Russia

Su Instagram cala il buio: e adesso?

Influencer frustrati e piccole aziende rassegnate poiché impossibilitate a fare affari – Ma all'orizzonte si staglia un problema più grande: la migrazione «obbligata» su VKontakte, la piattaforma controllata dal governo
Marcello Pelizzari
13.03.2022 21:36

Ancora un post. Ancora una storia. Poi, su Instagram calerà il buio. Lo ha deciso Mosca, gettando nello sconforto influencer russi ma anche piccole aziende che, prima della guerra, facevano affidamento sul social. C’è chi, ora, proverà a ricostruirsi un seguito altrove. E chi, invece, timidamente protesta.

Instagram non era stato bandito, fino ad ora, anche perché molto popolare nella Federazione: sono 80 milioni gli utenti attivi. Meta, però, in determinati Paesi ha deciso di «accettare» gli appelli alla violenza contro Vladimir Putin e i soldati russi coinvolti nell’invasione dell’Ucraina. Troppo, per il Cremlino.

La disperazione
Disperata e incredula, la star dei reality Olga Buzova (23 milioni di follower) ha pubblicato un post di addio. «Sto scrivendo e piangendo» le sue parole. «Spero non sia vero».

Assieme a lei, schiere e schiere di utenti a metà fra frustrazione e rassegnazione. Ma anche fra rabbia e incredulità.

Prima dell’invasione, i russi avevano quantomeno l’illusione della libertà. Potevano usare i social. Andare da McDonald’s. Scegliere un film statunitense su Netflix.

La guerra, oltre a provocare morte e terrore in Ucraina, ha generato un’ondata di repressione e chiusure all’interno della Federazione. Soprattutto, ha messo a nudo la politica di Vladimir Putin. Una parola su tutte: controllo. Guai se la narrazione del conflitto venisse disturbata dalla realtà, per farla breve.

Le versioni discordanti
A proposito di narrazione, è interessante notare come Roskomnadzor, il regolatore dei media, abbia motivato la chiusura citando Meta e la sua politica riguardo ai post che incitano alla violenza contro Putin e l’esercito russo. Il tutto mentre il sito Gosuslugi, che ospita i servizi del governo, ha motivato la rimozione di Instagram a partire dal 14 marzo per preservare la salute psicologica dei russi e quale sforzo per proteggere i bambini da bullismo e insulti.

Lo stesso Gosuslugi, guarda caso, ha raccomandato che la popolazione da oggi in poi adoperi le piattaforme sviluppate in Russia.

E tanti, in effetti, si sono subito rivolti a VK, o meglio VKontakte, il Facebook russo. Fra le opzioni rimaste, indubbiamente, è il social che più si avvicina a Instagram ma – attenzione – in passato è stato accusato di essere molto vicino, anzi troppo, alle autorità.

Diversi russi stanno ripiegando anche su Telegram, popolarissimo in tutta l’area ex sovietica, Ucraina compresa. È un servizio di messaggistica simil WhatsApp, tuttavia permette altresì la creazione di canali nei quali postare foto, video e testi. Il pittore Alexei Garkusha si è subito affrettato a comunicare all’agenzia AFP che virerà proprio su Telegram. Un’app, fra l’altro, che il Cremlino anni fa cercò (invano) di silenziare.

Detto ciò, in un momento particolarmente complicato per l’economia (leggi sanzioni occidentali) a soffrire sono le piccole aziende che sfruttavano Instagram per avere visibilità e fare affari. Ricreare seguito e profitti, beh, sarà complicato. Proprio perché Instagram era fondamentale per fare pubblicità, vendere e comunicare con i clienti.

Si può indagare sull’estremismo senza alzarsi dalla sedia dell'ufficio
Alexander Verkhovsky

VKontakte e l'occhio del Cremlino
Il rischio, come detto, è che spostandosi su VKontakte blogger e influencer incrocino i radar del Cremlino. Ufficialmente, il social fatto-in-casa vanta 100 milioni di visitatori unici al mese. Nel 2019, lo utilizzava l’83% degli utenti russi.

Fondato nel 2006 da Pavel Dourov, per molti anni ritenuto indipendente rispetto al governo, nel 2014 VKontakte è passato all’oligarca Alisher Usmanov, ovviamente vicinissimo al Cremlino, mentre nel 2021 è finito nel carniere di Gazprom. La direzione della società è stata assunta da Vladimir Kirienko, figlio di Sergei, collaboratore diretto di Putin.

Ne evinciamo, senza essere esperti, che la libertà di espressione su VKontakte è limitata. Deutsche Welle, nel 2016, riferì della condanna di un internauta russo: tre anni in un campo di lavoro per, citiamo, estremismo. La sua colpa? Aver denunciato l’invasione russa della Crimea.

Un anno prima, nel 2015, l’ong russa Sova aveva riportato 194 condanne per estremismo legate a commenti postati su Internet. Nella maggior parte dei casi, sul verbale figurava VKontakte. Ahia.

Il direttore di Sova, Alexander Verkhovsky, sulle colonne della Deutsche Welle aveva denunciato quanto fosse facile, in Russia, condannare qualcuno per estremismo: «Si può indagare sull’estremismo senza alzarsi dalla sedia dell'ufficio». E questo grazie alla tecnologia, che permette di identificare gli autori dei messaggi sui social network.

Considerando che VKontakte, oggi, è di proprietà dello Stato e che spesso gli utenti fra le informazioni inseriscono anche il numero di cellulare, il rintracciamento diventa un gioco da ragazzi. Il buio, in questo caso, è calato da tempo. Ed è un buio che spaventa, perché inghiotte un altro pezzo di libertà.

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