Calcio e potere

Il regno di Infantino prospera, ma è tutto oro quel che luccica?

Domani il 52.enne vallesano strapperà un nuovo mandato presidenziale alla testa della FIFA - I ricavi esplodono, così come le mire del suo leader - Emmanuel Bayle: «Istituzione sotto controllo, successi solo parziali»
Gianni Infantino, 52 anni, è alla presidenza della FIFA dal febbraio del 2016. © AP/INTI OCON
Massimo Solari
15.03.2023 06:00

Ha incrementato i ricavi di 1,2 miliardi di dollari, portandoli a quota 7,6. Ma non intende fermarsi: a budget - per il ciclo 2023-2026 - sono stati inseriti addirittura 11 miliardi. Sì, una miniera d’oro. Il sogno (e in questo caso pure l’ossessione) di qualsiasi dirigente d’azienda. A fronte di simili cifre, non a caso, Gianni Infantino si appresta a strappare un nuovo mandato presidenziale alla testa della FIFA. Domani, in occasione del Congresso a Kigali), sarà l’unico candidato in corsa. Una passeggiata. Eppure, nonostante l’agio con il quale incasserà la fiducia della maggioranza dei 211 membri, il 52.enne rimane una figura divisiva. Per dire: la federazione norvegese non lo voterà: «Ha perso numerose occasioni per realizzare veramente i cambiamenti per i quali era stato eletto» ha spiegato la presidente Lise Klaveness. Un dissenso simbolico verso un leader scomodo. E però, considerata l’ampiezza dell’industria gestita, anche molto potente. Persino capace?

«Too big to fail»

«Il bilancio di Infantino, dopo 7 anni di presidenza, non ha nulla di eccezionale» frena Emmanuel Bayle, professore in gestione dello sport all’Istituto di scienze dello sport dell’Università di Losanna. «Sì, la FIFA - intesa come istituzione - gode di un maggiore controllo. Ma, a mio avviso, ha avuto la fortuna di prosperare su dinamiche favorevoli già in atto. Mi riferisco alla mondializzazione del calcio, del business del calcio, con una partecipazione e degli investimenti sempre più globali. Dalla Cina ai Paesi del Golfo, passando per l’America del Nord e l’India. Il pallone ha assunto una dimensione egemonica, per certi versi inscalfibile da parte di Stati, sponsor e opinione pubblica». E Qatar 2022, il Mondiale più controverso di sempre, è lì a dimostrarlo. «Malgrado le critiche, anche feroci, di una parte dell’Occidente, il sistema non ha vacillato» osserva Bayle. Il prodotto calcio, detto altrimenti, gode quasi di un’immunità universale. «Too big to fail» conferma il professore. Per poi avanzare un altro parallelismo: «Nell’immaginario comune, il calcio - e quindi la FIFA - è oramai associato al concetto di business. Perciò, a differenza dell’olimpismo, molti problemi di natura etica finiscono per disperdersi». Mentre chi si trova ai vertici di questa configurazione, va da sé, beneficia dello stesso grado di intoccabilità.

La seconda carta da giocare

Segnato dalla pandemia, il primo ciclo completo presieduto da Gianni Infantino ha conosciuto dei successi. Veri. «Lo sviluppo del calcio femminile è indiscutibile» rileva Bayle. «Così come l’allargamento dei Mondiali da 32 a 48 squadre, sempre in termini economici, è un colpo riuscito». Diverso il discorso circa la diversificazione del prodotto. «Se l’UEFA può affidarsi a tre vetrine - Champions League, Europeo e Nations League -, la FIFA dipende ancora dalla Coppa del Mondo maschile. Insomma, le manca almeno una seconda carta da giocare». Ma come? Il Mondiale per club a 32, in agenda dal 2025 e lanciato in pompa magna lo scorso dicembre a Doha, non risponde proprio a questa esigenza? «La sua riuscita è tutta da verificare» replica Bayle: «Parliamo di una competizione che va totalmente modellata. Sul piano economico, ma altresì - e in particolare - a livello di negoziazioni con giocatori, club e leghe nazionali». Già, in un calendario che non concede tregua, creare un varco per la nuova creatura di Infantino non sarà semplice. «L’effetto-proclama di questo evento ricorda molto quello per il Mondiale ogni due anni. E sappiamo com’è andata a finire» evidenzia Bayle. Di più: al netto delle notevoli garanzie date dal Paese ospitante - la tanta amata (da Infantino) Arabia Saudita -, negli 11 miliardi di budget fissati per il periodo 2023-2026 l’indotto del Mondiale per club non è stato incluso. «E non sorprende, considerata l’incertezza che avvolge il progetto» insiste Bayle, secondo cui il successo parziale di Infantino è da ricondurre a questa dicotomia. Da un lato il pilota automatico della globalizzazione - che non smette di generare entrate -, dall’altro un ventaglio di attrazioni che fatica ad allargarsi.

Il pallone - e di riflesso la FIFA - ha assunto una dimensione egemonica, per certi versi inscalfibile da parte di Stati, sponsor e opinione pubblica: Qatar 2022 lo dimostra
Emmanuel Bayle, professore all'Università di Losanna

«Il sistema si auto-alimenta»

Successo parziale, tuttavia, non significa funzionamento lacunoso. Anzi. «Il sistema si autoalimenta secondo una semplice equazione» spiega Bayle. «I ricavi crescono - meno di quanto potrebbero, ma crescono - e di riflesso aumenta il denaro da ridistribuire per lo sviluppo mondiale del calcio. Che è l’obiettivo primario della FIFA ed è stato raggiunto. Di più: ricevendo il doppio dei finanziamenti da Zurigo, le piccole federazioni - il cui voto al Congresso pesa quanto quello dei membri più potenti - non possono che applaudire all’operato di Infantino. In tal senso parlavo d’istituzione sotto controllo. Infantino, se vogliamo, ha seguito la via di Blatter. Pure candidato unico a più riprese. In fondo, voi amputereste la mano che vi nutre generosamente?». Il sostegno, suggerivamo, non è però unanime. Non nel Vecchio Continente, quantomeno. «Perciò risulta sorprendente, e democraticamente problematica, l’assenza di altri candidati alla presidenza» ammette Bayle. «No, non è un buon segnale». A maggior ragione se chi comanda non disdegna le rivalità. «La governance di Infantino - riconosce lo specialista all’UNIL - è poco collaborativa. Ai tempi del segretariato UEFA, non era così. La coalizione dei vari partner - dall’ECA al sindacato dei calciatori - fa invece difetto a Zurigo. Dove a prevalere sono i giochi politici delle confederazioni».

Manovre e manovratori

Guardando nello specchietto retrovisore, l’attuale leadership della FIFA rivendica però un operato più trasparente. «Peccato che la promessa di plafonare lo stipendio di Infantino non sia stata mantenuta. Facendo leva sui bonus è avvenuto il contrario». E così, alla fine del 2022 la remunerazione di Gianni ha raggiunto i i 3,9 milioni di dollari, con la parte variabile cresciuta di 700.000 dollari rispetto al 2021. «Un altro segnale infelice» ravvisa Bayle, per il quale il possibile acquisto dello Stade de France - ventilato da L’Équipe - non soddisferebbe in nessun modo la sete di denaro della FIFA e del suo condottiero. «Lo sfruttamento di un impianto di proprietà (il cui prezzo sarebbe stato fissato a 600 milioni di euro dall’Eliseo, ndr) non è il modello economico che interessa all’organizzazione. Banalmente, lasciare che Stati e contribuenti assumano i costi d’organizzazione degli eventi FIFA è più conveniente».

E a proposito di manovre e manovratori. Sul piano individuale, oltre alle ombre giudiziarie nell’ambito degli incontri con l’ex procuratore federale Michael Lauber, ha sollevato non pochi interrogativi la recente investitura di Noël Le Graët. Travolto dagli scandali alla testa della Federazione francese, l’81.enne è stato scelto da Infantino per guidare l’ufficio parigino della FIFA. «Una mossa simbolica e tutto fuorché strana» conclude Bayle: «Si è mandato un messaggio inequivocabile: non sono i Governi, è la FIFA a controllare il calcio».

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