La sentenza

I 70 milioni restano contesi, le accuse penali sono cadute

Prosciolto il base al principio in dubio pro reo un cinquantatreenne italiano, accusato di essersi impadronito dell’ingente impero finanziario dello zio – Per la Corte delle assise criminali, in tutta questa intricata vicenda ci sono troppi dubbi e zone d’ombra
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Nico Nonella
04.06.2025 15:31

«Non si può escludere che una donazione ci sia effettivamente stata», ma né dagli atti, né dalle dichiarazioni degli imputati e dell'accusatore privato sono emersi elementi risolutivi. Per questo, le due persone alla sbarra – un cinquantatreenne italiano accusato di aver sottratto ingenti beni allo zio e un cinquantasettenne ticinese che rappresentava la presunta vittima in due società elvetiche dove era confluita una parte del patrimonio – sono stati prosciolti dalle accuse in base al principio in dubio pro reo

La complessa vicenda giudiziaria, della quale vi avevamo parlato lo scorso 17 maggio, ruota attorno a un patrimonio di circa settanta milioni di euro (spicca in particolare il pacchetto azionario di una società svizzera, proprietaria di un palazzo in pieno centro di Milano dal valore di circa 50 milioni). Lo zio, oggi novantaduenne, sostiene di aver solo incaricato il nipote di amministrare i suoi beni. Quest’ultimo, un 53.enne cittadino italiano, afferma invece che il tutto gli sarebbe stato donato dallo zio stesso e che quindi tutto sarebbe suo. L’inchiesta penale, aperta nel 2019, ruotava principalmente attorno a una serie di documenti con la firma dell’anziano imprenditore, per esempio per aprire dei conti bancari. E su uno in particolare: un foglio che attesterebbe la presunta donazione. Presunta perché la firma apposta, secondo lo zio (patrocinato dall'avvocato Giampiero Berra), sarebbe falsa mentre il nipote la ritiene l’autentica. Sul tavolo svariate perizie, di cui una giudiziaria che la ritiene falsa, ma anche tanti, tantissimi dubbi. La conferma dalle parole del presidente della Corte, il giudice Paolo Bordoli: «Non è stato evidente raggiungere un chiaro convincimento. Le parti stesse hanno tutte sottolineato che vi sono zone d'ombra nei fatti che l'inchiesta non ha saputo chiarire del tutto».

Insomma, non è stato possibile stabilire con certezza che l'anziano parente avesse effettivamente donato l'impero milionario al nipote. Onere della prova, questo, che spettava all'accusa. Quello che emerge, ha rimarcato il giudice Bordoli (a latere Renata Loss Campana e Chiara Ferroni) emerge «una gestione confusa», come dimostrato da una «documentazione tutto fuorché chiara, forse perché all'epoca andava bene a tutti gli attori coinvolti». In conclusione, «non può escludere che non ci sia stata una donazione, ma il dubbio va a beneficio degli imputati».

Assolto dunque con formula pena il cinquantatreenne italiano, accusato di istigazione all’amministrazione infedele, appropriazione indebita, istigazione all’appropriazione indebita e falsità in documenti, difeso dall'avvocato Davide Ceroni e sempre professatosi innocente. «Piango di rabbia e delusione», aveva detto l'uomo, avvocato di professione, alla fine del dibattimento. «Sono io la persona tradita qui: ho cercato di portare la mia famiglia di origine fuori dallo schifo in cui era, ma ho perso, perché quella testa matta di mio zio ha deciso di far saltare il nostro accordo». Pure assolto il cinquantasettenne, assente giustificato durante tutto il dibattimento; l'uomo, un ex fiduciario patrocinato dall'avvocato Emanuele Stauffer, è stato però condannato a una pena pecuniaria di 900 franchi per falsità in documenti in relazione a un'altra vicenda, non legata in alcun modo a quella appena raccontata. Entrambi riceveranno circa 72 mila e, rispettivamente, 50 mila franchi di risarcimento. La procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti aveva invece chiesto la condanna dei due imputati a trentasei mesi di detenzione, sospesi in parte con la condizionale.

Un'inchiesta lunga

Per arrivare a processo ci sono voluti ben sei anni e tre ricorsi alla Corte dei reclami penali; uno dei quali ha portato, nel 2022, all’annullamento di un decreto di abbandono firmato da Rigamonti. Le indagini sono partite dopo che l’anziano imprenditore, tra il 2016 e il 2017, si era insospettito in quanto non riusciva a ottenere, nonostante numerosi solleciti, i rendiconti delle sue aziende. Parliamo di un patrimonio ingente: basti pensare che lo zio accusa il nipote di essersi impossessato del pacchetto azionario di una società svizzera, proprietaria di un palazzo in pieno centro di Milano dal valore di circa 50 milioni di euro.

Che cosa ne è invece delle pretese risarcitorie dell'accusatore privato (ossia i 70 milioni)? Se ne dovrà occupare una Corte civile. Da punto di vista penale, salvo appelli, la vicenda penale è chiusa.


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