Calcio

Il Mondiale della ricostruzione

Spagna e Portogallo hanno incluso l’Ucraina nella candidatura per ospitare il torneo nel 2030 - Nicola Sbetti: «Quella di Zelensky è una mossa politica, psicologica e simbolica, d’altronde sfrutta lo sport dall’inizio della guerra»
Massimo Solari
05.10.2022 16:59

La FIFA deciderà solo nel 2024. Quando - se lo augurano tutti - nell’est del continente non cadranno più bombe. «Ma la candidatura congiunta di Spagna, Portogallo e Ucraina, per ospitare i Mondiali del 2030, va osservata e analizzata con le lenti del presente» tiene a sottolineare Nicola Sbetti. Già, l’aggiunta di un terzo Paese alla proposta iberica - ufficializzata mercoledì a Nyon - risponde a precise dinamiche geopolitiche. E il docente di Storia dello sport all’Università di Bologna, nonché attento osservatore del rapporto fra sport e relazioni internazionali, invita a soppesare il colpo di Kiev per i suoi effetti immediati. «Quella di Volodymyr Zelensky - spiega - è una mossa politica, psicologica e simbolica. Come simbolica è la candidatura ucraina».

«La ciliegina sulla torta»

Sbetti chiarisce il concetto: «È dall’inizio del conflitto che l’Ucraina fa un uso strategico dello sport e della retorica ad esso collegata. Pensiamo, per esempio, all’arruolamento volontario di atleti o ex atleti. O ai messaggi lanciati da vari campioni residenti all’estero. Su tutti, Shevchenko. La narrazione in questione, tuttavia, ha accompagnato la prima fase della guerra. Con il passare dei mesi, e - come sembra - il ribaltamento degli equilibri, lo sport e gli sportivi sono invece stati esaltati nella loro essenza. Shakhtar e Dinamo sono state messe in vetrina attraverso una serie di amichevoli, la Nazionale è tornata in campo (e il mancato accesso al Mondiale in Qatar, in quest’ottica, ha costituito un’enorme occasione di visibilità fallita), il campionato locale è ripartito. E ora, appunto, assistiamo alla ciliegina sulla torta: lo sfruttamento della competizione più prestigiosa del pianeta. Insomma, Zelensky - legittimamente - sta facendo esattamente la stessa cosa di Vladimir Putin con i Mondiali del 2018. E il messaggio che accompagna questa iniziativa è evidente: “Guardateci, non solo stiamo respingendo l’esercito di Mosca, ma abbiamo anche la forza di pianificare e realizzare una Coppa del mondo”. Poco importa se, a oggi, ciò sarebbe impossibile». In fondo, aggiunge Sbetti, basterebbe notare quanto appena successo con l’Arabia Saudita, scelta per ospitare i Giochi asiatici invernali del 2029 in un luogo che ancora non esiste. Come molto stadi che hanno accolto l’Europeo del 2012 saranno superati dagli eventi e come - probabilmente - fra otto anni non vi sarà più un governo Zelensky.

Gli interessi iberici e il jolly dell’Uruguay

Dettaglio non da poco: l’ultimo Mondiale targato UEFA-FIFA è stato quello del 2018. In Russia, appunto. «Gianni Infantino - rileva Sbetti al proposito - ha avuto un rapporto importante con Vladimir Putin. È innegabile. E di immagini iconiche, ovviamente nel quadro del torneo, ve ne sono diverse. Ora, però, la maggioranza del mondo occidentale - attori sportivi compresi - tifa Ucraina. E dunque, sì, la sensibilità sul dossier potrebbe essere accresciuta. A oggi, tuttavia, non ravviso una ragnatela già predisposta dalla FIFA. Ripeto: politicamente, conta solo lanciare un segnale. E a tirare le fila, dunque, è Zelensky. Il fatto che trascorreranno altri 2 anni prima dell’attribuzione, rischia invece di avere un risvolto duplice. Il primo controproducente, poiché “l’effetto Kiev” sulla candidatura sarà verosimilmente meno impattante. Il secondo, all’opposto, potrebbe rafforzare il terzetto UEFA, dal momento che al tavolo della ricostruzione ucraina vorranno sedersi in molti: la stessa FIFA e alcuni Paesi - penso agli Stati Uniti - che da un voto favorevole alla proposta trarrebbero vantaggi economici: gli appalti per la realizzazione dei futuri stadi, per esempio». Di più: «Non va dimenticato che siamo di fronte all’unica candidatura europea. Il calcolo, dunque, non è solo ucraino. Ma anche delle federazioni spagnola e portoghese. Il nuovo partner, né più, né meno, costituisce una sorta di bonus. Un forte atout, anche, per fronteggiare soprattutto la concorrenza dell’Uruguay (insieme ad Argentina, Paraguay e Cile), a cent’anni dal primo Mondiale». A giocarsi il torneo del 2030, ricordiamo, sono inoltre il controverso terzetto Grecia-Egitto-Arabia Saudita e il Marocco.

La storia non mente

A suffragare la narrazione del «Mondiale della ricostruzione e delle città martiri» c’è poi la storia. E no, non è un dato trascurabile. La moralità, se così si può definire, ha infatti guidato parecchie assegnazioni del passato. Ancora Sbetti: «Su tutte menzionerei le Olimpiadi del 1920 ad Anversa, con il Belgio fra le nazioni più martoriate dalla Grande Guerra. Mentre se si considera la Seconda guerra mondiale quale fattore e monito, vale la pena citare anche i Giochi del 1948 a Londra, la riassegnazione a Helsinki nel 1952 e pure le edizioni attribuite a Roma (1960) e Tokyo (1964)». Nicola Sbetti conclude spingendosi oltre: «Seguendo questi principi, e va da sé a fronte di una svolta democratica del Paese, in futuro la stessa Russia tornerà a ospitare un grande evento e, di riflesso, a beneficiare dell’uso politico e simbolico dello sport».

Correlati