Calcio

Morf, Sabbatini e un record che alla fine potrebbe resistere

Domenica il capitano raggiungerà quota 347 presenze – Non sarà però primato: l'ex difensore bianconero, a differenza di quanto certifica il web, ha infatti superato quota 400
Massimo Solari
26.07.2022 18:38

La bandiera di René Morf potrà continuare a sventolare alta, altissima sopra Cornaredo. Sopra tutti i bianconeri. Sì, pure Jonathan Sabbatini. Se è infatti vero che il capitano, contro il Winterthur, salirà a quota 347 partite, il numero reale di gare disputate dall’ex difensore dovrebbe superare addirittura le 400 unità. Il motivo? Le statistiche della «bibbia» Transfermarkt non considerano diverse decine di incontri. Il record di presenze dell’FC Lugano, insomma, sembra destinato a resistere.

Premessa doverosa. Le statistiche in questione hanno fatto sbandare anche chi vi scrive. Pronto a sottolineare il simbolico e storico sorpasso tra leggende bianconere, in occasione dell’imminente sfida alla Schützenwiese. E invece no. Le vette siderali toccate e altresì perfettibili da Sabbatini potrebbero non bastare. Né domenica, né in futuro. Sul curriculum vitae calcistico di Morf, quello abbozzato sul web perlomeno, mancano diverse voci. Un paio di esempi? La finale di Coppa Svizzera del 1993, vinta contro il GC, è stata calcolata? E il torneo preliminare di LNB, nell’autunno del 1997? Sì, no, forse. Anzi, è molto probabile che non sia avvenuto e che il bottino del vecchio numero 2 bianconero meriti di essere rimpinguato. Fino a 411 presenze, stando a quanto ricostruito dal tifoso Vincenzo Santagata e precisato dal club. Con buona pace per chi la fascia al braccio la indossa oggi. E che, giornali ingialliti alla mano, rischia di accusare un leggero ritardo anche da un’altra istituzione bianconera: Daniele «Mec» Penzavalli.

Simboli e valori aggiunti

«Al di là dell’esattezza delle cifre, credo che il senso d’appartenenza dimostrato da Sabbatini in questi anni vada comunque riconosciuto» afferma in merito proprio Morf, a questo punto recordman non insidiato. «Sono orgoglioso di questo dato, non lo nego. Ma lungi da me viverlo con un senso di competizione. Per dire: il superamento del primato appartenente a Vincenzo Brenna mi venne segnalato solo a posteriori. Probabilmente non ci avrei nemmeno fatto caso. Ripeto: gettone più, gettone meno, le considerazioni importanti sono altre. E chiamano in causa il valore aggiunto che giocatori come il sottoscritto, i miei compagni dell’epoca Penzavalli, Tita Colombo e oggi Sabbatini, sanno portare in campo. L’impronta di un club tatuata sulla pelle, così come il sentirsi pienamente integrato in una realtà sportiva e sociale, è esattamente ciò che ti spinge a fare la differenza». Per il capitano del Lugano, dunque, Morf ha solo parole d’elogio. «Lo ammiro, sì. Nel calcio moderno è tutto fuorché scontato accettare di sposare una società per sempre. Per più di tre anni, in media, non si rimane nella stessa squadra. La scelta di Jonathan rappresenta in tal senso l’eccezione. E senz’altro questo gli fa onore».

Vero è che i calendari odierni, fittissimi, hanno poco da spartire con le competizioni di due o tre decenni fa. «Beh, è innegabile che si giochi di più» riconosce Morf. Per poi rilanciare: «Il calcio sta diventando uno sport sempre più individuale. Con i club da considerare mezzo e non fine per le singole carriere. In questo quadro il giocatore deve però capire una cosa fondamentale. E cioè che se il bene del gruppo non viene anteposto agli interessi personali, difficilmente sarà possibile fare il salto di qualità. Ai miei tempi gente come Gimenez e Rossi lo comprese molto bene. Oggi, invece, questa consapevolezza è venuta meno in molti spogliatoi. Indipendentemente dalla durata dei vari contratti».

Al di là delle cifre, credo che il senso d’appartenenza di Sabbatini vada riconosciuto. Sì, gli fa onore
René Morf, ex capitano FC Lugano

Il sapore e il senso della vittoria

Il Lugano, al proposito, può insegnare molto. Con i vari Maric, Lovric,Lavanchy e Custodio, a Cornaredo è sbocciata una mentalità che nell’ultima stagione si è tramutata in oro. Poco importa la parabola delle rispettive carriere. Quel che conta, in fondo, è che a beneficiarne siano state entrambe le parti. Ma per chi sceglie un club a vita, quanto conta alzare al cielo almeno un trofeo? A maggior ragione se il club in questione non si chiama Grasshopper, Basilea o YB... Morf - tra gli eroi del Wankdorf 29 anni fa - ha le idee chiare: «Vi sono due tipi di vittoria. Da un lato, ed è indubbio, quella che finisce sul palmarès. E che se conquistata in una realtà periferica come Lugano non può che essere motivo di fierezza. Dall’altro uno si porta dentro e fa tesoro anche dello spirito vincente di un collettivo. Quello, per intenderci, che ha segnato il 1993 ma pure i primi anni Duemila. È vero, alla fine non riuscimmo a diventare campioni svizzeri; il carattere e la convinzione di quei campionati esaltanti si sono però rivelati utili una volta appese le scarpette al chiodo. Sul posto di lavoro e nella vita in generale».

I pranzi con il Crus

Affinché un gruppo ambizioso diventi una formazione di successo, molti tasselli devono comunque trovare il giusto incastro. Basta poco per far cambiare idea al destino: una squalifica, un cambio sbagliato, un errore arbitrale... Prendete lo stesso Morf e l’alba della sua avventura in bianconero: «Se sono mai stato vicino a lasciare il Lugano? Beh, questa occasione stava per presentarsi proprio a inizio carriera.Con Marc Duvillard nella veste di allenatore. Io ero giovane, lo spazio era poco e il club aveva persino ingaggiato due o tre terzini. Non partii quindi per il ritiro di Olivone, mentre la società vagliava dei possibili prestiti a Yverdon o alChiasso. Ad aprirmi d’improvviso le porte della preparazione in Valle di Blenio fu però l’infortunio di una pedina che ricopriva il mio ruolo. Un’occasione, questa, che seppi sfruttare, gettando nuove e più solide basi per la mia carriera in bianconero. Da allora, infatti, nessuna altra offerta si presentò, come pure non presi mai più in considerazione l’eventualità di partire». Pazzesco, già.

E a proposito di partenze. «Quelle che hanno interessato il Lugano, nel passaggio alla stagione in corso, sono state pesantissime» evidenzia Morf. Invitando dunque a non giudicare frettolosamente le prime prestazioni di Sabbatini e compagni. «Dai meccanismi collaudati in più anni, si è passati a una nuova dimensione. Ed è inevitabile che determinati equilibri necessitino di un certo tempo per instaurarsi. Guai ad allarmarsi, dunque. È davvero troppo presto». Ma, visto che ha portato bene nel cammino verso l’ultima Coppa Svizzera, non è sicuramente troppo tardi per organizzare un altro pranzo con l’allenatore Mattia Croci-Torti. Morf ride: «Quello scaramantico è lui. Io sono semplicemente felice che il giovane e umile calciatore che ho incrociato al Malcantone Agno abbia fatto tesoro degli insegnamenti che, a fine carriera, ho avuto il piacere di condividere con chi giostrava al mio fianco».

Correlati