«Non "se", ma "come" stare in Governo, e sui 300 milioni si vuole spaventare»

Dopo la Lega di Daniele Piccaluga, oggi tocca al PS del copresidente Fabrizio Sirica. E il prossimo protagonista della politica sottoposto alla serie di interviste del Corriere del Ticino sarà il presidente dell’UDC Piero Marchesi.
Fabrizio Sirica, qual è lo stato di salute del PS?
«Lo considero buono. Percepisco motivazione per l’iniziativa per il 10% e abbiamo costantemente nuovi iscritti, che vogliamo formare e mobilitare nel migliore dei modi. Però, i tempi che corrono ci mostrano un’estrema volubilità, dalle sensazioni positive alla critica il passo è breve, per tutti. C’è un problema di fondo in politica al giorno d’oggi: una comunicazione troppo veloce che non permette più il ragionamento sul medio-lungo termine ma esalta le sensazioni sul corto termine. Politici che agiscono con le regole dei social, come fossero influencer invece che rappresentanti del popolo».
L’arrocco per voi è stato un po’ «croce e delizia». Profilati nella prima ora e accodati al compromesso governativo nella seconda fase. Condivide?
«La sua descrizione è un po’ semplicistica. Personalmente ho sempre messo in primo piano la questione istituzionale: com’era inaccettabile il comportamento dei due leghisti, che andava denunciato a chiare lettere, abbiamo ritenuto il minore dei danni per le istituzioni il compromesso governativo, per altro di competenza esclusivamente loro. Ma non mi nascondo, la questione “arrocco” ha lasciato strascichi che affronteremo, confrontandoci con il Comitato cantonale dopodomani».
Quindi cosa ha generato politicamente questo arrocco?
«L’agire deleterio dei due consiglieri leghisti ha portato all’interno del Consiglio di Stato tensioni sulla base di meri interessi personali e partitici, generando un danno all’immagine della politica. Hanno provato a imporre una decisione, comunicandola ai dipendenti e al pubblico prima di averla discussa in Governo: questo era inaccettabile. Mentre, se teniamo il metro d’analisi istituzionale, il fatto che il Governo abbia bocciato la loro proposta e valutato nell’interesse del paese un’altra soluzione, non è un problema».
Un plauso al Governo di centrodestra?
«Qui destra e sinistra non c’entrano, da come la leggo in Governo ha prevalso la volontà di non strappare, di non creare tensioni a metà legislatura e agire con pragmatismo. Poi certo, nel merito si può pensare che non fosse necessario alcun cambiamento, che politicamente non si doveva concedere nulla ai due leghisti, quasi come “punizione” per il loro sgarbo precedente».
La domanda delle domande è: sinistra dentro o fuori dal Governo?
«Non sono d’accordo. La domanda che penso sia emersa, al nostro interno, è piuttosto come stare dentro il Governo. Forse ci vuole una nuova impostazione, a maggior ragione quando si è in evidente minoranza e non si riesce ad influenzare a sufficienza la linea. Penso che quel che ci è stato detto in queste settimane dalla base sia di non essere collegiali all’eccesso, e che di questi tempi ci vuole un nuovo paradigma. Ma attenzione a non trovarsi marginalizzati, altrimenti poi non si conta nulla. Sarà una discussione importante, che faremo con la nostra base».


A Lugano tiene banco il «caso Ghisletta». Sta dalla sua parte?
«Nella maniera più assoluta. Fa politica all’interno di un gremio che gli è ostile e c’è chi grida alla “lesa maestà”. E che sia Foletti a richiamare alla collegialità, quando è 30 anni che viene eletto grazie ad un giornale diretto dal suo collega di Municipio che quasi ogni domenica viola quel principio, è semplicemente ridicolo!».
Tornando all’arrocco alla fine dei conti la regola «bene o male purché se ne parli» dà ragione alla Lega?
«Forse vale per il loro elettorato, ma non per il nostro che è ancorato ad altri valori. Ai leghisti piacciono i momenti roboanti, di forte conflittualità non nel merito, ma da tifoseria, che gli permettono poi di travalicare nel vittimismo».
Ma dire questo non è un po’ fare le verginelle in un mondo politico abitato da lupi (nessuno escluso)?
«No, significa non voler ridurre tutto allo scontro fine a sé stesso. Ho letto le interviste pubblicate in queste settimane dal Corriere del Ticino e c’è un grande assente: i temi, le reali preoccupazioni della cittadinanza. Mi sembra che sia solo questo attacca quello, quello attacca l’altro, un modo di fare che mi infastidisce».
Beh, l’arrocco è anche un tema. Magari ha sbagliato qualcosa anche il Governo?
«Il principale errore è stato quello di non spiegare, di aver affidato tutto a uno stringato comunicato dopo la lunga giornata a Bedretto dello scorso luglio. In sostanza si sono messi nell’angolo, alimentando speculazioni a raffica».
Marina Carobbio e Laura Riget, alla luce del sole, hanno un rapporto di parentela. C’è chi, subdolamente, motiva così l’atteggiamento morbido del PS sulla decisione dell’arrocco da parte del Governo. Lei cosa ne dice?
«Significa mettere in dubbio l’integrità morale di due persone, e questo mi infastidisce profondamente. Lavoro a stretto contatto con Riget e Carobbio da anni e so bene quanto entrambe siano indipendenti e determinate nelle proprie posizioni. Sicuramente anche loro avrebbero voluto evitare queste continue accuse personali, ma non si sceglie di chi innamorarsi. Insinuare che la linea del PS Ticino sia decisa “in famiglia” non è solo un modo di sminuire due donne ai vertici della politica cantonale, ma anche i gremi del partito, che non sono in balia di nessuno, ma che si confrontano e decidono a maggioranza se necessario».
E veniamo a quelli che lei chiama «i temi». Su cosa punta il PS?
«Quelli che io chiamo i “big three”: salario, affitti-alloggio e cassa malati. Negli ultimi 20 anni è successo che a fronte di salari stagnanti, affitti e premi sono esplosi. Queste sono le preoccupazioni più rilevanti per la popolazione e sono tra i motivi principali per i quali i giovani non vedono un futuro nel nostro cantone. Noi siamo quella sinistra che migliora la “fine del mese”, l’abbiamo già fatto con la tredicesima AVS e continueremo. Vorrei concentrare tutte le mie energie su questo, con i nostri alleati naturali, i Verdi».
È un po’ che non si sentiva parlare di voi e dei Verdi…
«In realtà la nostra collaborazione è continuativa, politicamente strategica e non solo elettoralmente interessata. Forse è per questo che non fa notizia, ma ci siamo, lavoriamo fianco a fianco in ogni commissione con una visione di società che ci accomuna».
Però ora c’è l’MpS che attende di sapere se siete pronti a un fronte di sinistra unito e determinato. Qual è la vostra risposta?
«Per collaborare con chi vuole portare avanti qualcosa di progressista, noi ci siamo e il dialogo è continuo con tutti. Cerchiamo un’unione delle forze per dare sostanza alle idee della sinistra, allargando il più possibile e non escludendo, ma soprattutto non guardando esclusivamente all’appuntamento con le urne del 2027».


Amalia Mirante ha dichiarato che con la dirigenza socialista non parla più, ma ha contatti con molti vostri compagni. La cosa la interessa?
«Vede quel che dicevo prima? La politica ridotta a scontro tra persone, con chi si parla e non si parla, invece che fatta di temi. Parliamo del merito: dice di essere socialdemocratica e vota “Prima i nostri”, per risparmiare sui migranti, contro crediti a favore della cultura, contro la ridistribuzione della ricchezza attuata dal 10%, ma al contempo schiaccia l’occhio agli sgravi ai ricchi dell’iniziativa della Lega. Per me non è mai stata una questione personale, resto convinto che chi ha posizioni di questo tipo non può diventare consigliera di Stato socialista, adesso è evidente a tutti».
Il 28 settembre si voterà sulla vostra iniziativa per premi non oltre il 10% del reddito. Vista l’aria che tira e il periodo, sarebbe clamoroso se non vinceste…
«Questa mi pare una gufata. Siamo determinati, ma non diamo nulla per scontato. Il nostro fronte è compatto ma dovremo convincere e spiegare ai cittadini di non farsi abbindolare dalle falsità che già girano, ad esempio sul costo da 300 milioni di franchi. Sono soldi che i cittadini già pagano, quello infatti è il calcolo di quanto oggi, i cittadini, stanno pagando più del 10% del proprio reddito».
Come poterlo dire in maniera elegante?
«Vedo disonestà intellettuale nello spaventare la popolazione su quei 300 milioni che, con il nostro piano di finanziamento dell’iniziativa, dati alla mano avvantaggerà la maggioranza della popolazione! Noi andiamo ad agire sull’errore di fondo del sistema, che non regge più: un milionario non può pagare lo stesso premio di mio padre operaio, è questo che ha reso i premi insostenibili».
Dopo l’AVS, la più grande redistribuzione della ricchezza. Lo ha detto Dadò.
«Vero. Il pagamento dei premi è la prima preoccupazione dei cittadini. E allora Dadò e i suoi ci diano una mano. Gli chiedo un po’ di coraggio, quello che non gli manca nell’attaccare la Lega ad esempio. Qui bisogna scegliere a chi far pagare la fattura dei premi: tutta al ceto medio o in maniera proporzionale al reddito? Qui si sceglie da che parte stare, con gli interessi del ceto medio o con quelli dei ricchi».
E dell’iniziativa leghista cosa ne dice?
«È uno specchietto per allodole. I dati mostrano che dalle deduzioni vanno a guadagnare tantissimo le alte fasce di reddito e per il ceto medio rimane attaccato poco o nulla».
Come sono i suoi rapporti con gli altri presidenti di partiti in questo momento?
«Dal profilo umano sono molto buoni, io bado alla correttezza e a mantenere rapporti positivi, ma politicamente siamo molto distanti, e lo avrete capito, per me è la sostanza che conta».