Jens Fehlinger: «Se Swiss dovrà comprare aerei Boeing? Spendiamo già 150 milioni di dollari all'anno negli USA»

Emozionato. Fiero. Ambizioso, anche. Jens Fehlinger, 45 anni, amministratore delegato di Swiss, non si nasconde. Il primo volo intercontinentale dell’Airbus A350 in livrea Wanderlust, dice in questa lunga intervista concessa a bordo, è una pietra miliare e, al contempo, un nuovo inizio.
Signor Fehlinger, l’A350 è
l’emblema della strategia di Swiss negli anni a venire. Una strategia
all’insegna della sostenibilità, dell’efficienza e del servizio premium. Perché
questo aereo è così centrale per la compagnia?
«L’A350 è un simbolo di ciò che vogliamo
essere e di ciò che, strategicamente, saremo. A bordo di questo velivolo, e
partendo dall’economy, è possibile trovare qualità in ogni classe di servizio.
Stiamo conducendo questa intervista in premium economy, ad esempio, un grande
sviluppo per noi. E poi, salendo, ci sono la business e la prima classe, con
cibi appositamente preparati in Svizzera. Cambiamo i menù ogni trimestre,
ponendo grande attenzione agli chef elvetici e a ingredienti di qualità. Il
tutto, mantenendo le tariffe abbordabili. Questo, credo, dice molto di come
vogliamo posizionarci. L’A350, d’altro canto, ci consente di ridurre le
emissioni del 25% rispetto ai suoi predecessori».
Ma quali sono le altre misure
che Swiss sta integrando per una sostenibilità su larga scala e, soprattutto,
per arrivare alla neutralità carbonica?
«Quanto alla sostenibilità, noi crediamo
nell’innovazione. Con l’Airbus A350, questo e quelli che arriveranno, compiamo
un passo che ci aiuta oggi ma ci aiuterà anche domani. Nel 2050, quando
intendiamo raggiungere la neutralità carbonica, questo aereo volerà ancora. Di
qui la ricerca di soluzioni, come il carburante alternativo per l’aviazione, il
cosiddetto SAF. Lavoriamo con vari partner, fra cui Climeworks che cattura
l’anidride carbonica direttamente dall’aria e Synhelion, una start-up svizzera.
Noi abbiamo bisogno di queste tecnologie. Innovazione, per contro, è la parola
chiave anche quando parliamo di efficienza. Credo ci sia un potenziale enorme
per automatizzare molte delle nostre operazioni. Alcuni processi, nelle nostre sedi, sono vecchi di decenni. E i nostri clienti ci chiedono proprio
questo: più automazione e più digitalizzazione. La Svizzera è un Paese
ideale, in questo senso, essendo una delle culle dell’innovazione. Ma è tutto
il Gruppo Lufthansa a essere un motore di sostenibilità e innovazione.
Stiamo già lavorando a stretto contatto all'interno di Lufthansa. Penso all’acquisto degli
aerei o alla pianificazione dei network. E possiamo collaborare anche
nell’IT, nelle vendite e via discorrendo. Ci sono tante, tantissime cose che
possiamo fare all’interno di Lufthansa. Cose che, vista la nostra dimensione,
non potremmo fare da soli».
Gianluca Ambrosetti,
amministratore delegato di Synhelion, ci ha detto che, per uscire dalla
nicchia, il SAF ha bisogno anche di spinte e investimenti da parte della
politica. È d’accordo?
«Sono d’accordo. Basti pensare che, al
momento, non ci sarebbe abbastanza SAF sul mercato per trasformare il settore
dell’aviazione in un’industria neutra dal punto di vista climatico. Sarebbe sufficiente per le nostre quote minime di rifornimento quest’anno e l'anno prossimo. Le capacità
produttive stanno aumentando. Ma sì, è necessario un salto più grande. Sono
necessari investimenti. Se questi investimenti debbano arrivare
dai privati o dai governi è un'altra questione. Però, è evidente che senza un impegno finanziario
concreto la transizione non funzionerà».
Quanto è importante, per
Swiss, tenere fede alle promesse fatte su questo fronte?
«La nostra comunicazione è chiara.
Dichiariamo solo obiettivi alla nostra portata. E, al contempo, diciamo che cosa stiamo effettivamente facendo. Per questo investiamo in aeroplani come l’A350 e, ancora, per
questo crediamo e investiamo in aziende come Climeworks e Synhelion. Per
questo, infine, riteniamo che debbano esserci più investimenti come i nostri
nell’intero ecosistema per arrivare alla neutralità climatica».
Negli scorsi mesi, alcuni
media hanno riferito di frizioni all’interno del Gruppo Lufthansa: la casa
madre vorrebbe «germanizzare» Swiss. È ancora possibile essere svizzeri in una
grande famiglia a trazione tedesca?
«Mentre parliamo, siamo seduti in un aereo
che trasuda svizzeritudine, a partire dai colori dei sedili e dal nostro staff.
Un aereo la cui manutenzione viene effettuata in Svizzera e al cui interno
viene servito cibo prevalentemente svizzero. Da anni lavoriamo a stretto contatto con il Gruppo Lufthansa, perché ha senso. Una compagnia aerea delle dimensioni di Swiss non potrebbe esistere senza il Gruppo. Noi beneficiamo del Gruppo e il Gruppo beneficia del nostro successo. Quindi, ha senso anche per i nostri clienti. Acquistiamo aeroplani insieme, come detto, pianifichiamo i rispettivi network
insieme, così che i passeggeri possano avere più offerta e più destinazioni. E nel settore IT, beh, è importante che possa contare su un forte
gruppo alle spalle per sviluppare nuove soluzioni. Insieme, appunto. Swiss è
una compagnia aerea unica, all’interno di un gruppo molto forte. E noi ci
appoggiamo al gruppo laddove ha senso, in termini di esperienza del cliente e
di efficienza. In aria, quando voliamo, abbiamo un'identità svizzera molto forte. È il motivo per cui le persone ci scelgono».
Con la livrea Wanderlust,
dunque, avete voluto omaggiare il Paese e, se vogliamo, lanciare anche un
segnale di unicità. Giusto?
«Assolutamente sì. Il nostro primo Airbus
A350 è un omaggio alla nostra casa, la Svizzera. Consideriamo questo aereo un
ambasciatore. Fa conoscere al mondo i nostri paesaggi, i nostri eventi
culturali, noi. Siamo molto fieri di rappresentare questa eredità. Di più, ci
siamo detti che era arrivato il momento di far vedere chi siamo».
Nel presentare questo aereo, a
Zurigo, lei ha evocato la possibilità di aprire nuove rotte e nuovi mercati. Al
contempo, l’attuale contesto geopolitico non consente voli pindarici. Perfino
la rotta transatlantica, vitale per compagnie come la vostra, in questi mesi ha
subito non pochi scossoni a causa dei rapporti tesi fra Stati Uniti ed Europa.
Come fa, lei, a gestire tutto questo?
«Non sono solo, per fortuna: con me c’è
un’intera organizzazione che, da anni oramai, sta convivendo con il contesto
descritto. Ogni settimana, da qualche parte nel mondo, succede qualcosa. A proposito delle rotte da e per gli Stati Uniti: si è
parlato, a torto, di un mercato all’improvviso difficile ma non è ciò che
dicono i nostri numeri. Sì, parliamo di un mercato importante per noi e la domanda, temporaneamente, è diminuita. Il terzo
trimestre, in effetti, per Swiss è stato difficile: meno persone
hanno prenotato voli per l’America. Ma i numeri, ora, stanno salendo di nuovo.
Significa che il mercato sta tornando: il prossimo anno, posso dirlo, sembra
promettente. Per il futuro, speriamo di poter ampliare ulteriormente la nostra rete, anche in funzione, ad esempio, della riapertura dello spazio aereo russo. Nonostante la volatilità, Swiss ha superato bene questo difficile periodo post-pandemia. E quello che vediamo è che le persone vogliono viaggiare, vogliono volare, vogliono vedere il mondo».
A proposito di viaggiare e
vedere il mondo: lei, al gate ma anche in volo verso Boston, era emozionato
come un bambino nel vedere l’A350 fare ciò sa fare al meglio, portare persone
da una parte all’altra dell’Atlantico.
«Il primo volo intercontinentale di un
nuovo aereo è sempre un momento speciale. Per me, ma anche per il mio team, di
cui sono estremamente orgoglioso. Vedere il risultato di così tanto lavoro
è incredibile. Ho alle spalle anni e anni in questa industria, anche come
pilota avendo collezionato migliaia di ore di volo. Alla fine, però, tutto si
riduce a un viaggio. Amo vedere i nostri passeggeri soddisfatti, amo passare
del tempo con lo staff a bordo, o con i piloti».
I passeggeri hanno visto il
prodotto finale, un A350 con livrea speciale e con una cabina totalmente
ripensata, denominata
Senses. Dietro, però, come detto ci
sono anni e anni di pianificazione e duro lavoro…
«So quante persone hanno lavorato a questo
progetto. Per anni. Ci siamo preparati in ogni campo: dalla manutenzione al
personale di cabina, passando per i piloti e per il personale di terra. Quasi
ogni componente di Swiss è stata coinvolta dall’arrivo dell’A350».
Perché, al di là
dell’entusiasmo e degli aspetti tecnici, questo Airbus non è «solo» un aereo?
«Perché questo singolo esemplare ha creato
150 posti di lavoro in seno a Swiss e altri 150 fra i nostri fornitori e partner. Ogni
nuovo aereo, insomma, aiuta l’economia svizzera. Detto ciò, non è un semplice
aereo perché è il frutto di anni di duro lavoro. Un lavoro di squadra, che mi
rende orgoglioso come spiegavo».
Avrà seguito, nei giorni
scorsi, la conferenza stampa del Consiglio federale sull’intesa raggiunta con
Washington per la riduzione dei dazi. Si è parlato di «aziende
svizzere che si impegneranno ad acquistare aerei Boeing».
C’entra qualcosa Swiss?
«Innanzitutto, è importante sottolineare
che noi, come Swiss, operiamo già con aerei Boeing. Abbiamo 12 Boeing 777-300ER
per il lungo raggio e investiamo, ogni anno, 150 milioni di dollari negli Stati
Uniti solo per pezzi di ricambio. Se pensiamo invece all’A350 e ai suoi motori, ad esempio, il 20% delle componenti è di origine statunitense. Il punto è proprio
questo: non si tratta solo di comprare aerei, ma di capire che Swiss e il
Gruppo Lufthansa ogni anno comprano beni statunitensi».
Ma sarebbe fattibile per Swiss
acquistare aeroplani Boeing per onorare l’intesa sui dazi? Ad esempio per sostituire, in futuro, l'Airbus A330 e lo stesso Boeing 777?
«La pianificazione della flotta e, quindi, l'acquisto di nuovi aerei sono una questione a lungo termine. Decideremo insieme al Gruppo Lufthansa quale tipo di aereo avrà più senso acquistare per Swiss».
Lei è un manager relativamente
giovane: che visione ha portato e quale visione vuole dare per Swiss?
«Voglio che Swiss si posizioni fra le
compagnie premium, perché sono convinto che quella sia la sua collocazione ideale. E voglio che si distingua in termini di qualità. Possiamo facilmente competere, alla pari, con alcune compagnie del Golfo
e asiatiche. I prossimi dieci anni ci terranno molto, molto
occupati. Ma saranno anche anni di successo. Anche perché, oggi, stiamo facendo grandi investimenti».
Crede davvero che Swiss possa
competere con il lusso di Emirates, Etihad e Qatar, giusto per fare alcuni
nomi?
«Sì, e da oggi è ancora più chiaro. Date un'occhiata a questo aereo, completamente nuovo. Con i nostri team a terra e in volo, ma anche con i nostri nuovi interni di cabina, possiamo competere con qualsiasi compagnia premium del mondo».
