A Locarno ecco la nuova «casa» per la flotta di autobus elettrici

Le ruspe sono in azione a Locarno, nella zona di Riazzino, nelle vicinanze dell’omonima stazione ferroviaria in pieno territorio della Città e dove un tempo c'era la General Electric. È qui che, tra un paio d’anni, sorgerà la «casa» destinata alla nuova flotta di autobus elettrici (prima la linea 1, poi progressivamente le altre, dalla scala urbana a quella regionale) operata dalla locale compagnia di trasporto pubblico Ferrovie autolinee regionali ticinesi. In tutto, 26 milioni d’investimento - finanziati da Cantone e Confederazione - per 4.000 metri quadrati di struttura dedicati a un deposito-officina e ai quali se ne aggiungono altri 500 per uno stabile di servizio. Qui, nel 2027 e dopo quasi un decennio di progettazione, ci sarà una serie di aule di formazione e altri spazi pensati per il personale.


Una ventina di posti
La posa della prima pietra è l’occasione per ribadire non solo l’importanza strategica della tanto agognata soluzione, ma anche le difficoltà che si sono frapposte lungo il percorso, tra i vari siti valutati inizialmente (Come a Avegno o a Ascona) e i ricorsi: tutti elementi che hanno contribuito ad allontanare una prima scadenza individuata a suo tempo già per il 2025.
«Saranno una ventina gli articolati in rimessa», dice al Corriere del Ticino Erik Fregni, capo del dipartimento tecnico della Fart, mentre per la parte di manutenzione meccanica avremo a disposizione tre corsie di lavoro che possono ospitarne ognuna due o tre, a dipendenza della loro lunghezza. Ciò significa che potremo eseguire lavori in contemporanea su sei veicoli dei sessanta totali. E senza contare quelli di lunga durata, ad esempio la sostituzione di interni o interventi di carrozzeria, che impongono un fermo di alcuni giorni».
Occorre cambiare
Le aree non manderanno tuttavia in pensione quelle già in uso. «La soluzione odierna risale ormai agli anni Sessanta, quando avevamo una ventina di elementi, che non erano nemmeno articolati. Oggi ne contiamo tre volte di più e la situazione logistica si complica, oltre a essere sempre meno adeguata. Certo, con questo impianto libereremo dello spazio che potremo sfruttare per ridistribuire i mezzi a Sant’Antonio, che sono piuttosto “compattati”. Inoltre, una serie di controlli tecnici come la prova dei freni o la regolazione delle luci potrà essere fatta sotto lo stesso tetto, evitando gli spostamenti da un capannone all’altro come succede attualmente», aggiunge il 56.enne».
Un cammino avviato nel 2017
Gli fa eco il presidente del Consiglio d’amministrazione della società, Paolo Caroni: «È un importante capitolo che prosegue un cammino avviato nel 2017, quando avevamo tracciato una serie di tappe per guardare al futuro, in seguito a un’approfondita analisi dell’azienda. Abbiamo così rinnovato il parco su gomma e acquistato i convogli appena inaugurati sulla ferrovia trasfrontaliera verso Domodossola», afferma il 54.enne.
Un segnale d’approvazione arriva anche dal Dipartimento del territorio. In un comunicato, il direttore Claudio Zali, invitato ma che non ha potuto essere presente all’evento, evidenzia la tendenza all’abbandono del carburante «classico» per abbracciare una tecnologia emergente e priva di emissioni non solo nel mondo del traffico privato, ma pure nel caso degli operatori che muovono ogni giorno migliaia di persone. A tal proposito, la sede «sarà dotata di pannelli fotovoltaici, che permetteranno la ricarica», si legge nella nota, che attribuisce la dichiarazione al Consigliere di Stato.
Certificato Minergie
Infine, alcune riflessioni - prima della classica foto di rito con tanto di pala, casco e gilet - di Paolo Canevascini, portavoce del gruppo di progettazione canevascini&corecco e delorenzi la rocca architetti: «L’edificio sarà certificato Minergie, a conferma della sua impronta sostenibile. Per sviluppare l’elaborato (fra l’altro intitolato «Urbino_18», come a richiamare uno dei modelli di torpedone in uso alla ditta, quello della polacca Solaris, ma ci sono anche Man, Mercedes e Iveco, ndr). Ci siamo confrontati con un tema inusuale, ossia collocare una grande costruzione tecnica in un’area periferica e complessa, trovando un equilibrio tra esigenze funzionali e vocazione pubblica».