Il commento

A Saragozza è anche una questione di accenti

Basterà il magic moment di Granit Xhaka per esaltare la Svizzera? Dopotutto, quattro o cinque rossocrociati giocano fuori ruolo
Massimo Solari
24.09.2022 06:00

Saragozza è una città sospesa. La più spagnola della Spagna, sostengono taluni. Eppure, leggiamo, i cittadini si sentono presi di mira. Quasi ridicolizzati. Come se non bastasse la preoccupazione condivisa con il resto d’Europa per il rincaro di gas ed elettricità. A far indispettire la popolazione locale è stata proprio la Federcalcio spagnola, di nuovo ospite - a 19 anni di distanza dall’ultima volta - della vetusta Romareda. «Noi investiamo mezzo milione di euro per accogliere il match contro la Svizzera e voi pubblicate uno spot che, nell’intento di sottolinearne la passione, gioca sull’accento degli zaragozanos e sulla tendenza a enfatizzare le sillabe». Questo, in sintesi e al grido di «Zárágózá», il dubbio sollevato dai media del posto. E il fatto che la selezione guidata da Luis Enrique abbia dosato al minuto la sua permanenza in Aragona - i rossocrociati sono arrivati un giorno prima, per intenderci - non suggerisce una totale sintonia tra le parti.

Alla Svizzera, dunque, il compito di imitare la Grecia di sua maestà Otto Rehhagel. E cioè la formazione in grado di mettere sotto la Roja nel citato ultimo incontro disputato a Saragozza, nel 2003. Di più: a differenza dei mugugni locali e al netto della forza dell’avversario, la Nazionale elvetica non può permettersi vittimismi di sorta. Non, quantomeno, se si dà credito alla narrazione del suo commissario tecnico. Sia negli scorsi giorni, sia in occasione della conferenza stampa della vigilia, Murat Yakin ha definito il match d’andata - o meglio la pausa tra il primo e il secondo tempo di Ginevra - un momento spartiacque. Il frangente, detto altrimenti, che ha permesso alla squadra di scuotersi e al suo capitano - Granit Xhaka - di prenderla definitivamente per mano. Nel frattempo il centrocampista dell’Arsenal sta illuminando pure la Premier League e - tolto l’intraprendente Noah Okafor - il ct si ritrova a disposizione solo prime scelte. Insomma, la storia ai prossimi Mondiali (e nel breve termine in Nations League) andrà scritta con coloro che sono ritenuti i migliori interpreti. E no, Mario Gavranovic non rientrava in questa lista... Stando a Yakin, dopo qualche incontro balbettato i diretti interessati hanno ritrovato il feeling ideale con il proprio leader. Per la serie: se Luis Enrique ha agganciato dei walkie talkie sulla schiena dei propri uomini, in modo da guidarli senza sbraitare durante gli allenamenti, in casa Svizzera ordini, misure e impulsi spettano principalmente a Xhaka.

Basterà dunque la leadership di Granit, unita alla solidità difensiva, a far girare a meraviglia la nostra Nazionale? Dipende - e buttiamo lì il tema - quanto si vuole relativizzare il fatto che su undici titolari, quattro o cinque pedine non giostrano esattamente nella posizione adottata nei club. Da Rodriguez terzino sinistro (a Torino è oramai un centrale) alla coppia Freuler-Sow abituata a esprimersi in un centrocampo a due. Sino a Shaqiri largo a destra (e non fantasista dietro la punta come a Chicago) o Embolo nel ruolo di centravanti quando a Monaco l’attacco è un affare per due. Il grosso quesito, alzando lo sguardo e cercando il Qatar, rimane questo. E, sì, in fondo è anche una questione di accenti.

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