Belfor, tutti condannati: «Metodo criminale ben radicato»

«Era un vero e proprio sistema corruttivo, un meccanismo truffaldino metodico e molto ben rodato. A tratti ingegnoso». Non erano, insomma, dei semplici piaceri tra amici. Così il giudice Amos Pagnamenta ha descritto oggi in aula il modus operandi messo in campo dagli attori del caso Belfor, la maxi-truffa assicurativa che ha visto alla sbarra ben nove imputati. E nei loro confronti le condanne pronunciate sono state di un certo peso: oltre 30 anni in totale quelli stabiliti dalla Corte delle Assise criminali. Gli imputati sono stati condannati, a vario titolo, per i reati di truffa per mestiere, amministrazione infedele aggravata e ripetuta, corruzione di privati e falsità in documenti. «È stato un agire criminale portato avanti in modo meticoloso e che stupisce per l’intensità con la quale è stato messo in pratica, per la durata nel tempo e per la ben radicata e preoccupante volontà di delinquere», ha dettagliato ancora il presidente della Corte.
Una corsia preferenziale
Il focus principale della Corte delle Assise criminali è stato sull’unico accusato, l’ispettore assicurativo 61.enne patrocinato dall’avvocato Mauro Ermani, che ha contestato quasi tutti i fatti contenuti nell’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli. Nei suoi confronti, il giudice ha stabilito una condanna a 4 anni e 8 mesi di carcere, contro la quale Ermani ha già preannunciato un ricorso in appello. «Era un vero esperto nel settore con tanti anni di lavoro alle spalle ed esperienza», ha rilevato Pagnamenta nella lettura della sentenza. «Padroneggiava i documenti fiscali e li conosceva bene, non potevano di certo sfuggirgli queste discrepanze. Non poteva non sapere quello che faceva». Anzi, secondo la Corte l’agire dell’assicuratore era volto «senza alcun dubbio ad avvantaggiare Belfor, creandole una corsia preferenziale a discapito dei suoi concorrenti». In sostanza, per Pagnamenta, «se in questo meccanismo alcuni ispettori assicurativi andavano oliati, si può dire che a lui non dispiacesse farsi oliare». Di tutt’altro parere era stato, ovviamente, il suo patrocinatore Mauro Ermani che durante il dibattimento aveva invece fortemente criticato l’atto d’accusa e chiesto il proscioglimento per il suo assistito. L’accusa, dal canto suo, aveva chiesto 5 anni e 3 mesi di pena detentiva.
In linea con il patteggiamento
L’altro ispettore assicurativo - un 59.enne difeso da Anna Grümann - che ha invece ammesso praticamente tutti i fatti imputatigli, è stato condannato ad una pena più leggera rispetto a quanto chiesto dalla pp (4 anni e mezzo) tenendo conto dell’attenuante del sincero pentimento e della collaborazione durante l’inchiesta, a 3 anni di carcere di cui 2 sospesi con la condizionale per un periodo di prova di 2 anni. I restanti sette imputati, lo ricordiamo, hanno raggiunto da subito un accordo con l’accusa e hanno rinunciato al dibattimento. Per loro le pene stabilite dalla Corte sono state (sostanzialmente in linea con quanto patteggiato) le seguenti: 6 e 5 anni di detenzione per i due fratelli ex dirigenti della sede Belfor di Lumino (i principali accusati); 5 anni per la direttrice di un’azienda interinale coinvolta nelle truffe; 30 mesi di cui 24 da scontare; 24 mesi con la condizionale per due imputati e, infine, 14 mesi con la condizionale.
«Non serviva quel denaro»
A mente della Corte, tutti gli imputati coinvolti nel maxi-raggiro «hanno agito per mera cupidigia, perseguendo unicamente un guadagno personale con lo scopo di vivere al di sopra delle loro possibilità». E questo nonostante alcuni avessero già uno stipendio molto alto: «Non avevano bisogno ancora di altro denaro». A gravare sulla commisurazione delle pene anche il peso della corruzione, ha ancora spiegato il giudice: «Una piaga che siamo chiamati a combattere tutti. Se infatti il sistema truffaldino ha potuto essere applicato in modo così metodico e sistematico è perché c’è stato sì chi ha corrotto, ma anche e soprattutto chi si è fatto corrompere». I fatti inoltre risultano molto chiari secondo la Corte: «Basti pensare che sono stati ammessi da otto imputati su nove».
«Espedienti ingegnosi»
Il modus operandi è stato ancora una volta ripercorso in aula anche se i contorni della maxi-truffa, orchestrata dagli ex dirigenti nella filiale ticinese della ditta specializzata in interventi edili di ripristino post sinistri, erano già stati tracciati lunedì durante il primo giorno del processo. «Fatture gonfiate con diversi espedienti ingegnosi: personale fittizio, ore in più, nessuna vera prestazione eseguita. Un’altra prassi era quella poi di spostare ore e costi da un sinistro all’altro e da una compagnia all’altra». Il tutto «tra palesi irregolarità e sovrafatturazioni». Con un fiorire di guadagni illeciti che si traducevano in mazzette, favori e regali ad assicuratori, clienti e periti compiacenti. E i soldi finivano naturalmente anche nelle tasche degli «artefici di questo meccanismo, i due ex dirigenti della ditta», e in regali di ogni tipo, «persino delle vacanze». Il totale delle fatture presentate alle compagnie è di oltre 15 milioni. Di questi quasi 5 sono stati «gonfiati». Ad essere danneggiate, la stessa Belfor, dichiarati sin da subito vittima dell’agire dei suoi ex dirigenti e costituitasi parte civile, oltre a cinque grosse compagnie assicurative in due delle quali operavano gli assicuratori alla sbarra.




