Il caso

Se nel 2022 il diritto all'aborto deve (ancora) essere difeso

La Corte suprema USA potrebbe votare in favore dell'annullamento della sentenza del 1973: si riaccende il dibattito – E, nonostante lotte e conquiste, la discussione non è così scontata
Jenny Covelli
19.05.2022 10:30

È ritenuto un caposaldo dei diritti civili. Ma potrebbe essere presto cancellato. Stiamo parlando del diritto all'aborto e della fuga di notizie che ha travolto la Corte Suprema americana. È stato Politico.com, il 3 maggio, a diffondere la prima bozza del giudice Samuel Alito sul parere della maggioranza dei componenti del collegio: «Riteniamo che la sentenza "Roe e Casey", vergognosamente sbagliata fin dall’inizio, debba essere annullata. È tempo di dare ascolto alla Costituzione e restituire la questione dell'aborto ai rappresentanti eletti del popolo» (a livello statale). Cinque dei nove giudici si dicono contrari in modo «totale e fermo» alla storica sentenza della stessa Corte che nel 1973 sancì il diritto all'interruzione di gravidanza per tutte le donne americane, senza tuttavia che sia mai diventata legge. Un vero e proprio terremoto, insomma, anche se chiaramente il documento non rappresenta una decisione, né sancisce la posizione definitiva del plenum.

La situazione USA

Prima del 22 gennaio di 49 anni fa, ogni Stato americano aveva una propria legislazione in materia. La svolta prese avvio nel 1970 con il caso di Norma Leah McCorvey, chiamata Jane Roe per tutelarne la privacy. La donna, incinta del terzo figlio, si era rivolta allo Stato del Texas per abortire. Siccome la legge dello Stato, all'epoca, consentiva l'aborto solo in caso di stupro e incesto, mentì. Vittima di povertà e droghe, non voleva avere un altro bambino indesiderato. La Corte respinse la sua richiesta (e lei ebbe il bambino) e il procuratore distrettuale Henry Wade presentò ricorso. Ecco che si arrivò alla Corte Suprema. Sette giudici (contro 2) si espressero a favore di Jane Roe sulla base di una nuova interpretazione del XIV Emendamento: il diritto alla privacy, inteso come diritto alla libera scelta su questioni che riguardano la sfera intima della persona, limitando l'ingerenza statale. Ecco la svolta: un diritto (quasi) assoluto all’interruzione volontaria di gravidanza nel primo trimestre e diritti più limitati nel secondo. La sentenza Roe v. Wade. Un'ulteriore sentenza (Planned Parenthood v Casey), nel 1992, stabilì la libera scelta a interrompere la gravidanza fino al punto in cui il feto diventa in grado di sopravvivere al di fuori dell'utero materno, ossia attorno alla 24. settimana. Inoltre, introdusse il concetto del «peso ingiustificato» (undue burden), per cui la legislazione statale non può vietare l’aborto entro i limiti stabiliti da Roe e neppure ostacolare una donna che desideri ricorrervi. Per correttezza, è giusto sottolineare che negli USA non c’è una legge federale che uniformi in tutti gli Stati le modalità di accesso all’aborto. Le due sentenze, Roe e Casey, fanno giurisprudenza.

Oggi, a riaccendere l'attenzione è lo Stato del Mississipi che ha chiesto il riconoscimento della «sua» legge sull'aborto approvata nel 2018 ma mai entrata in vigore. La norma punta a rendere illegale l'interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane, anche in caso di stupro o di incesto. Il procuratore generale dello Stato ha chiesto alla Corte Suprema (in cui, per volontà di Donald Trump, da ottobre 2020 il rapporto di forza è di 6 giudici conservatori e 3 progressisti) di valutarne la legittimità e di dare al caso un valore federale, annullando di fatto la Roe v. Wade. E la Corte, che avrebbe potuto respingere la richiesta citando i precedenti, si è invece chinata sulla questione. Da qui la bozza della maggioranza dei giudici, da cui ha preso avvio il nostro articolo. Qualora la Corte dovesse sconfessare Roe e Casey, la pratica dell'aborto non diventerebbe illegale, ma sarebbe rimessa all'autorità e alle decisioni dei singoli Stati. 

L'attacco coordinato

Nel 2019 alcuni Stati sono riusciti a fare approvare una serie di leggi piuttosto restrittive. Secondo l’Istituto Guttmacher - una delle principali organizzazioni di ricerca e politica fondata nel 1968 per promuovere la salute, i diritti sessuali e riproduttivi negli Stati Uniti e in tutto il mondo -, nel solo periodo compreso tra il 1. gennaio e il 15 maggio 2019 sono stati adottati 42 provvedimenti restrittivi in materia di aborto, tra i quali il divieto di determinate procedure e la necessità del consenso dei genitori in caso di aborto da parte di minorenni. E nell'ultimo mese si registra una sorta di «attacco coordinato» alla legislazione Roe e Casey. Il parlamento dell'Oklahoma ha approvato un disegno di legge (firmato dal governatore repubblicano Kevin Stitt) che vieta l'interruzione della gravidanza in qualsiasi momento, tranne che per salvare la vita della madre incinta, e punisce i trasgressori con una multa sino a 100 mila dollari o una pena fino a 10 anni. I repubblicani hanno accelerato sull'approvazione della misura perché temevano che lo Stato diventasse una sorta di «porto sicuro» per le donne dal vicino Texas, dove l'aborto è vietato dalla sesta settimana in poi, anche in caso di stupro o incesto (è «la più restrittiva negli Stati Uniti da decenni»). L'Idaho ha seguito l'esempio del Texas. La Florida, guidata da Ron DeSantis, ha approvato il divieto di aborto dopo la quindicesima settimana anche in caso di stupro, incesto o tratta di esseri umani. In Arizona il governatore Doug Ducey sta varando restrizioni sull'interruzione di gravidanza da quando ha assunto l'incarico nel 2015.  

Di recente la battaglia di repubblicani e gruppi pro-vita si sta spostando anche sulla pillola abortiva. Secondo il New York Times, tra gennaio e marzo sono state oltre 100 in 22 Stati le proposte di stretta contro il farmaco. Il governatore del Tennessee Bill Lee ha firmato una legge che punisce la spedizione di farmaci che causano l'interruzione di gravidanza, con pene sino a 20 anni e sanzioni sino a 50.000 dollari. I farmaci contraccettivi d'emergenza «possono essere prescritti solo da un medico qualificato» ma non possono essere inviati per posta o corriere da produttori, fornitori, farmacie, medici qualificati e non o da altre persone. Il medico inoltre deve visitare la paziente di persona e informarla «che potrebbe vedere i resti del feto» nel completare la procedura d'aborto. Infine, il Senato americano (senza sorprese) ha bloccato il provvedimento per garantire alle donne l'accesso all'aborto a livello federale. Era un voto simbolico, eppure la bocciatura ha provocato un terremoto politico. Il provvedimento aveva bisogno di 60 voti per poter recepire, trasformandola in legge, la storica sentenza Roe v. Wade. E invece ne ha ricevuti soltanto 49: tutti i senatori democratici tranne uno.

Nel frattempo, nel fine settimana migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare in tutto il Paese, da New York a Washington, da Los Angeles a Boston passando per Austin (Texas). Un giudice federale ha temporaneamente bloccato una legge statale del Kentucky con cui si imponeva il limite delle 15 settimane per l'aborto e la visita medica prima di ricevere la pillola abortiva. Lo stato di New York ha stanziato 35 milioni di dollari per un fondo di emergenza in favore delle strutture mediche che praticano l'interruzione di gravidanza qualora la Corte Suprema decidesse di annullare la Roe v. Wade. E Starbucks - unendosi ad altre aziende americane come Salesforce, Amazon, Microsoft e Tesla che hanno intrapreso iniziative simili - ha annunciato che pagherà le spese di viaggio per le sue dipendenti costrette ad allontanarsi oltre i 160 km in cerca di strutture sanitarie per l'accesso all'interruzione di gravidanza.

Il dibattito politico si è infiammato, anche perché l'argomento contrappone notoriamente repubblicani e democratici e tra due anni ci saranno le Presidenziali. «Non smetteremo mai di difendere le nostre libertà fondamentali», ha affermato la speaker della Camera, Nancy Pelosi. La vicepresidente Kamala Harris: «Tristemente il Senato ha fallito nel difendere il diritto di scelta delle donne sul proprio corpo». E Joe Biden assicura: «Continueremo a valutare misure e strumenti» per difendere il diritto di scelta.

E la Svizzera?

In Svizzera l’aborto è legale solo dal 2002 quando, con un referendum, venne modificato il codice penale, introducendo la possibilità dell’interruzione di gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione. Fino all'entrata in vigore del Codice penale nel 1942, l'aborto era regolato dai Codici cantonali, che in genere punivano soprattutto la persona che lo procurava e ammettevano talvolta l'indicazione medica (Ticino 1873). La discussione di cinque avamprogetti di legge che ammettevano lo stato di necessità venne avviata nel 1896 da alcuni esperti. Il dibattito alle Camere federali sul Codice penale - citiamo dal Dizionario storico della Svizzera - ebbe luogo tra il 1929 e il 1937 e fu influenzato da temi quali il calo demografico e la difesa della famiglia come garanzia per la natalità, le tensioni sociali e il ruolo sempre maggiore assunto dalla medicina durante la gravidanza. I parlamentari si divisero sul contenuto dell'art. 107 (120 dal 1942) che ammetteva la non punibilità dell'aborto terapeutico. Accolto nel 1929 con 99 voti contro 7, l'articolo fu poi contestato dalla commissione del Consiglio degli Stati incaricata di esaminare il progetto e fino al 1937 sottoposto a più riprese a revisioni da parte delle due Camere. Il nuovo Codice, approvato di misura nella votazione popolare del 1938 ed entrato in vigore nel 1942, contemplava la legittimità dell'indicazione medica per quella che veniva ormai definita «interruzione di gravidanza». Alla fine degli anni Sessanta uno studio stimava in 21.800 gli aborti praticati legalmente ogni anno in Svizzera, 50.000 quelli «clandestini». Nel giugno del 1971 venne lanciata un'iniziativa popolare per la depenalizzazione dell'aborto. Nel 1972 gli ambienti conservatori cristiani fecero circolare la petizione «Sì alla vita, no all'aborto». L'anno successivo fu creata l'Unione svizzera per decriminalizzare l'aborto. Nel 1975 venne lanciata un'iniziativa che prevedeva la legalizzazione dell'intervento nella prima fase della gravidanza, bocciata nel 1977 dal 51,7% dei votanti. La legge federale approvata dalle Camere nel 1977 fu respinta con il referendum del 1978. Nel 1985 anche l'iniziativa «per il diritto alla vita» fu respinta. E mentre nella società civile e nei media si discuteva sull'introduzione della pillola abortiva (autorizzata nel 1999), nel 1995 le Camere affrontarono l'esame preliminare di una nuova iniziativa parlamentare per la legalizzazione della soluzione dei termini (ovvero la non punibilità dell'interruzione della gravidanza se praticata entro 14 settimane dall'inizio dell'ultima mestruazione, se in presenza di uno stato d'angustia), che il parlamento ha finito con l'accettare nel 2001, riducendo però il termine a 12 settimane. I gruppi contrari all'aborto (che nel 1999 avevano depositato un'iniziativa finalizzata al divieto quasi totale dell'interruzione di gravidanza) e il PPD hanno però lanciato un referendum. La soluzione dei termini è stata, appunto, accettata nel giugno 2002 dal 72,2% dei votanti ed è entrata in vigore nell'ottobre dello stesso anno.

Come funziona da noi

Secondo il Codice penale svizzero (art. 118-120), «l'interruzione della gravidanza non è punibile se, in base al giudizio di un medico, è necessaria per evitare alla gestante il pericolo di un grave danno fisico o di una grave angustia psichica. Il pericolo deve essere tanto più grave quanto più avanzata è la gravidanza». La donna può chiedere di abortire fino alla 12. settimana a ogni medico con titolo in ginecologia e ostetricia e in possesso del libero esercizio, che terrà con lei un colloquio approfondito: deve presentare una richiesta scritta in cui dichiara il suo stato di «angustia psichica». Per le interruzioni di gravidanza dopo la 12. settimana, il giudizio del medico «al fine di evitare alla gestante un pericolo di un grave danno fisico o di una grave angustia psichica» è formulato per iscritto - compresi i rischi legati all'intervento - e dev’essere conservato quale parte della cartella sanitaria. Le giovani donne di età inferiore ai 16 anni devono rivolgersi a un consultorio specializzato riconosciuto.

La statistica

Nel 2020 sono state notificate 10.906 interruzioni di gravidanza di donne domiciliate in Svizzera. Ciò corrisponde a un tasso di 6,8 interruzioni di gravidanza ogni 1000 donne di età compresa tra 15 e 44 anni. Dopo essere stato in calo dal 2010, fa sapere l'Ufficio federale di statistica, dal 2017 il tasso è salito da 6,2 a 6,8; nel 2020 è quindi tornato al livello del 2010. Tra le donne di età compresa tra 15 e 19 anni, il tasso di interruzioni è rimasto relativamente costante e a un livello contenuto, senza presentare tendenze al rialzo rispetto al 2019. In questa fascia di età, il tasso è pari a 3,5 interruzioni di gravidanza ogni 1000 donne. La maggioranza degli interventi è stata condotta nelle prime otto settimane di gravidanza e il 95% di tutte le interruzioni di gravidanza è stato effettuato prima della dodicesima settimana. Il 79% delle interruzioni di gravidanza è stato praticato attraverso l’assunzione di medicamenti e il 21% con un intervento chirurgico. A livello svizzero, nel 2020 le interruzioni tramite medicamenti sono aumentate dell’11% rispetto all’anno precedente.

© UST
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Un altro attacco solo otto anni fa

Nel 2014, gli svizzeri sono tornati alle urne sulla questione aborto. Un comitato interpartitico aveva infatti lanciato l’iniziativa «Il finanziamento dell’aborto è una questione privata», chiedendo di stralciare l'aborto dal catalogo delle prestazioni dell'assicurazione malattia di base (fatta eccezione per casi di gravi rischi per la salute della madre o di violenza carnale). E questo nonostante nel 2012, nel nostro Paese, fossero stati praticati «solo» 10.853 aborti, con un tasso tra i più bassi d'Europa e un costo tra i 10 e i 12 milioni di franchi, pari allo 0,05% dei costi sanitari a carico della LAMal. Sulla chiamata alle urne si era espressa anche Stella Jegher, coordinatrice Diritti delle donne e questioni di genere della Sezione svizzera di Amnesty International: «Lo scopo dell'iniziativa è limitare il diritto delle donne all’autodeterminazione nel campo della sessualità, della gravidanza e della maternità, e stigmatizzare l’aborto legale. Nessuna donna che decide di interrompere una gravidanza lo fa a cuor leggero. Ogni donna deve avere il diritto di farlo in una struttura medicalizzata, dopo essere stata informata adeguatamente e nel rispetto delle leggi in vigore. La limitazione dell’accesso all’aborto non porta alla diminuzione del numero degli interventi ma al contrario al peggioramento delle condizioni in cui esso è praticato, e questo ovunque nel mondo». Il 9 febbraio gli svizzeri hanno espresso la loro chiara contrarietà con il 69,8% dei voti: i «no» sono stati 2.019.549, i favorevoli 873.060. In Ticino i pareri negativi si sono attestati al 67,3%. 

Il diritto all'aborto non va limitato

La scorsa settimana, di aborto si è parlato a Palazzo federale. Il Consiglio nazionale, con 132 voti contro 36 e 11 astenuti, ha bocciato una mozione che chiedeva di ridurre drasticamente il numero di interruzioni di gravidanza praticate dopo la dodicesima settimana. «Ogni anno in Svizzera sono eseguiti 400-500 aborti dopo la dodicesima settimana - ha spiegato la lucernese Yvette Estermann (UDC) -, interruzioni che rappresentano un grande disagio per le donne in gravidanza, i loro partner, le loro famiglie e i professionisti coinvolti». Estermann, citando uno studio della Commissione nazionale d'etica per la medicina umana, ha ricordato come gli aborti tardivi siano praticati prevalentemente a causa di una malattia o di una malformazione del nascituro. «Può così capitare che siano eseguiti aborti a causa di problemi fisici che si sarebbero potuti trattare chirurgicamente prima o dopo il parto». Il consigliere federale Alain Berset ha replicato con i numeri: in Svizzera, nel confronto internazionale, il tasso d'interruzione di gravidanza è basso. Dei 10.457 aborti praticati nel 2018, solo 528 (il 5%) sono avvenuti dopo la dodicesima settimana. Inoltre, la nuova legge federale sugli esami genetici sull'essere umano, adottata dalle Camere nel 2018, contiene già prescrizioni più precise. Questa stabilisce ad esempio che qualora la donna prenda in considerazione la possibilità di interrompere la gravidanza, nel colloquio di consulenza debba essere informata anche sulle possibili alternative all'aborto e sull'esistenza di associazioni per genitori di disabili e di gruppi di mutua assistenza. Il Consiglio nazionale ha quindi bocciato una seconda mozione, del bernese Erich von Siebenthal (UDC), che chiedeva misure per migliorare la consulenza alle donne con gravidanze problematiche che pensano di ricorrere all'aborto. Le offerte di consulenza e accompagnamento disponibili sono infatti sufficienti.

Ma non è detto che la popolazione non venga (di nuovo) chiamata alle urne sul tema dell'aborto. Yvette Estermann e il «collega» Andrea Geissbühler hanno infatti lanciato due iniziative popolari che chiedono di introdurre, rispettivamente, un giorno per riflettere sulla decisione di interrompere la gravidanza e il diritto alla vita per il feto una volta raggiunta un'età in cui può teoricamente respirare e sopravvivere al di fuori del ventre materno. La scadenza per la raccolta delle firme è il 21 giugno 2023.

«Le si attribuisce finalmente la facoltà di prendere una decisione morale»

Tra chi, in Svizzera, si è battuto per il diritto all'aborto c'è Barbara Haering, all'origine dell'iniziativa parlamentare e «madre» della soluzione dei termini (come detto, l’interruzione della gravidanza non punibile se la donna lo chiede in forma scritta entro dodici settimane dall’inizio dell’ultimo ciclo mestruale e fa valere uno stato d’angustia) approvata dagli svizzeri nel 2002. Nel 1993 la consigliera nazionale socialista aveva chiesto, con un'iniziativa parlamentare, che il codice penale venisse riveduto e l'aborto depenalizzato nei primi tre mesi. Ci sono voluti nove anni per eliminare la «criminalizzazione» delle donne, consentendo loro di scegliere sul loro corpo senza doversi piegare a pressioni politiche, sociali o giuridiche. «Ci siamo accorti che i tempi erano maturi per portare avanti le nostre rivendicazioni: il divario fra la legge e la pratica quotidiana era troppo grande - dichiarò allora Barbara Haering -. All'inizio degli anni Novanta, le donne erano ancora molto insicure. Temevano che tematizzando il problema le leggi sarebbero cambiate a loro sfavore, avevano paura di un effetto controproducente. Dopo decenni di impegno delle nostre madri, s'intravede finalmente un orizzonte luminoso per le nostre figlie». 

Cosa pensa oggi Barbara Haering, professoressa presso l'Università di Losanna, presidente del CdA di econcept Inc., vicepresidente del Consiglio dei Politecnici federali e membro del Consiglio dell'Università di Dresda? In merito a quanto sta accadendo negli Stati Uniti, l'ex consigliera nazionale è lapidaria: «I divieti non hanno mai impedito gli aborti, piuttosto li hanno spinti verso l'illegalità». Mettendo, è bene sottolinearlo, a serio repentaglio la salute delle donne. Ma, dopo anni di battaglie, Haering è fiduciosa: «Il diritto all'aborto è stato introdotto con processi democratici. Le donne non permetteranno a nessuno di togliere loro questo diritto». I partiti più conservatori potranno anche tentare di rilanciare la discussione, spinti dalla ventata conservatrice degli USA, ma «non credo proprio che avranno successo».

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