L'approfondimento

L’economia della Germania est, ovvero il crollo dell’utopia

Lo Stato che voleva fondarsi sulla classe lavoratrice, ispirato dalla critica di Marx al capitalismo selvaggio della rivoluzione industriale, condanna i suoi cittadini allo stesso degrado e alla peggiore servitù
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Luca Lovisolo
24.08.2025 14:01

Sin dalla divisione della Germania, l’economia della «zona est» – come la si chiama allora in Germania ovest – non soddisfa i bisogni dei cittadini: durante la rivolta del 1953 i tedeschi orientali, stufi delle privazioni, chiedono invano la fine del regime comunista.

Dopo la costruzione del Muro di Berlino, nel 1963 il governo della Germania est tenta una riforma economica. La escogita Erich Apel, un intelligente ingegnere che Walther Ulbricht, capo dello Stato e del Partito, promuove a presidente della Commissione di pianificazione.

Benché convinto uomo d’apparato, Apel vuole alleviare il controllo statale e trasferire la responsabilità dell’economia alle imprese. In Germania est sono ancora attive alcune migliaia di imprese private, sfuggite alla nazionalizzazione. La loro flessibilità permette a una popolazione sempre più desolata di trovare nei negozi una pur modesta scelta di prodotti.

La riforma economica e i suoi nemici

Apel si scontra con i sostenitori del dogmatismo più rigido. Perde uno dopo l’altro amici e alleati. Non gli va meglio con l’Unione sovietica: ne torna deluso, dopo un battibecco con i dirigenti. Il 2 dicembre 1965 i vertici della Germania est bocciano la sua proposta di Piano quinquennale, lo strumento di pianificazione delle economie socialiste. Il giorno successivo Apel si toglie la vita.

Dalla triste storia di Apel emerge una verità: l’iniziativa privata non è compatibile con le trame di potere del comunismo. Se la responsabilità dell’economia ricade sulle imprese, cioè sul mercato, lo Stato nel perde il dominio, il sistema crolla e i suoi uomini devono abbandonare le poltrone. Dopo la morte di Apel, il governo applica riforme annacquate, per non accendere gelosie. I risultati sono assai magri.

Apel non c’è più, Ulbricht non è certo un liberale, ma capisce che qualcosa deve cambiare. Comincia a zigzagare e si aliena anche le simpatie di Mosca. In una lettera al leader dell’Unione sovietica, Leonid Breznev, tredici membri del vertice politico tedesco-orientale dipingono Ulbricht come un egocentrico, ormai incapace di attenersi alla disciplina di partito.

Il cambio al vertice e la metamorfosi del comunismo

Breznev dispone che Ulbricht sia sostituito da Erich Honecker, che promette di governare secondo la più stretta osservanza marxista-leninista. Al congresso del Partito che ratifica la decisione, Ulbricht viene colpito da un collasso cardiocircolatorio. Honekcer, benché quasi sessantenne, appare come «volto giovane» della dirigenza e, con mosse astute, lascia intravedere spiragli di libertà. Nei fatti, resterà per 18 anni il rigido capo di un regime spietato e repressivo.

Negli anni Sessanta tutti i dirigenti comunisti, anche a Mosca, capiscono che l’economia pianificata non funziona e che la costruzione del comunismo è una chimera: lo nota Egon Bahr, l’emissario tedesco-occidentale che negozia con l’Unione sovietica la Ostpolitik.

È una metamorfosi kafkiana: il comunismo non è più una religione a cui votarsi, come per Honecker ventenne, cooperante entusiasta nella resistenza antinazista e nei campi di lavoro studenteschi negli Urali. Retorica e strutture del Partito sono ormai nient’altro che meccanismi di conservazione del potere.

L’unità posticcia tra politica sociale ed economica

Con l’obiettivo di riconquistare il favore della popolazione delusa, Honecker lancia una sua dottrina e la chiama «unità di politica sociale ed economica». Di colpo, la propaganda del Partito incita il popolo a lavorare non più per costruire il futuro, ma per godere il presente.

Il governo accresce le facilitazioni per le famiglie e il tempo libero dal lavoro per le madri; lancia un programma edilizio per risolvere i crucci dei tedeschi orientali che vivono ancora in vecchi edifici mai ristrutturati. Sorgono i celebri «Plattenbau», condomini realizzati a tempo di record con elementi prefabbricati.

Nei filmati dell’epoca Honecker consegna di persona i nuovi appartamenti a famiglie stupefatte che trovano in quelle costruzioni squadrate agi impensabili in molti vecchi abituri: bagno, acqua calda, cucina, mobilio razionale.

Vita frugale e prezzi sempre uguali

I prezzi al consumo restano sotto rigido controllo dello Stato. L’idea di benessere che Honecker serba per i suoi concittadini rimane la stessa che ha ereditato dal suo passato di giovane minatore. Benessere, per lui, significa un tetto per abitare, qualcosa da mangiare e qualcosa da vestire.

Così, l’affitto e il riscaldamento, il pane e gli abiti più essenziali costano pochissimo. Per acquistare un televisore o un frigorifero, invece, considerati beni eccedenti l’indispensabile, i cittadini della Germania est devono spendere un multiplo di ciò che spendono quelli della Germania ovest, in proporzione al salario medio.

Mentre in altri Paesi cresce l’inflazione, Honecker affascina i tedeschi orientali con l’immobilità assoluta dei prezzi: i cittadini ringraziano e pensano che sia una conquista del comunismo. Gli stipendi aumentano e Honecker gira il mondo incassando riconoscimenti. Nel 1973 la Germania est è ammessa alle Nazioni unite.

Il modello del benessere è un altro

Eppure, non funziona. La vita spartana imposta da Honecker si scontra con le esigenze della modernità.

Il modello a cui guardano i cittadini della Germania est non è la piatta vita negli altri Paesi comunisti, è il dinamismo che assaporano attraverso la televisione della Germania ovest: riceverla in Germania orientale è vietato ma possibile, tutti quelli che possono permettersi un televisore la guardano. Perché noi, si chiedono, siamo costretti a muoverci in Trabant, ad acquistare alimentari scadenti nei bigi negozi di Stato, a vestire in perenne distonia rispetto alla moda occidentale?

Ciò che i cittadini non sanno, forse immaginano, è che il prezzo del pane, fissato dal governo, non copre neppure il costo delle materie prime per produrlo; gli affitti non pagano né il risanamento delle vecchie costruzioni né la manutenzione dei «Plattenbau». I nuovi edifici decadono in fretta: gli impianti si guastano, gli appartamenti si riempiono di umidità e di scarafaggi.

Un efficace racconto di quegli anni, attraverso l’arida vita di relazione nella Berlino est dei «Plattenbau», la offre Christoph Hein in «Der fremde Freund» (uscito in italiano come «L’amico estraneo»), un classico della letteratura della Germania est.

Chi paga la differenza?

La differenza che copre i costi reali del pane, degli affitti, del riscaldamento è a carico dello Stato. Per importare generi alimentari dall’estero, la Germania est intacca le magre riserve di valuta occidentale.

Quando Gerhard Schürer, successore del defunto Apel alla guida della Commissione di pianificazione, fa notare a Honecker che un sistema così non è sostenibile, ne riceve accuse di sabotaggio e minacce di estromissione. La repressione politica aumenta, come il numero di cittadini che tentano ogni via per fuggire.

Nel 1982 è chiaro che la proclamata «unità di politica sociale ed economica» sta portando la Germania est al fallimento. Il debito pubblico esplode: lo Stato vive dei prestiti che contrae in Occidente. Così, il capitalismo alimenta l’economia socialista, un costrutto in cui l’ideologia prevale sul buonsenso.

Un pozzo senza fondo

Nel 1983 il capo del governo bavarese, Franz Joseph Strauss, rende possibile un cospicuo finanziamento occidentale a una Germania est alle corde. In cambio ottiene l’eliminazione dei sistemi di sparo automatico sul lato est della frontiera tra le due Germanie. Già nella primavera del 1984, però, le banche segnalano che Honecker avrà bisogno di altro denaro.

La Germania est importa materie prime dall’Unione sovietica ma non le paga, lamenterà Michail Gorbačëv: le baratta con prodotti carenti che a Mosca giacciono inutilizzati. Produce poco e male; tranne irrilevanti eccezioni non fabbrica beni da esportazione che permettano di incassare valuta pregiata. Honecker statalizza le imprese private ancora attive. Così, scompare ciò che resta della classe media e viene meno l’unica fonte produttiva capace di reagire ai bisogni della popolazione.

Per rimediare, il governo obbliga tutte le grandi imprese a produrre beni di utilità. Ecco allora cantieri navali che fabbricano anche arredamenti, stabilimenti minerari che costruiscono anche giocattoli, imprese siderurgiche che producono anche elettrodomestici. Ne nascono accrocchi malfunzionanti e lontani anni luce dalle aspettative dei consumatori.

Il futuro negato a chi doveva esserne protagonista

Manca l’innovazione: senza libertà d’iniziativa le idee non circolano e senza soldi non si investe nel nuovo. In Germania est i primi computer nascono copiando calcolatori acquistati di nascosto negli Stati uniti. I treni circolano trainati da fumosi locomotori diesel sovietici e, fino ai primi anni Ottanta, anche da locomotive a vapore.

Lo stabilimento di lignite di Espenhain, presso Lipsia, è il triste emblema di una catastrofe economica e ambientale: nei suoi dintorni gli abitanti lamentano disturbi respiratori, i bambini soffrono di eczemi cutanei e l’aspettativa di vita è inferiore al resto del Paese. Ogni protesta è inutile e pericolosa.

Lo Stato che voleva fondarsi sulla classe lavoratrice, ispirato dalla critica di Marx al capitalismo selvaggio della rivoluzione industriale, condanna i suoi cittadini allo stesso degrado e alla peggiore servitù.

Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui. Per leggere la terza puntata clicca qui. Per leggere la quarta puntata clicca qui. Per leggere la quinta puntata clicca qui. Per leggere la sesta puntata, clicca qui. Per leggere la settima puntata, clicca qui