Calcio

«Stringo i denti per la Coppa, forse l'ultimo treno della mia carriera»

Il ministro della difesa bianconera Mijat Maric si racconta in una lunga intervista a due giorni dalla semifinale contro il Lucerna - Il trofeo nazionale, a oramai 38 anni, assomiglia a uno splendido tramonto
Massimo Solari
19.04.2022 15:40

Di fronte a Mijat Maric sembrano esserci solo traguardi importanti. Totalizzanti, per certi versi. Definitivi, anche. Il 30 aprile saranno 38 anni. Mentre il 22 maggio, data dell’ultimo turno di campionato, potrebbe rappresentare la fine della carriera da calcia-tore. L’esperto difensore del Lugano, non al meglio, preferisce tuttavia concentrarsi sull’obiettivo più vicino: la semifinale di Coppa di giovedì contro il Lucerna. «Sì, esserci sarebbe bellissimo».

Mijat innanzitutto come sta?

«Purtroppo non sono in ottime condizioni. La fascite plantare, con conseguente infiammazione del tendine sotto il tallone, non mi dà tregua. Colpa del tempo secco e della superficie troppo dura dei terreni da gioco. Ho provato a fermarmi per qualche giorno, ma il successivo ritorno in campo è stato subito accompagnato dal dolore».

Urca, come la mettiamo quindi con la partitissima di Cornaredo?

«Voglio stringere i denti. Provarci. Perché essere della partita, sì, sarebbe bellissimo».

I tifosi, viste le prove con Sion e Losanna, sono preoccupati. Percentualmente quante possibilità ci sono di vederla in campo contro il Lucerna?

«Al momento direi il 50%. Ma troveremo il modo di essere al meglio all’ora X. Voglio rimanere positivo».

D’altronde nella carriera di un calciatore ci sono partite che sono come treni. Ecco, questo che treno sarebbe per Mijat Maric?

«Beh, un treno importante. Importantissimo. La fine della corsa, ne sono consapevole, si avvicina. E difficilmente ci saranno molte altre possibilità. Anzi. La Coppa, forse, è l’ultima da cogliere. Personalmente, al di là degli ultimi acciacchi, sto vivendo un sogno. Se 4 anni fa - quando sono sbarcato a Cornaredo - mi avessero detto che nella primavera del 2022 mi sarei giocato ancora così tanto, onestamente non ci avrei creduto. Invece sono qui, sempre ad alti livelli, a pochi giorni dal mio 38. compleanno. Sento di essere una persona fortunata. E privilegiata».

Il club bianconero, invece, può riscrivere la storia...

«Giochiamo una gara speciale, in casa, in uno stadio che sarà esaurito. Capita raramente. Insomma, inutile girarci attorno: è la partita. Che, come nel 2016, potrebbe tornare a spalancare le porte di una finale di Coppa Svizzera al Lugano. Detto ciò, sarebbe sbagliato dimenticare tutto il resto. E misurare la bontà della stagione solamente su un singolo incontro. Se penso al campionato, per esempio, il Lugano ha ottenuto risultati sopra le attese. Certo, sarebbe splendido poter concludere la stagione alla grande. Guai però a dimenticare le condizioni di partenza, la scorsa estate, quando la società era in vendita. Comunque vada, dunque, poter essere lì a giocarci la Coppa Svizzera costituisce già un successo».

A un passo dai 38 anni sono ancora qui, a giocarmi qualcosa ad alti livelli. Mi sento un privilegiato

Lei non ha potuto contribuire ai successi contro YB (negli ottavi) e Thun (ai quarti). Anche per questo motivo tiene particolarmente al match di giovedì?

«Sarebbe sbagliato anteporre la mia persona al collettivo. Non voglio farlo. Si vince e si perde assieme. Ognuno con la sua rilevanza. Prendete Miroslav Covilo: prima di essere messo fuori rosa, aveva contribuito con un gol alla vittoria contro La Chaux-de-Fonds, nei trentaduesimi di finale di Coppa».

È riuscito a cancellare dalla mente il rigore sbagliato un anno fa, proprio con i lucernesi, nei quarti di finale? O quell’errore, all’ultimo minuto dei tempi supplementari, è un brutto ricordo che non demorde?

«Oggi posso dire di averlo digerito. I primi giorni dopo la sconfitta, invece, erano stati molto difficili. Lo ammetto. Ritengo tuttavia che il calcio sia come la vita. Conta metterci la faccia, assumersi le proprie responsabilità. Come avevo deciso di fare per l’occasione. In caso di rete, inoltre, tutto sarebbe stato rimandato ai rigori. E ripensando alla genesi di quella partita, tra infortuni, pali e vento a sfavore, ho l’impressione che il suo destino fosse in qualche modo segnato».

Insomma, non si sente in debito con il club?

«No, assolutamente. Il caso ha voluto riservarci di nuovo il Lucerna. Ma giunti a questo stadio della competizione, la pressione e la voglia di aiutare il Lugano sarebbero state le medesime anche con un’altra sfidante».

Eppure a inizio stagione, in campionato, ha voluto fortemente calciare e segnare un rigore contro il Lucerna, per altro al cospetto dello stesso portiere: Marius Müller. Psicologicamente, quanto l’ha aiutata questa rete?

«In effetti, quel tiro dal dischetto è stato particolare. Non potevo lasciarlo ad altri. Anche se parlare di esorcizzazione mi sembra eccessivo. Diciamo che trasformare quel rigore ha reso il tutto un po’ più facile. Ad ogni modo, non sono una persona che tende a rivangare il passato. Anzi. Trovo che non faccia per nulla bene serbare rancore».

A proposito di sguardi nello specchietto retrovisore. I trofei nella bacheca di un calciatore sono indispensabili? O 200 partite in Super League e altrettante all’estero dopo tutto valgono molto di più?

«Nel mio caso è passato qualche anno dalle due coppe nazionali conquistate con il Lokeren, in Belgio. Quei successi, sul momento, mi diedero una grande soddisfazione. In un certo senso mi sentii ripagato per tutti gli sforzi compiuti in precedenza: per le migliaia di allenamenti svolti, le partite giocate nonostante il dolore, le rinunce nella vita privata. Di qui l’emozione. Che, però, fu momentanea. Perciò, a mio avviso, vale molto di più l’eredità personale. Il Mijat Maric che in questi anni è passato alla gente. Non mi reputo una persona migliore per quelle due coppe vinte. Quanto, piuttosto, per non essermi mai risparmiato».

Ricorda la prima partita con la maglia del Lugano?

«Aspetta... Forse una gara casalinga con il Wohlen? Ah no, le qualificazioni alla Coppa UEFA contro il Ventspils nell’estate del 2002. Conservo ancora la maglietta… Sì, malgrado le cose non andarono per nulla bene: perdemmo 3-0.

Sono trascorsi quasi vent’anni...

«E fa un certo effetto. A maggior ragione perché sono riuscito a chiudere il cerchio, dopo un giro infinito, tornando a Lugano. Non lo credevo possibile. Proprio negli scorsi giorni ho avuto modo di parlarne con mio papà. All’alba del percorso in prima squadra a Lugano, si trattò di decidere se iscrivermi o meno alla Commercio di Bellinzona. Io però volevo inseguire il sogno in bianconero con tutto me stesso, forte del primo, vero contratto in mano. Mi fu concesso di farlo. Ed è per questa ragione che, in avvio di intervista, affermavo di sentirmi un calciatore privilegiato. Dopo il mio arrivo a Cornaredo, e a seguito di anni complicati, siamo oltretutto riusciti a riportare il club ai piani alti del calcio svizzero. Addirittura in Europa. Gettando delle solide basi per il futuro».

Il mio futuro in campo non è ancora segnato. Stiamo discutendo con la società e sono sereno, comunque vada

E che effetto le fa sapere che al suo fianco, all’esordio in bianconero, giostrava René Morf: un’istituzione bianconera, tra i protagonisti dell’ultima Coppa Svizzera vinta dal Lugano nel 1993?

«È incredibile. Incontro spesso René a Cornaredo, ama seguire i nostri allenamenti. È una persona eccezionale. All’epoca fu fondamentale. Mi aiutò tantissimo. A riprova che più che i trofei, alla fine, sono le persone a rimanerti addosso».

Lei, dicevamo, due coppe di Belgio le ha comunque vinte. Insomma sa come si fa…

«Tutti i tasselli devono incastrarsi al posto giusto e nel frangente giusto. Conta il momento della squadra. Ci vuole un pizzico di fortuna. E, soprattutto, bisogna essere bravi a gestire le emozioni. Nel 2012, tra l’altro, fui costretto a saltare la prima finale con il Lokeren poiché squalificato. Al penultimo atto beccai un cartellino giallo al primo fallo della partita, dopo due minuti di gioco. Ricordo ancora che mi venne da piangere. A 27 anni, e dopo aver vissuto la competizione da protagonista, mi veniva sfilata la prima finale della carriera. Seguirla a Bruxelles dalla tribuna, in uno stadio pieno, fu traumatico. Mi dissi che dovevo assolutamente vincerne un'altra… E così andò. Appena due anni più tardi ero in campo per la seconda e sin qui ultima coppa nazionale vinta dal Lokeren. Ora, però, ho quasi 38 anni. Il tempo delle seconde chance, oramai, è finito. E, va da sé, rivivere una partita così significativa dalla tribuna sarebbe davvero beffardo».

Tornando alla metafora iniziale, percepisce quindi che il suo viaggio si avvicina al capolinea? O quella di fine maggio potrebbe anche non essere la stazione termine?

«È normale riflettere sul primo scenario. Ma a parte l’ultimo infortunio, fisicamente ho delle buone sensazioni. Gli allenamenti non sono un problema. E il mio futuro da calciatore, dunque, non è ancora segnato. Le trattative con la società sono in corso. E probabilmente giungeranno a compimento una volta archiviate le prossime partite chiave. Sono sereno e fiero della mia carriera. Non ho nulla da rimproverarmi sul piano dell’impegno; al calcio ho dato tanto e - appunto - , potrei continuare a farlo. Magari altrove. No, non sarà una decisione facile. E il parere della mia famiglia sarà essenziale quanto il mio».

Da persona intelligente e matura, Mijat Maric ha già preparato il terreno del post carriera? In che modo?

«Per forza. In realtà, sarebbe utile ragionarci già dopo i 30 anni. Per quanto mi riguarda, ad esempio, ho investito con alcuni amici in un ristorante vegetariano, a Bellinzona. Credo fermamente nel cibo salutare. Al netto di questa attività, mi piacerebbe tuttavia rimanere nel mondo del pallone. Ho molti contatti. In vent’anni di carriera, poi, ne ho viste di tutti i colori, una tappa dopo l’altra, una lezione alla volta. Ho toccato con mano quello che funziona e quello che invece va meno bene nel calcio svizzero. E i margini di miglioramento non sono pochi. Lavorare per ilTeam Ticino? Perché no. Dopo averne approfittato per lanciare la carriera, restituire qualcosa al movimento cantonale sarebbe sicuramente interessante e appassionante».

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