Calcio

Poteva morire da piccolo, ora è a un passo dal club dei 100

Affetto sin dalla nascita da una malattia agli organi addominali, Ricardo Rodriguez aveva il 50% di probabilità di sopravvivere - Se sarà impiegato contro Spagna e Cechia, entrerà nella storia della Nazionale
Massimo Solari
23.09.2022 06:00

Fa parte della generazione d’oro, nata nel 1992 e capace di portare la piccola Svizzera U17 sul tetto del mondo. Era il 2009 e a distanza di tredici anni di distanza Ricardo Rodriguez è sempre lì. Con la maglia rossocrociata cucita addosso, affidabile ed educato con il pallone fra i piedi. La sua è una storia speciale. Una storia che, in caso d’impiego nell’imminente doppio impegno di Nations League, lo vedrà entrare di diritto nell’esclusivo club dei 100.

Eppure, quella di «Ricci» poteva essere un’altra vita. Sia a livello sportivo, sia sul piano esistenziale. Letteralmente. Colpa di un’ernia diaframmatica che lo ha accompagnato dalla nascita, segnandone di riflesso la giovinezza. «Fino all’età di tre anni ho trascorso molto tempo in ospedale: all’epoca avevo il 50 percento di probabilità di sopravvivere». Un’esperienza drammatica, sì, che Rodriguez aveva acconsentito di ripercorrere nel 2018, in un’intervista alla Schweiz am Wochenende. Il difetto congenito, a causa del quale una parte del contenuto addominale può risalire nella cavità toracica del bambino, risparmiò Ricardo. «Sono stato fortunato. E sono grato di essere ancora vivo» le sue parole, oramai grande e affermato. Il destino – o il «buon Dio», come ama ripetere – ha voluto riservargli una carriera brillante. Una carriera che, sin qui, lo ha portato a difendere i colori della Nazionale in 98 occasioni. «E per quanto ne so, nessuno è stato in grado di raggiungere traguardi del genere con la mia malattia».

Una biografia speciale

Il prossimo passo verso la consacrazione, il 30.enne difensore rossocrociato dovrebbe compierlo sabato. A Saragozza, dove la Svizzera è atterrata giovedì sera in vista del penultimo turno della fase a gironi di Nations League contro la Roja. No, non un avversario come gli altri per Rodriguez. Nelle cui vene scorre sangue cileno e spagnolo. Eredità di mamma Marcela – immigrata da piccola - e papà José, sbarcato nel nostro Paese da giovane stagionale. Proprio la morte della prima, nel 2015, ha costituito uno dei momenti più difficili e dolorosi per Ricardo. «Fa ancora male. Lo farà sempre» ha confessato il giocatore, la cui parabola nel mondo è finita addirittura in una biografia. Drei Brüder – eine Familie di Thomas Renggli. Perché c’era e c’è tanto da raccontare. E «Ricci», dopo una certa insistenza dell’autore, ha accettato di aprire il libro insieme agli inseparabili fratelli Roberto e Francisco. «Inizialmente ero scettico, avrei preferito custodire i capitoli della mia vita. Alla fine, però, sono stato convinto. Voglio mostrare ai ragazzi cosa serve per diventare un calciatore professionista». Dai primi passi mossi a Schwamendingen a un ruolo indispensabile per addirittura tre commissari tecnici, passando per il clamoroso successo con la Under 17 elvetica.

Capitano a Torino

A farlo esordire in Nazionale, il 7 ottobre del 2011, fu Ottmar Hitzfeld. Lieve – giusto quattro mesi -, il ritardo su un altro coetaneo campione del mondo: Granit Xhaka. Da allora Ricardo Rodriguez ha disputato un’Olimpiade, due Mondiali e due Europei. Sempre titolare. Preziosissimo, lì sulla sinistra, per Pierluigi Tami, per il citato allenatore tedesco, per Vladimir Petkovic e ora pure per Murat Yakin. E ciò nonostante un cammino, a livello di club, non evidente. Di certo non in perenne ascesa, per colui che all’alba della carriera era addirittura stato avvicinato al Real Madrid. Prima il successo e gli applausi generali con il Wolfsburg, in Bundesliga. Poi il grande salto al Milan, rivelatosi tuttavia dolceamaro. Infine – dopo una breve parentesi al PSV Eindhoven – il Torino. Insomma, non la società più ambiziosa e attrezzata del massimo campionato italiano. Ma, comunque, una realtà nella quale Rodriguez si è vieppiù imposto. La fascia di capitano dei granata, non a caso, oggi cinge il suo braccio.

Il paradosso: o lui o nessuno

Il ruolo di Ricardo, dicevamo. Negli anni ha vissuto un’evoluzione. Un’involuzione, anche, stando agli osservatori più critici. La falcata e la grande facilità ad arrivare sul fondo per crossare hanno lasciato spazio a un atteggiamento più prudente. Pulizia e precisione, volendo riassumere. Di più: proprio a Torino Rodriguez ha conosciuto un accentramento di cui ha beneficiato anche la Nazionale targata Petkovic. A fronte del passo smarrito, le caratteristiche del calciatore formatosi a Zurigo hanno trovato una migliore espressione nella difesa a tre. Va da sé, sul centro-sinistra. Basti pensare che una delle prestazioni più importanti di Rodriguez con la Svizzera – forse la più importante – si è consumata in questa posizione. Nei quarti di finale di Euro 2020, il 2 luglio dello scorso anno. Contro chi? Contro la Spagna di Luis Enrique. Il presente, e nel dettaglio l’impostazione data alla selezione rossocrociata da Murat Yakin, impone non a caso riflessioni e interrogativi. Perché con il ritorno alla difesa a quattro, lo spostamento di Ricardo Rodriguez di nuovo largo a sinistra può apparire paradossale. Quasi un controsenso, considerando che in Serie A il diretto interessato viene addirittura schierato al centro del reparto arretrato. La verità, cruda e preoccupante, è però un’altra. E cioè che di alternative valide a «Ricci», stringi stringi, non ve ne sono. E al proposito è sufficiente analizzare la lista dei convocati per gli ultimi match di Nations League. Di terzini sinistri puri, nemmeno l’ombra. Yakin, che ha lasciato a casa Jordan Lotomba, preferisce affidarsi ai «destri» Silvan Widmer e Kevin Mbabu. Persino il bianconero Renato Steffen è considerato un sostituto di Ricardo Rodriguez. Il sopravvissuto. La cui strada verso le 100 presenze in Nazionale e un altro Mondiale da protagonista, di fatto, appare spianata.

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