell’intero progetto.

Grazie alle infrastrutture immaginate per il futuro, il suo amore e il suo coinvolgimento per l’FC Sion potrebbe dunque rinnovarsi. Ancora. E però sino a quando?
«Quantomeno sino alla realizzazione del progetto nel 2029-30. Lo stadio che vogliamo regalare alla comunità è qualcosa di unico. Nessuno, sinora, aveva osato così tanto a livello di idee. Scordatevi anche la nuova arena di Lugano. Qui parliamo di un impianto che abbraccia tutto il ventunesimo secolo, non che è rimasto agganciato al ventesimo».

In questa fase avverte i vallesani al suo fianco? O l’atteggiamento verso «patron Constantin» rimane spigoloso?
«Solitamente sono un pessimista. Ma questa volta, sì, tra la popolazione percepisco la voglia di novità. Che non equivale ancora a sostenere il progetto a prescindere, quanto a simpatizzarne».

A proposito di sostegno. Angelo Renzetti, durante gli anni ai vertici dell’FC Lugano, ha spesso evocato la solitudine del presidente-imprenditore-mecenate. Lei si sente solo?
«Si è sempre da soli. Perché nessuno comprende le difficoltà di fare calcio. Nessuno capisce che il 1. luglio di ogni anno, sul tuo conto, non ci sono soldi, mentre 30 giorni più tardi hai speso 20 milioni di franchi. Dalle scadenze di pagamento non si scappa e ciò che affermava Angelo circa i presidenti-proprietari è la semplice verità. Ciò nonostante, nonostante i sacrifici, non credo che il fenomeno delle multiproprietà possa fare del bene. A lungo termine, perlomeno. Nel calcio convivono infatti povertà - alla base, dove si discute, si sogna una carriera - e ricchezza, con quest’ultima chiamata a sostenere l’intera catena. E se non sei ancorato localmente, se non sei in grado di rendere orgogliosa la gente del posto, ma vuoi solo comprarla, è complicato dare un’anima a un progetto sportivo. Perciò non ritengo fattibile dirigere una società a 10.000 chilometri di distanza. Un club è una questione umana. Ecco perché, in futuro, le realtà che definirei “vintage” saranno anche le più solide, grazie alle loro radici. Al contrario, non so per esempio cosa accadrà a Ineos a Losanna, dopo l’acquisto dello United. Mi dispiace, ma non è possibile gestire un club se non lo ami. Per questo motivo, quando arriverà il momento, farò di tutto per vincolare l’FC Sion a una larga partecipazione popolare. Come in Germania».

Il futuro stadio a Sion? È un po' come uno spettacolo. Dopo l’entrata in scena e aver scritto i contenuti per la storia del club, mi batto per il miglior finale possibile

Tra pochi giorni ritroverà un fedele compagno di viaggio: Marco Degennaro. Al netto delle sue funzioni sportive (diventerà il direttore generale del club), che cosa rappresenta per lei il «Dege»? Un fratello? Un amico prezioso?
«Marco è un grande appassionato di calcio. E fare parte della classe dirigente di un grande club italiano - Juventus su tutti - avrebbe costituito il regalo più grande. Una volta superati i 50 anni, e diventato papà, Marco ha compreso come non avesse più senso ripartire da zero unicamente per un anelito calcistico. No, Degennaro - grazie al suo acume - merita di avere un margine di manovra più ampio. Di qui i miei incarichi sul piano sportivo, ma pure quelli in campo immobiliare. Il tutto permettendo a mio figlio Barthélémy di avere una guida. A livello personale con Marco ci stimiamo molto. Mi capisce, sa come prendermi e - talvolta - come smussare la mia rigidità agli occhi di altri collaboratori. Sì, è una figura che mi completa. Parliamo la stessa lingua».

Non si contano invece gli allenatori e i giocatori passati sotto la sua gestione. Ma quale calciatore non potrebbe mai mancare nel suo Sion ideale?
«In questi anni ho avuto a che fare con grandi giocatori, con profili mediocri, con calciatori di cuore e altri meno generosi. Pochi di loro, comunque, non mi hanno segnato in qualche modo. Anche se molto dipende anche dalla fortuna che i diretti interessati hanno avuto sul campo».

E Mario Balotelli, lui, avrebbe dovuto fare parte di questo undici?
«Balotelli avrebbe dovuto fare parte dell’undici ideale del calcio mondiale. Non del Sion. Aveva le doti di Ronaldinho, ma purtroppo non la cultura del lavoro di Ronaldo. E parlarne mi crea sempre una certa difficoltà. Ero convinto di poterlo cambiare in qualche modo, renderlo differente per il bene del Sion. Credevo di poter parlare al suo cuore e al suo cervello. Il cuore, ve lo assicuro, non manca a Mario. La sua testa, invece, è davvero particolare».

«Ho progetti in corso per 2,7 miliardi di franchi»

Lo studio d’architettura di Christian Constantin assomiglia a uno specchio. Uno specchio che riflette fedelmente la personalità eclettica del suo proprietario. Tutto, sul grande tavolo di legno al centro della sala e attorno a esso, è alla luce del sole. Dossier, brochure, schizzi, plastici. Genio, idee, progetti, soldi. Sono così tanti che vien da chiedersi quanti vengano realizzati concretamente. E quanti, invece, si limitino a essere sogni, da riporre nel cassetto prima o poi. «CC» non si sottrae alla riflessione. Anzi. «67 anni non è più l’età per sognare. No, in questa fase della vita si tratta di fare, di realizzare ciò che si sognava da giovani. E io ho la fortuna di poterlo fare. Di poter tramutare in realtà i sogni che ora appartengono ad altri».

Le cifre, in questo senso, non mentono. «Uno dei miei collaboratori più fedeli, 70 anni, ha appena fatto un inventario dell’attività svolta in carriera» indica il nostro interlocutore. Per poi precisare: «Mi ha detto di aver disegnato 580 progetti, ciascuno composto da due stabilimenti e mezzo, per un totale di 1.300 edifici circa. Ebbene, il 95% di questi è stato portato a termine». Con i suoi tempi, seguendo iter spesso tortuosi, tra domande di costruzione, ricorsi e gestione dei cantieri. Constantin, per esempio, è in trattativa con la Città di Lugano e il Cantone per rilanciare il comparto della Forca di San Martino. L’imprenditore vallesano detiene un diritto di compera per l’immobile pregiato che si affaccia sul Ceresio ed è altresì disposto a contribuire alla creazione della ciclopista tra Paradiso e Melide. Prima, però, è necessaria una modifica del Piano regolatore. «Le discussioni sono positive e io non intendo mollare, perché parliamo di un luogo eccezionale, che merita di essere curato, regalando alla città un appendice che è ferma al dopoguerra».

A noi gli americani hanno preso gli impianti di risalita, al canton Ticino la squadra di calcio più importante

L’osmosi tra Constantin e il territorio vallesano, quella, è totale. Una sorta di re, sovrano di un parco immobiliare vastissimo. Ma, domandiamo, replicare un tale successo in altre realtà non è mai stata un’ambizione? Il presidente del Sion sorride: «Guardi. Ho in corso progetti per un valore complessivo di 2,7 miliardi di franchi. E direi che per un sol uomo non è poi così male... I miei piani, ad ogni modo, interessano un’area che va da Ginevra al lago di Neuchâtel-lago di Morat, passando per l’intero Vallese e toccando - di tanto in tanto - il Ticino».

Constantin è affezionato al sud delle Alpi. Durante la nostra chiacchierata lo accarezza a più riprese. E, al momento di giudicarne lo status all’interno dell’ecosistema elvetico, il suo sguardo fatica a essere obiettivo. Per esempio quando mettiamo sul tavolo quel sentimento, tipicamente ticinese, da ultimi della classe. «Il Vallese è uno dei vostri vicini. E se voi vi sentite o vi vedete così, beh, allora la stessa percezione di regione periferica, un po’ snobbata, vale anche per noi. Una cosa però va detta: nel mondo la Svizzera è conosciuta per le sue montagne. E queste dove si trovano principalmente? Tra Vaud, Vallese, Berna, Ticino e Grigioni. Senza di noi, dunque, il Paese non esisterebbe». E con lui pure il turismo invernale e gli sport sulla neve.

Ad accorgersene, però, sono stati anche gli americani, che - restando in Vallese - hanno preso il controllo degli impianti a Crans-Montana e mirano a fare lo stesso a Verbier. L’imprenditore Constantin comprende e accetta di buon grado le logiche del mercato oppure, da vallesano, si sente ferito nell’orgoglio? «A noi hanno preso gli impianti di risalita, al Ticino la squadra di calcio più importante (ride, ndr.). Battute a parte, la difesa del territorio dove siamo cresciuti - nella quale per altro credo - deve avvenire con intelligenza e lucidità. L’economia ha le sue regole e gli investitori americani non sono stupidi: se hanno messo gli occhi sulle montagne vallesane è perché sanno bene che, a fronte del surriscaldamento climatico, la neve d’Europa sarà redditizia qui, oltre i 4.000 metri».

Nato il 7 gennaio 1957 a Martigny, Christian Constantin è architetto e promotore immobiliare. Oltre che naturalmente presidentissimo dell’FC Sion. Archiviata una discreta carriera da portiere - con tanto di parentesi al Lugano, nella stagione 1979-80 - la vita calcistica di «CC» si è riflessa nel club vallesano. In due periodi, per la precisione. Dal 1992 al 1997, con tanto di titolo svizzero (1997) e tre Coppe vinte consecutivamente (1995,1996 e 1997). Constantin ha quindi ripreso le redini della società nel 2003. Da allora sono arrivate altre quattro Coppe (2006, 2009, 2011 e 2015). Nel 2009, il Sion è diventato l’unico club svizzero in grado di conquistare il trofeo militando nella lega cadetta.
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