Venti licenziamenti alla Cebi di Stabio

Saltano venti posti di lavoro alla Cebi di Stabio, azienda attiva nella produzione di componenti elettrici ed elettronici. Dagli attuali 280 collaboratori, anticipa Tio.ch, si passerà a 260. «E potrebbe non essere finita». Le disdette del contratto di lavoro sarebbero legate a un contesto di riduzione dell'attività produttiva. A stretto giro di posta è arrivata l'interpellanza di Evaristo Roncelli, dal titolo emblematico: «Licenziamenti a tappe? Prima gli aiuti e poi la delocalizzazione?». Il deputato di Avanti con Ticino & Lavoro solleva l'interesse pubblico e l'urgenza dell'atto parlamentare, «poiché la legge prevede precisi obblighi di informazione, consultazione e notifica in caso di licenziamenti collettivi o soppressione di impieghi».
Della Cebi di Stabio si era già parlato nel settembre del 2022, quando una quarantina di macchinari erano stati delocalizzati: smontati e partiti in Romania. Il trasferimento aveva comportato una ventina di licenziamenti. Un anno prima, l'azienda era finita nella bufera sul salario minimo. Assieme alla Plastifil e alla Ligo Electric, la Cebi era una delle tre aziende del Mendrisiotto che avevano sottoscritto un contratto collettivo con soglie salariali inferiori al minimo legale. «Una necessità temporanea» per evitare licenziamenti e delocalizzazioni, era stato spiegato dai vertici dell’azienda, assieme all’associazione di categoria Ticino Manufacturing e TiSin, poi Sindacato libero della Svizzera italiana (SLSI), nel momento della bufera mediatica, ossia quando i sindacati storici, UNIA e OCST, denunciarono – proprio davanti ai cancelli della Cebi – «la scorciatoia» intrapresa da queste aziende per aggirare l’ostacolo del salario minimo. «Una scorciatoia» – criticata dalla politica cantonale e dai sindacati storici – contro cui era intervenuta una sentenza del Tribunale federale, che aveva assoggettato l’azienda al contratto normale di lavoro (CNL) del settore della fabbricazione di apparecchiature elettriche, quindi con soglie superiori al minimo legale del salario minimo.
Ma torniamo a oggi. Roncelli, nell'interpellanza, chiede che si verifichi l’eventuale ricorso, da parte dalla Cebi, alle indennità per lavoro ridotto (ILR): uno strumento pubblico concepito per salvaguardare i posti di lavoro in caso di calo temporaneo dell’attività. «Se un’azienda che ha beneficiato di tale misura procede comunque a licenziare poco dopo, è legittimo domandarsi se l’utilizzo dell’aiuto pubblico sia avvenuto nel pieno rispetto delle finalità previste».
Visto che in passato la Cebi aveva già ridotto il personale e delocalizzato parte della produzione verso l’Europa dell’Est, conclude l'interpellanza – cofirmata da Claudio Isabella (il Centro) –, «si pone la necessità di chiarire il quadro complessivo e di garantire che le tutele previste dalla legislazione federale e cantonale siano state pienamente rispettate, evitando pratiche che possano aggirare gli obblighi legali o l’intento delle norme, e verificando che l’utilizzo di eventuali strumenti pubblici di sostegno non abbia indirettamente favorito la perdita di posti di lavoro nel cantone».





