Il punto

Il disastro di Baltimora è solo l'ultima goccia

L'incidente alla porta-container Dali, scontratasi con il ponte Francis Scott Key, rilancia la questione delle interruzioni alle catene di approvvigionamento
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Marcello Pelizzari
28.03.2024 13:30

Mai come negli ultimi anni, per svariati motivi, abbiamo parlato di catene di approvvigionamento. E di interruzioni alle stesse. Con tutte le conseguenze del caso in termini di commercio globale. Le prime perturbazioni, in questo senso, risalgono all'amministrazione Trump e al 2018. Quando, cioè, l'allora presidente degli Stati Uniti decise di lanciare una guerra commerciale contro la Cina. Da allora, i problemi si sono moltiplicati. La pandemia. La guerra in UcrainaQuella fra Israele e Hamas con, in particolare, la questione Houthi nel Mar Rosso. Il cambiamento climatico.

Ora, a finire sotto i riflettori è l'incidente alla porta-container Dali, scontratasi con il ponte Francis Scott Key di Baltimora. Al di là della drammaticità dell'evento, la domanda essenzialmente è una: con lo scalo chiuso al traffico navale, e una riapertura totale che potrebbe richiedere addirittura mesi, quali saranno le ripercussioni sulle citate catene e sul commercio globale? Bella domanda. Secondo la piattaforma Project44, citata da Business Insider, a soffrire sarà soprattutto l'industria dell'automobile. E questo perché il porto di Baltimora è il principale snodo statunitense per le importazioni e le esportazioni di auto. «Qualsiasi interruzione avrà effetti a catena in tutto il processo produttivo» ha scritto al riguardo Project44.

Il modello «just in time»

La domanda, per certi versi, sorge spontanea: come può un singolo incidente o un singolo evento impattare sull'intera filiera di un settore o, addirittura, sul commercio globale? La risposta si nasconde fra le pieghe del modello stesso su cui si basano le catene di approvvigionamento o, se preferite, nel concetto di just in time. Tradotto: i materiali vengono movimentati poco prima che, effettivamente, servano al destinatario. Si tratta di una soluzione che risponde a logiche di efficienza. Ma che, per forza di cose, si presta a non pochi rischi. A maggior ragione se il mondo, dalla crisi sanitaria in poi, ha vissuto sull'ottovolante. 

Altra domanda: è ancora possibile, visto quanto sta accadendo, basare le catene di approvvigionamento su questo modello? Snì.

Dalla Cina al Canale di Suez

Le tensioni geopolitiche, indubbiamente, sono uno dei fattori di rischio principali. Di più, le catene di approvvigionamento, in questi ultimi anni, hanno sofferto e non poco il riacutizzarsi di alcune instabilità. Molto, è vero, ha fatto l'imposizione di tariffe elevate a una serie di prodotti cinesi varata dall'amministrazione Trump, nel 2018. La rivalità tecnologica fra le due superpotenze ha fatto il resto.

Negli ultimi due anni, invece, le esportazioni ucraine sono state minate dalla presenza russa nel Mar Nero. Un problema, gigantesco, per il grano e l'olio da girasole. Di recente, invece, i ribelli Houthi hanno preso di mira la rotta del Mar Rosso e, di conseguenza, allontanato molte navi dal Canale di Suez. La rotta alternativa, attraverso il Capo di Buona Speranza in Africa, ha prolungato e non poco la durata media degli spostamenti fra Europa e Asia.

La questione Panama

Di Panama e del suo Canale avevamo già parlato, alcuni giorni fa, in maniera più approfondita. L'estate del 2023, certo, passerà alla storia come una delle più siccitose. La mancanza di precipitazioni, vitali per alimentare il Canale, ha abbassato i livelli d'acqua dello stesso e limitato il numero (e il tonnellaggio) delle navi che potevano accedervi. La siccità, beh, è stata causata principalmente dal fenomeno meteorologico conosciuto come El Niño. I cui effetti, però, sono stati aggravati dal cambiamento climatico in corso.

Attorno a Panama, di riflesso, si è creato un imbottigliamento, causato dalle tante, troppe navi in attesa di poter attraversare il Canale. E spingendo alcuni equipaggi a prediligere rotte alternative (certo non economiche in termini di durata e consumo di carburante). Circa il 40% del traffico container degli Stati Uniti, ha spiegato al riguardo Business Insider, transita attraverso il Canale di Panama. A fine novembre, il tempo di attesa per alcune navi era di circa venti giorni, rispetto ai cinque-sette di ottobre.

«I bassi livelli d'acqua del Canale di Panama sono un chiaro esempio degli effetti del cambiamento climatico sulle precipitazioni e sui modelli meteorologici in tutto il mondo, che causano un effetto domino attraverso la catena di approvvigionamento» aveva dichiarato a settembre il gigante del trasporto marittimo Maersk.

Navi più grandi, incidenti più gravi

Altro giro, altro problema. Il 90% del commercio mondiale avviene via mare. Di conseguenza, le navi con il passare degli anni sono diventate sempre più grandi. Le porta-container come la Dali, addirittura, «sono cresciute di dimensioni fino al 1.500% negli ultimi 50 anni» ha dichiarato a Business Insider il capitano Rahul Khanna, responsabile globale della consulenza sui rischi marittimi di Allianz. E attenzione: nonostante i suoi 984 piedi di lunghezza, circa 300 metri, la Dali rappresenta appena la dimensione standard. 

Aumentando le dimensioni delle navi, è aumentato anche il rischio che qualcosa possa andare storto. Detto in altri termini, la stessa Allianz nel 2022 avvertiva che molti incidenti, via mare, sono strettamente legati alla grandezza delle navi. La fotografia plastica di quanto detto è l'Ever Given, l'enorme porta-container da quasi 400 metri incagliatasi nel Canale di Suez nel marzo del 2021. In un momento già piuttosto teso per via della pandemia, l'incidente provocò ritardi a catena per un centinaio di altre navi porta-container e su un totale di 16 milioni di tonnellate di merce.

Se è vero che, pensando al lungo periodo, il numero di incidenti marittimi gravi è in diminuzione, è altrettanto vero che gli incidenti con protagonisti una nave di grandi dimensioni, quando si verificano, causano ritardi e perdite importanti. Girando la questione, le conseguenze per Baltimora e per l'industria dell'automobile rischiano di essere ben più pesanti rispetto al singolo valore della nave.