Calcio

Messi, e chi sennò? «Leo ha trasceso tutto»

Il campione argentino ha conquistato l’ottavo Pallone d’oro, quello alla carriera - Lo scrittore Fabrizio Gabrielli: «Premiato l’ultimo baluardo del potere taumaturgico del talento»
© EPA/MOHAMMED BADRA
Massimo Solari
30.10.2023 23:30

Lionel Messi, 36 anni e il dono della grazia calcistica, ha dunque conquistato l’ottavo Pallone d’oro. Quello alla carriera. Quello che nessuno, nel profondo, avrebbe avuto l’ardore di negargli. Non dopo l’estasi mondiale con l’Argentina. Non il 30 ottobre, e ci arriveremo. L’impressione, insomma, è di essere di fronte a un disegno più grande di quello appena formalizzato dalla giura di France Football. Si mettano il cuore in pace Erling Haaland e Kylian Mbappé, fuoriclasse, campioni anche, ma non ancora divinità del pallone. «Premiando Messi si premia l’ultimo baluardo del potere taumaturgico del talento». Fabrizio Gabrielli ha cercato di coglierne l’essenza più volte. Firma storica de L’Ultimo Uomo , nell’ottobre del 2022 - una splendida profezia, già - ha pubblicato Messi, edito da 66thand2nd. «Ho come l’impressione che le prossime short-list dei papabili Palloni d’oro accoglieranno, al contrario, solo esseri bionici, pronti a sfidarsi a colpi di record raggiunti o abbattuti mostruosamente. Ma non quest’anno. Quest’anno ha prevalso ancora un pizzico di umanità, con il massimo riconoscimento all’individualità andato a colui che della magia è riuscito - oramai solo - a farsi portavoce. Non solo. Il peso specifico del singolo emerge sempre in un contesto che a sua volta si distingue. E quindi bisogna riconoscere come gli incredibili numeri di Haaland, principale contendente di Messi, siano maturati all’interno del Manchester City di Guardiola. Che ha vinto tutto quanto si poteva vincere a livello di club».

«Un sortilegio inspiegabile»

Per Gabrielli, la tesi valida per la stagione 2022-23 dovrebbe quindi spiegare pure le controverse assegnazioni del 2010 e del 2021. «Soprattutto la prima delle due, a discapito di Iniesta e Xavi, dimostra come l’individualità prevale sempre sulla collettività. I due centrocampisti spagnoli costituivano delle magnifiche rondelle di un meccanismo che funzionava alla perfezione. Nella Spagna in modo razionale. Nel Barcellona, invece, per innescare quel sortilegio inspiegabile che era ed è Messi». E il 2021? «Quel Pallone d’oro, in effetti, fu anche politico, considerato il trasferimento del giocatore a Parigi, casa di France Football. Ma situazioni di questo tipo accadono solo con personalità luminescenti come Leo. In un primo momento c’è qualcosa di discutibile. Retroattivamente tutto ha poi un senso. La giuria, d’altronde, aveva voluto sottolineare come l’Argentina - con la Copa América - fosse riuscita a risollevare un trofeo perché, sostanzialmente, Messi si era messo in testa di farlo. E il Mondiale in Qatar è in qualche modo stata la prosecuzione di quella forza di volontà. Oltretutto esaudendo il desiderio della grande maggioranza dei tifosi che speravano nel suo successo. Che l’ottavo Pallone d’oro rappresenti la perfetta e più compiuta conclusione di una serie di coincidenze significative della storia di Messi e dell’Argentina calcistica, infine, lo attesta il giorno della sua consegna: la data di nascita di Diego Armando Maradona». Brividi.

Infine caudillo

Lionel Messi è riuscito a piegare al suo volere pure le nuove regole del gioco, cambiate in corsa per limitare polemiche e secondi posti mal digeriti. «Chi partecipa a questa cerimonia collettiva - rileva Gabrielli - sta vedendo sfumare l’officiante più mito poliedrico che ci sia stato nell’ultimo ventennio. Ed elevarlo al di sopra di tutti è un segno di attaccamento a un tipo di narrazione che, forse, salverà il calcio dalla sua disumanizzazione ancora per un po’».

Messi è stato molto furbo, non ha mai cercato di scavalcare Maradona, ma piuttosto si è messo al suo servizio, fungendo da emanazione del suo spirito
Fabrizio Gabrielli, scrittore e autore di «Messi»

Messi è il volto di questo calcio. Ed è il volto di un’Argentina che ha accettato di non avere un solo simbolo. «Leo non ha mai indossato una delle tante maschere del teatro dell’arte argentino» osserva il nostro interlocutore. «Fino al 2021, è stato il giocatore che ha saputo mettere in bacheca tutti i trofei possibili a livello personale. Il giocatore che ha fatto vincere il club - il Barcellona di Guardiola e del calcio totale - di cui ha incarnato l’anima meglio di chiunque altro. Della sua nazionale, il fenomeno di Rosario non era invece mai riuscito a farsi caudillo. Nel momento in cui è riuscito a esserlo, e con il riconoscimento completo dei propri connazionali, ecco però il tassello mancante. La compiutezza. Messi ha infine deciso di personificare lo spirito argentino, uno spirito loco, sfrontato anche quando non è necessario, indossando e interpretando bene quella maschera venuta meno in un primo momento. E gli argentini, che non lo avevano mai messo sopra o sotto Maradona, hanno semplicemente riconosciuto come in una scala ecclesiastica entrambi potessero convivere serenamente. Messi, per altro, è stato molto furbo nell’appoggiare questo tipo di narrazione, senza mai cercare di scavalcare Diego, mettendosi piuttosto al suo servizio. Fungendo da emanazione, nel cuore e in quel piede mancino, del suo spirito».

Quella giocata su Gvardiol

C’era pure un riflesso del «Pibe», dunque, nell’oro sollevato di fronte alla platea parigina. Ma Fabrizio Gabrielli, ripensando alla stagione che ha consacrato Messi, che riverbero ha colto? «Ne ho colti due. La corsa in solitaria per abbracciare il Dibu Martinez, al termine dei quarti di finale vinti ai rigori contro i Paesi Bassi. E, inevitabilmente, la pazzesca giocata ai danni del croato Gvardiol, in semifinale. Non una sfida tra giocatori, ma una sfida contro il tempo. La concretizzazione più adamantina di quanto il fuoco sacro del talento riesca a trascendere i limiti dell’età e del fisico. A trascendere tutto. Per dirla con il radiocronista uruguaiano Victor Hugo Morales, un “Arlecchino meraviglioso, servitore dell’arte del calcio”».

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