Daniele Piccaluga: «L'arrocco? Ne sono orgoglioso. Zali non tarderà, con l'UDC dialogo»

La serie di interviste ai tenori della politica prosegue con il leghista Daniele Piccaluga. Dopo Matteo Pronzini (MpS), Alessandro Speziali (PLR), Amalia Mirante (Avanti con Ticino&Lavoro) e Fiorenzo Dadò (Centro), il prossimo sarà il socialista Fabrizio Sirica.
Daniele Piccaluga, da sei mesi coordinatore della Lega. Si ha l’impressione, per verve e dedizione, che la sua sia una missione. È così?
«Lo è, in diverse occasioni l’ho definita tale. Mi sono gettato, anima, corpo e cuore. Una sfida impegnativa che però sta generando in me molte soddisfazioni».
Certo che di cose ne ha fatte e affrontate tante…
«Vero, ma in realtà le ho ereditate e non le abbiamo create noi. Non sono andato a cercarle. Tante altre hanno il mio imprinting chiaro, perché era giusto cambiare».
Oltre che una missione, fare politica è una maratona e lei è già in sprint. Così non rischia di arrivare con il fiatone nella primavera del 2027?
«Stanchezza? Non mi sono mai posto il problema. Le elezioni, oggi, non sono il mio orizzonte: c’è un presente da costruire, giorno dopo giorno. Non mi limito a fare: vivo ciò che faccio, con generosità. Senza la presunzione della perfezione».
Allena una squadra che da anni non ha più un allenatore. Così è tutto più difficile?
«Direi che è più stimolante. Occorre fare di più, e io ho molto da dare alla Lega. La motivazione è alta, si lavora sodo e si ascolta di più qualche busecca che ribolle. Ma non solo».
C’è altro che ribolle?
«L’entusiasmo del Primo agosto mi ha messo la pelle d’oca, sono ancora emozionato. Tantissima gente, una marea di leghisti che ci crede ancora anche se il momento non è facile per i cittadini».
Le busecche come stanno?
«Le busecche stanno bene, ma sono consapevoli che i problemi dei ticinesi sono tanti, in primis quello della cassa malati. Quando parliamo di tanti problemi dimentichiamo, o tralasciamo troppo spesso, i ticinesi che oggi fanno davvero fatica ad arrivare alla fine del mese. E quindi è bello leggere di arrocchi e arrocchini, ma noi avevamo proposto qualcosa di semplice che poi è stato ingigantito, dipinto e variopinto da ognuno alla sua maniera. Ma era qualcosa di elementare, la volontà di cambiamento, una volontà di smuovere le acque dopo un eccessivo immobilismo».
Appena entrato in carica l’ho descritta come «un apprendista». Mi ricredo: è ormai un politico di professione. O era molto preparato, oppure aveva consiglieri già pronti ad entrare in azione…
«Resto un apprendista che ha dovuto apprendere molto in fretta, anche perché in politica il tempo non aspetta. Certo, qualche consiglio l’ho ascoltato, solo gli sciocchi pensano di sapere già tutto. Ma la verità è che molte idee le avevo già chiare in testa. E appena ho potuto, le ho messe in campo».
L’arrocco porta il suo marchio di fabbrica?
«Certo. Ho guardato la Lega e mi sono detto: osiamo, lanciamoci. Forse si poteva fare prima, ma con i “se” e con i “ma” non si cambia nulla. E quindi questo è stato davvero il mio imprinting, tornando in mezzo alla gente, con il coraggio di chi preferisce muovere le acque piuttosto che lasciarle stagnare».
Diciamolo: la Lega, alla quale piace la gazzarra e la provocazione, sostanzialmente, ha già vinto. Ora potete innestare la retromarcia?
«Marcia indietro? Mai. Quando si punta a un arrocco completo e totale come quello che è stato richiesto e tematizzato all’interno del Governo, definirci totalmente soddisfatti sarebbe esagerato, ma siamo comunque orgogliosi di avere portato a casa un cambiamento, di avere aperto un varco su qualcosa che appariva un tabù».
Insomma, senza la Lega non c’è coraggio?
«Dal 26 di gennaio ho sentito mille volte i miei colleghi, i presidenti: abbiamo pronto questo, facciamo quello, il Governo del Mulino bianco. Ma sono rimaste solo parole. Noi, invece, abbiamo agito. Che poi non sia stato capito, o volutamente non è stato compreso, è un’altra storia. Ci hanno ricamato sopra e montato la panna in molti. Ma nessuno ammette che la Lega c’è. Eccome se c’è».
Però avete raccolto pochetto…
«Poteva andare meglio, certo. Ma l’Esecutivo ha accolto, almeno nel principio, la proposta della Lega. Chi ci avrebbe scommesso? A smuovere un Governo immobile ci è voluta la Lega. Ma vogliamo ammetterlo o a qualcuno dà tanto fastidio? È solo la prima mossa per abbattere il dipartimentalismo».
Idea geniale pertanto?
«Ma certo, va ammesso e non perché è stata mia».
Però da parte sua autocritica assente?
«Non è vero, sulla comunicazione abbiamo sbagliato, ma poi non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. In Ticino si guarda veramente davvero troppo la forma e poco il contenuto».
Zali darebbe davvero qualcosa in più alla Giustizia?
«Certo che sì. Immaginate quanto di buono potrebbe fare lui che arriva proprio da quel mondo? E invece non si è voluto. Poi si spara a zero su come viene gestito il lupo, quando magari Gobbi, in quell’ambito, avrebbe potuto dare più di una mano».
D’accordo, ho capito. Ci volevano dalle 3 alle 4 legislature per rendersene conto?
«Io sono arrivato a gennaio. La vera domanda è sulla volontà di cambiamento: dov’erano i grandi partiti e certi tromboni solo pochi anni fa?».
Perché allora non procedere a un rimpasto generale?
«Da quanto mi risulta in Consiglio di Stato sono state fatte diverse ipotesi facendo un discorso più ampio. Ma la cosa non era matura, anche se ribadisco che, all’unanimità, il principio è passato. Per ora portiamo a casa un primo cambiamento: non è la rivoluzione, ma è l’inizio».
Ci racconta com’è andato il primo approccio con Gobbi e Zali?
«Norman si è subito detto disponibile, aggiungendo che “tanto Claudio ti dirà di no”. Zali ha ammesso che all’inizio, appena ho proposto, voleva buttarmi fuori dall’ufficio, poi ha compreso e non dimentichiamo che si sono detti pronti a lasciare la loro comfort zone. Ma chi lo fa oggi?».
Veniamo al dissidio elettorale tra Lega e UDC, con l’aut aut dei democentristi su Zali.
«Ribadisco la possibilità di un accordo al 50%. Resto fiducioso e con Marchesi non ho alcun problema. Da coordinatore della Lega, ovviamente, auspico di ritrovare i due uscenti al cancelletto di partenza. Claudio farà le sue valutazioni: mi ha promesso una decisione nei prossimi mesi e non credo che tarderà. Poi, in ogni caso, apriremo la discussione con l’UDC. Dopo le cantonali ci sono le federali e si tratterà di capire se per i democentristi conta più Zali o i due seggi in Consiglio nazionale. Per gli Stati, poggiando sul maggioritario, regole e logiche saranno un’altra partita».
Insomma, conta solo il profilo elettorale. Quello politico e sui temi, pare di capire, non interessa a nessuno. Allora sono solo «cadreghe»?
«È sempre la solita semplificazione. Una cosa non esclude l’altra: sui temi che sono patrimonio comune abbiamo già collaborato. Certo, non sono mancate tensioni, ma fa parte del gioco. Dopo tre schiaffi, però, è normale reagire: non ci si può ritenere alleati e sparare in continuazione. Ma lo dico con il sorriso di chi è pronto a sedersi al tavolo».
A proposito di tavoli, sedie e laute libagioni. Perché ha privilegiato Speziali rispetto a Marchesi per una cena politica?
«Ma no, è stata solo una questione di agenda. Con Speziali abbiamo mangiato bene, cenetta a base di carne. Ma dell’arrocco non avevamo parlato. Comunque, alla prossima cena inviteremo anche i giornalisti».
E quando a cena con Marchesi?
«Presto. Spero presto».
Quali sono i suoi rapporti con il Mattino?
«Discussioni ce ne sono state, e non sempre mi è piaciuto quello che ho letto. So che farà sorridere qualcuno, ma la realtà è sempre la stessa: il Mattino non è il giornale della Lega».
Come si spiega che Zali abbia rapporti complicati con molti politici?
«Non tocca a me metterci becco, Claudio ha la sua personalità e occorre riconoscergli da sempre che non è mai cambiato: non scende a patti e difende le sue idee con coraggio e coerenza. È anche legittimo da parte sua attendersi un altro atteggiamento da parte del Parlamento che allunga in maniera ingiustificata i tempi di alcuni dossier di sua competenza. Tra me e lui c’è un rapporto molto bello, schietto e onesto».
C’è un presidente che non ve ne perdona mezza: Fiorenzo Dadò.
«Spesso e volentieri con lui ci si scontra: credo abbia un amore viscerale verso la Lega. Ma poco importa. Non ho tempo da perdere con lui: nella Lega c’è troppo da fare per restare a pensare al nulla cosmico».
La legislatura è ormai terminata?
«Per nulla. E l’arrocco lo dimostra: qui la partita è ancora tutta da giocare».
Ma questo arrocco è davvero un’ossessione per lei… Ne parla senza tregua?
«Certo che ne parlo: è importante, concreto e innovativo rispetto alla politica ridondante (le solite balle) promossa da altri partiti».
Cassa malati: sì o no all’iniziativa del 10% del PS?
«No, assolutamente no. È un pozzo senza fondo ed è irresponsabile, come insegna il Canton Vaud».
Beh, in quanto ad efficacia e fascia di popolazione toccata la vostra non sembra particolarmente virtuosa…
«Non è vero: aiuta soprattutto quella fascia che non beneficia di sussidi ma che oggi fa fatica ad arrivare alla fine del mese, ed è la fascia veramente più delicata, quella che troppo spesso viene dimenticata».
Ma poi come si trovano i soldi?
«Magari rivedendo in generale il sistema di offerta (dagli ospedali ai fornitori di prestazione), che ingenerano una domanda eccessiva».
Chiaro il messaggio a Raffaele De Rosa, ma non penserà alle Valli, dove, direbbe un leghista DOC ci sono «i nòs vècc»!
«Nessuna ripicca: è solo una questione di numeri. Il DSS deve risparmiare. A De Rosa dimostrare di esserne capace».
Piccaluga candidato al Governo alle cantonali del 2027. È fantapolitica?
«In politica, come nella vita, è tutto possibile. Non lo escludo, ma oggi la mia testa è su quello che c’è da fare, non su quello che potrei fare».