Il commento

La profezia di Patrick Fischer deve attendere

«Un giorno anche noi saremo campioni del mondo», disse Patrick Fischer nel 2013 a Stoccolma, dopo aver perso la finale contro la Svezia – Ma quel giorno non è ancora arrivato
Fernando Lavezzo
27.05.2024 00:11

«Un giorno anche noi saremo campioni del mondo», disse Patrick Fischer nel 2013 a Stoccolma, dopo aver perso la finale contro la Svezia. All’epoca era l’assistente della Nazionale di Sean Simpson. Aveva 37 anni e tante ambizioni. Le stesse che da giocatore lo portarono a vincere un titolo a Lugano e uno a Davos, ma anche ad esplorare nuovi mondi. La NHL, raggiunta a 31 anni. Poi un assaggio di Russia, prima di tornare nella sua Zugo. Nel 2009, sorprese tutti ritirandosi. Era ancora al top, ma cercava nuove avventure. Quella di allenatore iniziò nel settore giovanile bianconero. Nel 2013, l’HCL gli affidò la panchina della prima squadra. Esonerato nell’autunno del 2016, «Fischi» venne subito scelto dalla federazione per rilanciare la Svizzera dopo la grigia gestione di Hanlon. Due anni di apprendistato, poi, nel 2018, ecco l’argento di Copenaghen. «Un giorno anche noi saremo campioni del mondo», ribadì. Ma quel giorno non è ancora arrivato. Dopo quattro eliminazioni ai quarti, un Mondiale casalingo cancellato dalla pandemia nel 2020 e un’Olimpiade da dimenticare, anche il torneo di Praga si è chiuso tra le lacrime. Davanti ai suoi 17 mila tifosi, la Cechia si è presa l’oro. A noi rimane il terzo argento in 11 anni. Mica poco. Rimane anche l’orgoglio. Ma pure un velo di tristezza. Perché certe occasioni non si presentano tutti gli anni. E questa Nazionale sembrava avere tutto per scrivere la storia.

Al di là della finale persa, il nostro Mondiale è stato un successo. Reduce da un’annata complicata, Fischer si è rilanciato. E con lui un gruppo che gli è rimasto fedele. Questo, in fondo, è sempre stato uno dei principali «atout» del coach: avere i giocatori dalla sua parte. In Cechia, le stelle si sono allineate favorevolmente. Josi è tornato in rossocrociato dopo 5 anni, portando leadership e tranquillità. Al fianco di Hischier e Niederreiter, è stato preziosissimo Fiala: la sua presenza non era prevista, ma dopo essere diventato papà, Kevin è salito su un aereo da Los Angeles, spinto dalla moglie. E che dire di Genoni? Il 36.enne portiere ha ritrovato i suoi superpoteri. Spiegare questo risultato con una manciata di individualità sarebbe però sbagliato. La Svizzera avrebbe potuto essere ancora più forte, sulla carta. Ma le assenze dei vari Malgin, Meier, Suter e Moser, hanno paradossalmente permesso di trovare un migliore equilibrio. A livello tattico e nelle gerarchie. Questa Nazionale è stata costruita ruolo per ruolo, soppesando talento, forza fisica, esperienza, attitudine al sacrificio. Ognuno ha fatto la sua parte. Certo, è stato strano vedere uno dei nostri giocatori di NHL, Kurashev, confinato in tribuna nei quarti e in semifinale. Per la serie: la squadra prima di tutto.

Per tornare in finale dopo quattro Mondiali amari, la Svizzera non ha snaturato il «credo» di Fischer, fatto di intraprendenza, possesso del disco, pattinaggio, aggressività. Più di altre volte, però, ha fatto della solidità difensiva la sua forza. Oltre al Piano A (attaccare), la Svizzera ha sempre avuto delle alternative. «Equilibrio», lo ripetiamo, è stata la parola d’ordine. A livello tattico e mentale. Con l’aiuto di un «performance coach», figura introdotta per dare il meglio sotto pressione, la Nazionale ha sconfitto i suoi demoni. È mancato l’ultimo passo. Per diventare anche noi, un giorno, campioni del mondo, bisognerà aspettare. La profezia di Fischer non si è ancora avverata.

Ci riproveremo nel 2025, in Svezia e Danimarca, ma nel mirino c’è già il 2026, con le Olimpiadi di Milano-Cortina e i Mondiali di Zurigo e Friburgo. Fischer ci sarà ancora. La fiducia gli era stata confermata in tempi non sospetti. Anzi, difficili. Poi, forse, inizierà un nuovo ciclo. Con una nuova generazione di cui ora si fatica a intravedere il potenziale. Tolto il 24.enne portiere di riserva Schmid, nessuno dei selezionati è nato nel nuovo millennio. Ben 13 gli «over 30». Da questo argento bisognerà trarre energia per lavorare meglio a livello giovanile. Con l’aiuto dei club.

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