Qatar2022

Il coraggioso silenzio dei giocatori iraniani fa infuriare il regime

Nel Paese continuano le proteste nelle strade dopo la morte di Mahsa Amini, intanto media e politici locali puntano il dito contro i calciatori impegnati in Qatar
Michele Montanari
23.11.2022 19:01

Celebrati dai media internazionali come i veri «capitani coraggiosi» di questi Mondiali in Qatar, i calciatori iraniani che contro l'Inghilterra si sono rifiutati di cantare l'inno nazionale potrebbero subire pesanti conseguenze se dovessero restare in silenzio anche nel prossimo match. Già, perché mentre si discuteva sulla vicenda della fascia OneLove al braccio dei capitani (al momento meno coraggiosi), gli iraniani hanno sfidato il regime con un gesto clamoroso, che ha fatto infuriare alcuni politici del Paese mediorientale. I giocatori della nazionale hanno portato sul palcoscenico dei Mondiali in Qatar un segno di protesta sottolineato dai tifosi iraniani che, dagli spalti qatarioti, urlavano contro il regime. Potentissimi segnali di solidarietà nei confronti dei manifestanti che da settembre sono scesi nelle strade iraniane in seguito alla morte di Mahsa Amini, la 22.enne arrestata perché non indossava il velo islamico in maniera corretta.

Scene di repressione di questo tipo si ripetono ormai regolarmente, basti pensare all'arresto delle attrici Hengameh Ghaziani e, recentemente, Katayoun Riahi. Quest'ultima con l'accusa di attività provocatorie sui social network e su altri media. La 60.enne era finita nel mirino delle autorità quando a settembre aveva rilasciato un'intervista alla Iran International TV, con sede a Londra, senza indossare l'hijab.

Le proteste nel Paese non si placano e, stando alla ONG Iran Human Rights, le forze di sicurezza iraniane avrebbero già ucciso oltre 430 persone, tra cui almeno 60 bambini, durante gli scontri di repressione. In Iran ovviamente l'azione della nazionale non è piaciuta per niente ai sostenitori del regime, tra critiche, minacce e censura da parte dei media locali. Il presidente del consiglio comunale di Teheran Mehdi Chamran, citato dal Guardian, ha dichiarato ad un giornale iraniano: «Non permetteremo a nessuno di insultare il nostro inno e la nostra bandiera». E ancora, un deputato conservatore ha chiesto che i giocatori impegnati in Qatar vengano sostituiti da giovani religiosi e fedeli al regime disposti a cantare l'inno nazionale. I media iraniani, in generale, hanno dato pochissimo spazio alla vicenda (extra)calcistica, in alcuni casi censurandola del tutto. 

Kayhan, quotidiano vicino alla guida suprema Ali Khamenei, ha manifestato tutta la sua rabbia denunciando come l'Occidente abbia spinto la nazionale iraniana, non solo a protestare, ma anche a perdere contro l'Inghilterra (la partita è finita 6 a 2 per Harry Kane e compagni): «Per settimane i media stranieri hanno condotto una guerra psicologica spietata e senza precedenti» per fare una sorta di lavaggio del cervello ai giocatori. Dopo la sconfitta, lo stesso giornale ha pubblicato un articolo dal titolo: «Iran 2- Inghilterra, Israele, Arabia Saudita e traditori 6».

Nelle strade iraniane si sono persino viste bandiere del Regno Unito sventolare: diversi oppositori del regime avrebbero infatti esultato per la vittoria inglese al grido di «Morte al dittatore». Un ristorante di Teheran che aveva scritto su Instagram di tifare Inghilterra è stato invece chiuso dalle autorità iraniane. Insomma, mentre la nazionale iraniana fa discutere ancora (alla fine di settembre i giocatori avevano scelto di indossare giacche nere per coprire i colori del loro Paese durante l'amichevole contro il Senegal), il Paese mediorientale resta teatro di proteste, rappresaglie, censura, interruzione dei servizi Internet, violenza e morte. Soffia il vento del terrore. E la partita contro il Galles è alle porte.

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